Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26189 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26189 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Prato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/12/2023 della Corte di appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata e della sentenza del Tribunale di Prato del 3.12.2018, con trasmissione degli atti al Tribunale;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18/12/2023 la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza del 03/12/2018 del Tribunale di Prato, che aveva ha dichiarato l’imputato responsabile del reato di cui agli artt. 337, 99 cod. pen., condannandolo alla pena di mesi sette di reclusione.
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Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si deduce il vizio di violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità in relazione agli artt. 420-bis e 161, comma 4, cod. proc. pen.
Si rileva che l’imputato, nell’immediatezza dei fatti, ha nominato un difensore di fiducia e ha eletto domicilio presso lo stesso. Nella fase delle indagini preliminari il difensore ha rinunciato al mandato dichiarando di non voler più accettare le notificazioni in veste di domiciliatario dell’imputato. È stato, quindi, nominato un difensore di ufficio, cui sono state effettuate tutte le notificazioni successive, a sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen. per essere inidonea la prima elezione di domicilio.
Nella sentenza impugnata si ritiene tale procedura corretta non avendo l’imputato, benché notiziato della rinuncia al mandato difensivo, nominato un difensore di fiducia.
Deduce il difensore che non vi è la prova che l’imputato sia stato informato né della rinuncia al mandato da parte del difensore di fiducia né del suo rifiuto di ricevere le notificazioni in veste di donniciliatario; in ogni caso l’imputato non ha avuto contezza della pendenza del processo, perché l’atto di citazione è stato notificato al difensore di ufficio, con cui non ha mai avuto alcun effettivo contatto.
2.2. Con il secondo motivo si deduce il vizio di violazione di legge (art. 2 bis, comma 2, d.l. 137/2020), nella parte in cui la Corte ha omesso di valutare le conclusioni scritte della difesa.
Il difensore rileva di aver depositato conclusioni scritte nel giudizio di appello a mezzo PEC il 11/12/2023. Dalla sentenza, emessa all’udienza del 18/12/2023, risulta, invece, che tali conclusioni non erano pervenute.
Se è vero che le conclusioni sono facoltative, è vero anche che in questo caso avevano un “concreto contenuto difensivo valutabile” perché veniva introdotto il tema della prescrizione (si fa rinvio a Sez. 2, n, 25365 del 16/02/2023, Rv. 284865., secondo cui, in tema di disciplina emergenziale per il contenimento della pandemia da Covid-19, l’omessa valutazione, in sentenza, delle conclusioni inviate dalla difesa a mezzo PEC è causa di nullità generale a regime intermedio, ex art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., a condizione che l’atto, a prescindere dalla qualifica conferitagli dalla parte, abbia un effettivo contenuto argomentativo e costituisca concreto esercizio del diritto di difesa, posto che solo in tal caso si determina una lesione del diritto di intervento dell’imputato).
2.3. Con il terzo motivo si deduce il vizio di erronea applicazione di legge penale in relazione all’art. 337 cod. pen.
La Corte di appello non si è adeguatamente confrontata con il motivo di ricorso che denunciava l’assenza dell’elemento soggettivo (dolo specifico) del reato addebitato.
2.4. Con il quarto motivo si deduce il vizio di mancanza di motivazione in ordine all’applicazione della recidiva.
La sentenza impugnata omette di pronunciarsi sul motivo di appello relativo all’assenza di una adeguata motivazione della sentenza di primo grado in ordine alla sussistenza della recidiva.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il AVV_NOTAIO generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
E’ fondato il primo motivo di ricorso, che assume carattere assorbente.
Va premesso che si deve dare continuità al principio espresso da Sez. 6, n. 44156 del 03/11/2021, Rv. 282265, secondo cui la rinuncia al mandato da parte del difensore domiciliatario, con contestuale espressa dichiarazione, comunicata all’autorità procedente, di non accettare le notificazioni presso il proprio studio, priva di efficacia la precedente elezione di domicilio, che diviene inidonea ex art. 161, comma 4, cod. proc. pen., in quanto non in grado di assolvere alla sua funzione propria, che è quella di garantire la conoscenza degli atti del processo (nello stesso senso Sez. 6, n. 30636 del 22/10/2020, Rv. 279847; Sez. 4, n. 13236 del 23/03/2022 Rv. 283019).
