Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 20168 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20168 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 08/01/2024 della CORTE di APPELLO di MESSINA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
il procedimento si celebra con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. n. 137 del 2020, il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO GLYPH ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Messina confermava la condanna del ricorrente alla pena di dieci mesi di reclusione per i reati di ricettazione di un portafoglio provento di furto e il porto di un coltello della lunghezza di ventitrè centimetri.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva:
2.1. violazione di legge (art. 178 e ss. cod. proc. pen.) e vizio di motivazione in ordin alla notifica del decreto di citazione a giudizio in primo grado: questo era stato effettua ai sensi dell’art. 159 cod. proc. pen. presso il difensore di fiducia, nonostante accertamenti fossero incompleti, dato che dal “verbale di vane ricerche” si evinceva che gli operanti non avevano effettuato controlli approfonditi; il fatto che il ricorrente ave partecipato alle udienze a dibattimento avviato, non eliminerebbe la violazione del diritto di difesa correlata alla decadenza dalle facoltà esercitabili solo nella fase degli preliminari.
2.2. violazione di legge (artt. 648 e 626 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordin alla mancata qualificazione della condotta come furto, tenuto conto della confessione del ricorrente nel corso del dibattimento del 7 febbraio 2023;
2.3. violazione di legge (art. 133 cod. pen. art. 81 cod. pen.) e vizio di motivazione i ordine alla definizione del trattamento sanzionatorio: la Corte di appello avrebbe offerto una motivazione carente, in quanto si era limitata ad affermare che era stata implicitamente riconosciuta l’attenuante prevista dall’art. 648, comma 4, cod. pen. e che la pena era congrua in relazione alla gravità delle condotte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo di ricorso contesta la legittimità dell’ordinanza che aveva respinto l’eccezione di nullità della notifica del decreto di citazione a giudizio in primo gr effettuata ai sensi dell’art. 159 cod. proc. pen. nonostante la dedotta incompletezza delle ricerche. Sia il giudice di primo grado che la Corte di appello avevano, invece, ritenute “adeguate” le ricerche effettuate ai fini della emissione del decreto di irreperibilità e d successiva notifica del decreto di citazione a giudizio in primo grado.
Il collegio ribadisce che, ai fini dell’emissione del decreto di irreperibilità, le ri vanno eseguite cumulativamente, e non alternativamente o parzialmente, in tutti i luoghi indicati dall’art. 159 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 11341 del 27/11/2020, dep. 2021, Pavlovic, Rv. 280976 – 01).
Nel caso in esame, come ritenuto dai giudici di entrambi i gradi di merito, le ricerche risultano essere state effettuate correttamente, ma tuttavia, non hanno consentito di rinvenire il ricorrente presso il luogo di residenza e presso le banche dati RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE. e RAGIONE_SOCIALE, sicché il decreto di irreperibilità risulta essere stato legittimamente emesso e nessun vizio affligge la notifica del decreto di citazione a giudizio, legittimamente effettuata presso difensore di fiducia.
1.2. Il secondo motivo di ricorso che invoca la riqualificazione dei fatto contestato i furto risulta manifestamente infondato.
La Corte di appello con motivazione che non si presta a censure ha ritenuto che non fossero emerse prove sicuramente indicative del fatto che fosse il ricorrente l’autore dell’apprensione, tale non essendo – all’evidenza – neanche la deposizione dibattimentale, allegata dal difensore in ossequio al principio di autosufficienza, dalla quale si ricava l assoluta genericità delle dichiarazioni che il ricorrente ha, invece, in modo del tutt infondato, ritenuto decisive per la invocata riqualificazione.
1.3. Il terzo motivo di ricorso, che deduce il difetto di motivazione della parte dell sentenza che definisce il trattamento sanzionatorio è manifestamente infondato.
che in punto di quantificazione della pena i giudici di merito godono di un ampio margine di discrezionalità che deve essere esercitato nel rispetto dei parametri previsti dall’art. 133 cod. pen., il collegio rileva che, nel caso in esame, la motivazione in ordi al trattamento sanzionatorio risulta ineccepibile in quanto priva di illogicità manifeste aderente alle emergenze processuali.
La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice d merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia cont dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243 – 01; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142, Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, COGNOME e altri, Rv. 239754).
Nel caso in esame, contrariamente a quanto dedotto, la Corte ha rilevato la congruità della pena, valutandone la mitezza, emergente dalla implicita applicazione dell’attenuante prevista dall’art. 648, comma 4 cod. pen. e dalla mancata inflizione della pena pecuniaria (pag. 5 della sentenza impugnata).
Anche in questo caso la motivazione della sentenza impugnata si sottrae ad ogni censura.
2.Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in euro tremila.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle s processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il giorno 19 aprile 2024
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L’estensore
Il Presi ente