Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 31950 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 31950 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 15/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Cosenza il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 05/07/2023 della Corte di appello di Catanzaro, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale AVV_NOTAIO COGNOME, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata con trasmissione degli atti alla Corte di appello di Catanzaro.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 5 luglio 2023, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del 14 dicembre 2021 del Tribunale di Cosenza, con la quale l’imputato, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, era stato condannato alla pena sospesa di mesi 4 di arresto ed € 1.800,00 di ammenda, per il reato di cui all’art. 256, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006, per aver
effettuato attività di raccolta e smaltimento di rifiuti, anche pericolosi, in assenza della prescritta autorizzazione.
Avverso la sentenza, l’imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si denuncia la violazione degli artt. 178, comma 1, lettera c), 179 e 601 cod. proc. peri., nonché del diritto di difesa del ricorrente, per avere la Corte di appello celebrato il giudizio in assenza del difensore dell’imputato (AVV_NOTAIO) non ritualmente avvisato. Secondo la prospettazione difensiva, l’avviso di fissazione dell’udienza sarebbe stato erroneamente notificato agli AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO, sconosciuti all’imputato e probabilmente impegnati in altro processo tenutosi nello stesso giorno; ciò che risulterebbe anche dalla lettura del verbale di udienza, dalle PEC inviate ai difensori e dall’avviso di fissazione dell’udienza medesima. Né, del resto, al difensore dell’imputato sarebbero state notificate le conclusioni scritte del Procuratore Generale.
2.2. Con un secondo motivo di ricorso, il ricorrente eccepisce l’avvenuta estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Secondo la prospettazione difensiva, i giudici di merito avrebbero erroneamente individuato il termine prescrizionale nella data del 21 ottobre 2024, in considerazione del termine massimo di 1 anno e 6 mesi di sospensione del corso della prescrizione, introdotto dalla legge n. 103 del 2017, omettendo tuttavia di considerarne l’intervenuta abrogazione ad opera della legge n. 134 del 2021.
2.3. Con una terza censura, ci si duole della violazione dell’art. 192 cod. proc. peri., relativamente all’erronea valutazione delle prove, nonché della mancata applicazione dell’art. 256, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 156 del 2006.
Nello specifico, muovendo la difesa da quanto sostenuto dalla giurisprudenza di merito, si sostiene che, nel caso di specie, mancherebbe la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, della effettiva responsabilità penale dell’imputato, nonché di un suo eventuale contributo causale al comportamento dell’effettivo autore dell’abbandono illecito dei rifiuti. Secondo la ricostruzione difensiva, infatti, discarica abusiva non sarebbe stata creata dall’odierno ricorrente, bensì dai rispettivi proprietari dei veicoli, per quanto riguarda le carcasse delle autovetture abbandonate – tutte rinvenute, peraltro, in un terreno di proprietà del padre dell’imputato, eccezion fatta per l’unica vettura effettivamente appartenente all’Adinnari – nonché da persone ignote, aduse ad abbandonare sul ciglio della strada rifiuti di ogni genere – anche per la mancanza di telecamere, di recinzioni atte ad impedire l’accesso e per il fatto che la zona sarebbe poco frequentata –
per quanto concerne gli pneumatici, peraltro tanto usurati da precludere il conseguimento di qualsiasi potenziale vantaggio economico.
Nella valutazione operata dai giudici di merito, inoltre, non si sarebbe adeguatamente considerato che nessuna attività di osservazione, controllo e pedinamento è stata effettuata al fine di verificare se fosse stato l’imputato o altra persona a raccogliere effettivamente i rifiuti; di talché, la responsabilità penale del ricorrente sarebbe stata meramente presunta sulla base della presenza di rifiuti di vario tipo sul solaio della sua abitazione e nel terreno ad essa limitrofo; né si sarebbe opportunamente valorizzata la circostanza che, dopo aver ottenuto il dissequestro dell’area, il ricorrente si era prontamente attivato per il recupero del sito, bonificandolo, e ripulendo l’intera proprietà dai rifiuti.
In ultimo, contesta l’imputato, che, nel caso in esame, non sarebbero stati rinvenuti rifiuti pericolosi, tale non potendosi considerare né la macchina di sua proprietà – priva di assicurazione ma marciante, e dunque insuscettibile di essere ascritta alla categoria dei rifiuti – né gli elettrodomestici usati ed i materiali pla rinvenuti, passibili di essere classificati, a parere della difesa, come rifiuti specia ma non pericolosi.
2.4. Con un quarto motivo di impugnazione, si lamenta, infine, il mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. per l’omessa considerazione della condotta collaborativa, oltre che riparatoria, dell’imputato e dell’esiguità del potenziale danno ambientale, tanto più alla luce del prospettato corretto inquadramento giuridico dei fatti in contestazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
È necessario preliminarmente soffermarsi sul secondo motivo di impugnazione, con il quale si prospetta l’avvenuta estinzione del reato, contestato come commesso il 22 maggio 2018, per intervenuta prescrizione.
2.1. Il motivo è infondato.
Sul punto, questa Corte si è espressa in maniera non uniforme.
2.1.1. Un primo orientamento, maggioritario, consolidatosi sul punto (Sez. 4, n. 39170 del 29/06/2023; ovvero Sez. 4, n. 24579 del 21/05/2024; Sez. 4, n. 17841 del 12/03/2024; Sez. 4, n. 16862 del 07/03/2024; Sez. 4, n. 20764 del 29/02/2024; Sez. 4, n. 10483 del 29/02/2024; Sez. 4, n. 11382 del 29/02/2024; Sez. 4, n. 4932 del 23/01/2024; Sez. 4933 del 23/01/2024; Sez. 4936 del 23/01/2024; Sez. 4, n. 48770 del 24/10/2023, dep 2024; Sez. 4, n. 623 del
19/10/2023, dep. 2024; Sez. 4, n. 42864 del 23/06/2023; ma anche Sez. 7, n. 6674 del 25/01/2024; Sez. 7, n. 9567 del 21/02/2024; Sez. 7, n. 11919 del 14/03/2024; Sez. 7, n. 11918 del 14/03/2024; Sez. 7, n. 12594 del 20/03/2024; Sez. 7, n. 15729 del 14/03/2024; Sez. 7, n. 24231 del 14/04/2024), muove dalla modifica introdotta dalla legge n. 103 del 23 giugno 2017 – c.d. NOME – al previgente art. 159, comma 2, cod. proc. pen., mediante l’introduzione della sospensione del corso della prescrizione: a) dal termine previsto dall’art. 544 cod. proc. pen. per il deposito della sentenza di condanna di primo grado, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza che definisce il grado successivo per un tempo, comunque, non superiore ad un anno e sei mesi; b) dal termine previsto dall’art. 544 cod. proc. pen., per il deposito della motivazione della sentenza di secondo grado, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza definitiva, per un tempo, comunque non superiore ad un anno e sei mesi.
Nello specifico, si è osservato che l’art. 159, comma 2, cod. proc. pen., come modificato dalla legge su indicata, era stato poi interpolato dall’art. 1, comma 1, lettera e), n. 1), della legge n. 3 del 2019 (c.d. legge COGNOME), che aveva introdotto, a decorrere dal 10 gennaio 2020, la previsione per cui il corso della prescrizione rimane sospeso dalla pronuncia della sentenza di primo grado, o dal decreto di condanna, fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o della irrevocabilità del decreto di condanna. Sempre l’art. 159, comma 2, cod. pen., era stato, infine, definitivamente abrogato dall’art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 134 del 27 settembre 2021, che ha contestualnnente introdotto l’art. 161-bis cod. pen., a norma del quale il corso della prescrizione cessa definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado. La stessa legge ha introdotto, solo per i reati commessi dal 10 gennaio 2020, l’art. 344-bis cod. proc. pen., che prevede l’improcedibilità dell’azione penale in caso di mancata definizione del giudizio di appello e di cassazione entro il termine, rispettivamente, di due anni e di un anno, decorrenti dal novantesimo giorno, successivo alla scadenza del termine previsto dall’art. 544, cod. proc. pen., salva eventuale proroga ai sensi dell’art. 154 disp. att. cod. proc. pen. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con riferimento alla diversa disciplina della prescrizione dettata dalla c.d. legge NOME e dalla c.d. legge COGNOME, peraltro, si è precisato che non si sarebbe verificato il fenomeno della successione delle leggi penali nel tempo, regolamentato dall’art. 2 cod. pen., posto che le leggi che si sono succedute contengono la previsione della loro applicabilità ai reati commessi a decorrere da una certa data. Un fenomeno di successioni di leggi penali nel tempo si sarebbe, invece, verificato, con riferimento alla abrogazione, da parte della legge 27 settembre 2021, n. 134 (Riforma COGNOME) dell’art. 159, secondo comma, cod. pen., così come introdotto dalla legge NOME, e alla speculare introduzione
dell’art. 161-bis cod. pen., che fa cessare il corso della prescrizione definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado. Più favorevole dovrebbe, pertanto, ritenersi la disciplina della legge NOME che prevedeva, anche dopo la pronuncia delle sentenze di primo grado e di grado di appello, il decorrere del termine di prescrizione, sia pur con periodi di sospensione.
Ne conseguirebbe, dunque, la coesistenza di diversi regimi di prescrizione, applicabili in ragione della data del commesso reato, nei seguenti termini:
-per i reati commessi fino al 2 agosto 2017, si applica la disciplina della prescrizione dettata dagli artt. 157 e ss. cod. pen., così come riformulati dalla legge n. 251 del 5 dicembre 2005 (c.d. legge ex Cirielli);
-per i reati commessi a far data dal 3 agosto 2017, fino al 31 dicembre 2020, si applica la disciplina della prescrizione come prevista dalla legge n. 103 del 23 giugno 2017 (c.d. legge NOME), con i periodi di sospensione previsti dall’art. 159, comma 2, cod. pen., nel testo introdotto da detta legge;
-per i reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020, si applica in primo grado la disciplina della prescrizione come dettata dall’art. 157 e ss cod. proc. pen., senza conteggiare la sospensione della prescrizione di cui all’art. 159, comma 2, cod. pen., essendo stata tale norma abrogata dall’art. 2, comma 1, lettera a), della legge 134/2021 e sostituita con l’art. 161-bis cod. pen., e nei gradi successivi la disciplina della improcedibilità, introdotta da tale legge (Sez. 4, n. 39170 del 28/06/2023).
2.1.2. Alla medesima soluzione, nonostante alcune differenze nel percorso argomentativo, addiviene anche altra sentenza della Corte di cassazione (Sez. 1, n. 2629 del 29/09/2023, dep. 2024, Rv. 285724; ma sul punto si veda anche Sez. 1, n. 23526 del 20/02/2024; Sez. 1, n. 22998 del 24/01/2024), la quale, dopo avere schematicamente ricostruito le modifiche normative avvicendatesi a seguito delle riforme NOME, COGNOME e COGNOME, in materia di sospensione della prescrizione, ed aver ribadito la natura sostanziale delle norme che afferiscono all’istituto, ha ritenuto di potere ‘individuare il dies a quo di applicabilità dell’istituto della cessazione del corso della prescrizione, introdotto dall’art. 161-bis cod. pen., considerandone il rapporto di continuità normativa con l’omologa causa di sospensione legata alla sola pronuncia della sentenza di primo grado, prevista dall’art. 159, secondo comma, cod. pen. A fronte, infatti, dell’impropria dizione normativa quale causa di sospensione del corso della prescrizione – in realtà destinata a non riprendere più nell’ulteriore prosieguo – entrambi gli istituti contemplano una causa di blocco tendenzialmente definitivo (salva l’ipotesi dell’annullamento con rinvio) del decorso del tempo rilevante ai fini della prescrizione del reato. L’abrogazione dell’art. 159, secondo comma, cod. pen., in altri termini, non viene letta atomisticamente, bensì in combinato disposto con
l’introduzione dell’art. 161-bis cod. pen., evidenziando come all’una si accompagni l’altra.
Partendo, dunque, da tale premessa ermeneutica e dalla identità strutturale della sospensione sine die del termine prescrizionale, prevista dalla Riforma COGNOME, e della cessazione definitiva del medesimo, contemplata dalla Riforma COGNOME, si è reputato coerente ritenere che l’istituto della cessazione del corso della prescrizione, previsto dall’art. 161-bis cod. pen., debbi trovare applicazione, non dalla data di entrata in vigore della legge n. 134 del 2021, bensì, al pari della omologa causa di sospensione, in relazione ai reati commessi dal 10 gennaio 2020. Con la conseguenza che – a) essendo la disciplina della sospensione prevista dalla legge NOME al secondo comma dell’art. 159 cod. pen. entrata in vigore in data 3 agosto 2017 ed essendo stata, successivamente, abrogata dalla legge n. 3 del 2019, in vigore dal 10 gennaio 2020, a sua volta abrogata dalla legge n. 134 del 2021, il cui dies a quo è stato individuato, come detto, sempre nella data del 10 gennaio 2020; b) avendo perciò avuto il secondo comma dell’art. 159 cod. pen., nella versione della legge NOME, vigenza dal 3 agosto al 31 dicembre 2019; c) essendo la disposizione in commento certamente più favorevole di quelle successive che l’hanno abrogata, giacché prevede un allungamento dei termini di prescrizione, a fronte di una sua definitiva cessazione alla data della sentenza di primo grado – ai reati commessi dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019 dovrebbe applicarsi la disciplina della sospensione del corso della prescrizione prevista dalla legge NOME, risultando essa più favorevole sia rispetto a quella contemplata dalla Riforma COGNOME, sia rispetto a quella successivamente introdotta dalla Riforma COGNOME.
2.1.3. Più recentemente, si è affermato, invece, un differente orientamento (Sez. 3, n. 18873 del 27/02/2024), secondo il quale, all’opposto, non potrebbe ritenersi applicabile la disposizione di cui all’art. 159, secondo comma, cod. pen., come modificata dalla legge n. 103 del 23 giugno 2017, che ha introdotto una ulteriore causa di sospensione del corso della prescrizione durante il tempo di celebrazione del giudizio di appello e quello di cassazione, per un massimo di anni uno e mesi per fase, per i reati commessi dopo il 3 agosto 2017.
Nello specifico, si è affermato che «in tema di prescrizione, ai reati commessi tra il 3 agosto 2017 ed il 31 dicembre 2019, si applica, per il principio di retroattività della norma penale più favorevole, la disciplina prevista dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, che non prevedeva la causa di sospensione del corso della prescrizione durante il tempo di celebrazione del giudizio di appello e di cassazione, introdotta all’art. 159, comma secondo, cod. pen., dal disposto di cui all’art. 1, comma 11, lettera b), legge 23 giugno 2017, n. 103, e, poi, esplicitamente
abrogata dall’art. 2, comma 1, lettera a), della legge 27 settembre 2021, n. 134, con conseguente reviviscenza del regime prescrittivo antecedente».
Dopo aver richiamato le modifiche introdotte ai codici penale e di procedura penale dall’art. 2 della legge n. 134 del 27 settembre 2021, detta pronuncia, muovendo dall’intervenuta abrogazione esplicita (e non tacita) dei commi 2 e 4 dell’art. 159 cod. pen. – che prevedevano una peculiare causa di sospensione del corso della prescrizione, ancorata alla pronuncia della sentenza di condanna di primo e di secondo grado, introdotta con la legge NOME per i reati commessi dal 3 agosto 2017, prevista per il periodo massimo di un anno e mezzo per il giudizio di appello e per un ulteriore periodo massimo di pari durata per il giudizio di cassazione ed ampliata (in senso peggiorativo per l’imputato) dalla legge n. 3 del 2019, fino ad abbracciare l’intero arco processuale che si estende dalla pronuncia della sentenza di primo grado sino all’irrevocabilità della stessa – ha ritenuto che sia verificato un fenomeno di successione delle leggi nel tempo, regolato dall’art. 2, quarto comma, cod. pen., comportante l’individuazione del regime di maggior favore per il reo; individuazione che, per principio consolidato, deve essere operata in concreto, comparando le diverse discipline sostanziali succedutesi nel tempo ed individuando la disciplina complessivamente più favorevole, non essendo consentita l’applicazione simultanea di disposizioni diverse secondo il criterio della maggior convenienza per l’imputato, ma occorrendo invece applicare integralmente l’una o l’altra disciplina (Sez. 5, n. 26801 del 17/04/2014, Rv. 260228 – 01). Di talché l’art. 2, comma 1, lett. a), della legge n. 124 del 2021, che ha esplicitamente abrogato la causa di sospensione del corso della prescrizione di cui al comma 2 dell’art. 159 cod. pen., andrebbe considerato come norma posteriore più favorevole e si applicherebbe a tutti i processi in corso per reati commessi dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Secondo quanto prospettato da questo secondo orientamento, pertanto, nella individuazione della disciplina astratta della prescrizione, si dovrebbe tenere conto della norma che ha esplicitamente abrogato l’art. 159, comma 2, cod. pen. – art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 134 del 2021 – e che ha inciso nell’individuazione del termine di prescrizione, eliminando il segmento temporale di sospensione del corso della prescrizione introdotto dalla legge NOME; con la conseguenza che, l’art. 2 comma 1, lettera a), della legge n. 134 del 2021, dovrebbe ritenersi norma penale posteriore più favorevole rispetto alla disciplina della prescrizione come introdotta a seguito della legge NOME, giacché elimina la sospensione che era stata introdotta nel 2017 per i fatti commessi dopo il 3 agosto 2017. Per effetto dell’applicazione dell’art. 2, comma 4, cod. pen., la disciplina della prescrizione oggi applicabile – risultante dalla espressa abrogazione della causa di sospensione della prescrizione della legge NOME – sarebbe
pertanto più favorevole rispetto a quella in vigore al momento del fatto commesso sotto la vigenza della riforma NOME. Ciò che non risulterebbe contraddetto dalla introduzione della causa di improcedibilità per superamento dei -termini massimi di durata del processo, introdotta al comma 2, lettera a), dell’art. 2 della legge n. 134 del 2021, che ha inserito nel codice di procedura penale l’art. 344-bis cod. proc. pen. per i reati commessi dopo il 10 gennaio 2020. Oltre a ciò, si è poi osservato che, con l’art. 344-bis cod. proc. pen., il legislatore ha introdotto i rimedio processuale dell’improcedibilità per i soli reati commessi dopo il primo gennaio 2020, ha disposto la cessazione del corso della prescrizione del reato con la pronuncia della sentenza di primo grado (con l’introduzione dell’art. 161-bis cod. pen.), ma, allo stesso tempo, ha espressamente abrogato la causa di sospensione della prescrizione introdotta dalla legge NOME sul regime prescrittivo della legge Cirielli, applicabile, proprio perché inserita in una disposizione specifica al comma 1 dell’art. 2, a tutti i reati, ivi compresi quelli commessi dal 3 agosto 2017 al 2 dicembre 2019.
Dunque, la disciplina risultante dalla espressa abrogazione, operata dall’art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 134 del 2021, in quanto norma penale posteriore più favorevole, comporterebbe la reviviscenza della disciplina ante legge NOME, norma più favorevole applicabile a tutti i reati commessi prima del 10 gennaio 2020, sicché per i reati commessi dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019, la disciplina della prescrizione risulterebbe regolata dalla disciplina introdotta dalla legge Cirielli, la quale, non prevedendo alcuna causa di sospensione del corso della prescrizione di cui al secondo comma dell’art. 159 (introdotta nel 2017 e successivamente esplicitamente abrogata), garantirebbe, pertanto, l’adozione di un termine massimo prescrizionale inferiore a quello contemplato da qualsiasi normativa succedutasi nel corso del tempo, a decorrere dall’agosto 2017.
2.2. Entrambi gli orientamenti, dunque, concordano nell’affermare che, nella fattispecie in esame, abbia avuto luogo un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, con la conseguente necessità di applicare la normativa più favorevole all’imputato, mentre divergono in ordine alla lettura della Riforma COGNOME. Infatti, il primo valorizza l’introduzione, contestuale all’abrogazione della sospensione precedentemente prevista dall’art. 159, secondo comma, cod. pen., della cessazione della prescrizione, anch’essa legata, come accadeva per la sospensione, alla pronuncia della sentenza di primo grado; il secondo poggia, invece, sulla considerazione che la legge n. 134 del 2021 avrebbe abrogato, per tutti i reati, ivi compresi quelli commessi dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019, la predetta sospensione.
Tutto ciò premesso, questo Collegio ritiene preferibile il primo orientamento, considerando più condivisibili gli argomenti sui quali esso si basa.
Ed invero, è principio costante nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui, in tema di successione di leggi incriminatrici nel tempo, la disposizione più favorevole debba essere individuata tenendo conto della disciplina nel suo complesso e non di singoli e specifici aspetti della stessa (Sez. 3, n. 14198 del 25/05/2016, dep. 2017, Rv. 270224; Sez. 7 n. 6545 del 04/11/2016, dep. 2017, Rv. 269059). La natura favorevole o sfavorevole della normativa sopravvenuta, rispetto a quella previgente, dunque, deve essere accertata in concreto, nella generalità dei casi, con riguardo all’intera disciplina di un reato o di un istituto, non essendo consentita l’applicazione di parte dell’una e di parte dell’altra normativa, e dovendosi invece fare riferimento a quella di esse risultante complessivamente più favorevole in base ad una valutazione combinata di tutti i suoi effetti.
Proprio con specifico riferimento all’istituto della prescrizione, è stato affermato che non è consentita l’applicazione simultanea di disposizioni introdotte dalla legge n. 251 del 2005 e di quelle precedenti, secondo il criterio della maggiore convenienza per l’imputato, occorrendo applicare integralmente l’una o l’altra disciplina (Sez. 5, n. 26801 del 17/04/2014; Rv. 260220; Sez. 5, n. 43343 del 05/10/2010, Rv. 248783; Sez. 1, n. 27777 del 01/07/2008, Rv. 240863; Sez. 6, n. 21744 del 24/04/2008, Rv. 240575; Sez. 1, n. 2126 del 19/12/2007, dep. 2008, Rv. 238639).
Ebbene, mentre l’orientamento minoritario, qui non condiviso, sembra rivolgere l’attenzione esclusivamente all’abrogazione dell’art. 159, secondo comma, cod. pen., e alla connessa sospensione dei termini prescrizionali, l’opzione interpretativa della giurisprudenza maggioritaria appare, all’opposto, tesa alla valorizzazione del nesso esistente tra le innovazioni introdotte dalla Riforma COGNOME in materia di prescrizione: da un lato, l’abrogazione del disposto di cui all’art. 159, secondo comma, cod. pen., in tema di «sospensione» dei termini; dall’altro, la simultanea introduzione, nel codice, dell’art. 161-bis, dedicato all «cessazione definitiva» del corso del termine di prescrizione.
Tali disposizioni normative, infatti, da un lato, sono contemplate dal medesimo comma 1 dell’art. 2, della legge 27 settembre 2021, n. 134 – a sottolinearne la speculare continuità – dall’altro, disciplinano la medesima fattispecie, in maniera pressocché sovrapponibile, al netto delle imprecisioni terminologiche della prima, giacché sono entrambe dirette all’individuazione degli effetti prodotti dalla pronuncia della sentenza di primo grado sul corso della prescrizione. Del resto, se è vero che la Riforma COGNOME utilizzava il termine «sospensione», mentre la Riforma COGNOME adopera il concetto di «cessazione»,
deve ritenersi altrettanto vero che entrambe le norme prevedono in realtà il blocco definitivo del termine prescrizionale a seguito dell’adozione della sentenza di primo grado, fino all’esecutività della stessa e salva l’ipotesi della regressione del procedimento, conseguente ad un suo eventuale annullamento, così cristallizzando una sostanziale duplicazione degli istituti, mascherata dietro la reale ed effettiva abrogazione della sospensione, mediante gli espedienti della ridenominazione dell’istituto e della ridislocazione dello stesso in altra – e formalmente diversa disposizione normativa. Ciò che, in altri termini, equivale a dire che tenere in considerazione la sola avvenuta abrogazione dell’art. 159, secondo comma, cod. pen., obliterando l’intervenuto inserimento dell’art. 161-bis, potrebbe comportare l’inevitabile violazione di quel divieto di parcellizzazione delle disciplin avvicendatesi nel corso del tempo, più volte affermato dalla giurisprudenza, con l’indebita creazione di una terza legge – di matrice, dunque, giurisprudenziale risultante dalla sommatoria di frammenti normativi dell’una e dell’altra precedente disciplina.
Se, dunque, la riforma COGNOME, lungi dall’aver abrogato una causa di sospensione, si è piuttosto limitata a sostituirla, simultaneamente, con una causa di cessazione, duplicandone tuttavia gli effetti sul piano sostanziale, devono allora ritenersi necessariamente sfavorevoli per l’imputato sia le disposizioni della riforma COGNOME che quelle della precedente riforma COGNOME, deteriori rispetto ad una disciplina che prevedeva solo due segmenti di effettiva sospensione del termine di prescrizione, ciascuno dei quali non superiore ad un anno e mezzo, quale quella introdotta dalla passata riforma NOME.
Le criticità della questione nascono, del resto, dal carattere inedito dell’istituto dell’improcedibilità.
Allo stato, la giurisprudenza di legittimità afferma la natura processuale dell’istituto in questione, con conseguente applicazione del principio di diritto intertemporale del tempus regit actum; ciò che, dunque, rende l’istituto in questione inapplicabile nel caso in esame, essendo stato il reato commesso in data 22 maggio 2018 e, dunque, in epoca antecedente all’entrata in vigore della rifprma COGNOME. La natura processuale dell’improcedibilità si rinviene espresSamente in Sez. 5, n. 334 del 05/11/2021, dep. 2022, Rv. 282419 – in cui è stata anche affermata la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 344-bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 2, comma 2, della legge 27 settembre 2021, n. 134, in relazione agli artt. 3 e 117 Cost., nella parte in cui limita l’applicazione della causa di improcedibilità dell’azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione ai soli reati commessi dal 10 gennaio 2020, in quanto detta disposizione ha natura
processuale, come tale non suscettibile di applicazione retroattiva, e risponde a criteri di ragionevolezza, per la finalità compensativa e riequilibratrice rispetto all disciplina introdotta dalla legge 9 gennaio 2019, n.3, in tema di sospensione del termine di prescrizione nel giudizio di appello, che prevede la medesima limitazione temporale applicativa – e, successivamente, in Sez. 3, n. 1567 del 14/12/2021, dep. 2022, Rv. 282408, ed in Sez. 7, n. 43883 del 19/11/2021, Rv. 283043-02, le quali hanno altresì chiarito che la limitazione cronologica dell’applicazione di tale causa di improcedibilità, cui consegue la non punibilità delle condotte, è frutto di una scelta discrezionale del legislatore, giustificata dall diversità delle situazioni e risulta coerente con la prescrizione nei giudizi di impugnazione, egualmente applicabile ai soli reati commessi a decorrere dalla suddetta data, essendo ragionevole la graduale introduzione dell’istituto per consentire un’adeguata organizzazione degli uffici giudiziari (v. anche Sez. 5, n. 17165 del 23/03/2023; Sez. 6, n. 25173 del 13/04/2023; Sez. 1, n. 41343 del 25/05/2023; Sez. 5, n. 38447 del 08/06/2023; Sez. 5, n. 36802 del 16/06/2023; Sez. 2, n. 44819 del 06/10/2023; Sez. 6, n. 47127 del 18/10/2023).
Nel caso di specie, pertanto, poiché il fatto per cui si procede è stato commesso in data 22 maggio 2018, e dunque nel vigore della c.d. legge NOME – applicabile per i reati commessi a far data dal 3 agosto 2017, fino al 31 dicembre 2020 – come correttamente osservato dalla Corte di appello di Catanzaro, al termine massimo di anni 5, necessario a prescrivere in base al combinato disposto degli artt. 157 e 161 cod. pen., dovranno essere aggiunti anni 1 e mesi 6 di sospensione della prescrizione, previsti dall’art. 159, secondo comma, cod. pen., nel testo introdotto da detta legge; cosicché, nella specie, tale termine andrà a scadere solo il 22 novembre 2024.
Passando all’esame del primo motivo di doglianza, occorre rilevare che, dagli atti processuali, cui questa Corte di legittimità ha accesso in ragione della natura del vizio denunciato (Sez. U., n. 42792 del 31/10/2001, Rv. 220092) e come correttamente dedotto dalla difesa, risulta che la notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza in appello del 5 luglio 2023 è stata per errore effettuata agli AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO, mentre è stata omessa nei confronti del difensore di fiducia nominato dal ricorrente, AVV_NOTAIO.
Orbene, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, l’omessa notifica al difensore di fiducia del decreto di fissazione dell’udienza in appello ex art. 601, comma 5, cod. proc. pen., integra una causa di nullità assoluta e insanabile, ai sensi degli artt. 178, comma 1, lettera c), e 179 cod. proc. pen., rilevabile in ogni stato e grado del giudizio; nullità che si proietta sulla sentenza
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impugnata, per lesione del diritto dell’imputato ad avere un difensore di sua scelta (Sez. U., n. 24630 del 26/03/2015, Rv. 263598; Sez. 3, n. 26266 del 18/01/2018, Rv. 273199; Sez. 2, n. 3945 del 12/01/2017, Rv. 269058; Sez. 1, n. 20449 del 28/03/2015, Rv. 259614).
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti alla Corte di appello di Catanzaro, restando gli ulteriori motivi di doglianza assorbiti.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti alla Corte di appello di Catanzaro, per l’ulteriore corso.
Così deciso il 15/05/2024.