Da ciò consegue che devono essere considerate formalmente regolari le notificazioni effettuate ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen. presso il difensore di ufficio nominato dopo la rinuncia al mandato di quello di fiducia.
Tuttavia tale modalità di notificazione dell’atto introduttivo del giudizio non è idonea a garantire l’effettiva conoscenza della pendenza del processo, laddove, come nel caso di specie, non vi sia stato alcun rapporto tra il difensore di ufficio e l’imputato.
Come affermato da Sez. U., n. 23948 del 28/11/2019, NOME, Rv. 279420, la disciplina del processo in assenza impone sempre di accertare se l’imputato abbia avuto effettiva conoscenza del processo o abbia volontariamente impedito alle autorità di informarlo ufficialmente in proposito.
In motivazione la Corte ha richiamato la sentenza della Corte Cost. n. 31/2017 che, richiesta di pronunciarsi sulla costituzionalità degli artt. 161 e 163 cod. proc. pen. «nella parte in cui non prevedono la notifica personale dell’atto introduttivo del giudizio penale, quantomeno nell’ipotesi di elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio», ha ritenuto che «l’esiguità degli elementi di fatto fornit impedisce a questa Corte di valutare se, nel caso concreto, vi sia stata un’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’imputato e, quindi, se si siano o meno realizzate le condizioni da cui dedurre l’esistenza di un rapporto di informazione tra il legale, benché nominato di ufficio, e l’assistito» e ha ritenuto che la prova di un tale rapporto effettivo, quindi, fosse necessaria «… per verificare, nel caso di specie, se gli imputati fossero, effettivamente, venuti a conoscenza della vocatio in iudicium oppure, se nonostante «le formalmente regolari notifiche» presso il domiciliatario, gli imputati non avessero alcuna consapevolezza dell’inizio del processo a loro carico».
Ebbene, nel caso di specie, il giudice di primo grado non ha compiuto alcuna verifica al riguardo, limitandosi a dichiarare l’assenza sulla base della regolarità formale delle notificazioni dell’atto introduttivo del giudizio. La Corte di appello cui era stato eccepita, in sede di impugnazione, la nullità della declaratoria di assenza per omessa conoscenza del processo da parte dell’imputato, ha ritenuto che la doglianza fosse infondata, in quanto l’imputato, benché notiziato della rinuncia al mandato, si è disinteressato del processo, omettendo di nominare nell’immediatezza un nuovo difensore di fiducia.
Dalla sentenza di primo grado non emerge la conoscenza della rinuncia al mandato da parte dell’imputato, che viene, peraltro, negata dal ricorrente.
In ogni caso, però, l’eventuale disinteresse dell’imputato non costituirebbe di per sé prova della volontaria sottrazione alla conoscenza della pendenza del processo, valorizzabile ex art. 420-bis, comma 3, cod. proc. pen.
Le Sezioni Unite già richiamate hanno infatti chiarito che la volontaria sottrazione richiede «condotte positive», da acclarare per il tramite di «un accertamento in fatto, anche quanto al coefficiente psicologico della condotta», non potendosi fare «rientrare automaticamente in tale ambito le situazioni comuni quali la irreperibilità, il domicilio eletto etc.» e mettendo in guardia l’interpr dall’esasperare «il concetto di “mancata diligenza”» informativa dell’imputato «sino a trasformarla automaticamente in una conclamata volontà di evitare la conoscenza degli atti, ritenendola sufficiente per fare a meno della prova della
consapevolezza della vocatio in ius per procedere in assenza», poiché ciò equivarrebbe al ritorno alle «vecchie presunzioni» che si era inteso superare già prima della più recente novella dell’art. 420bis (Sez. U, n. 23948/2019, cit).
Né la sentenza impugnata indica altre ragioni per ritenere la volontaria sottrazione alla conoscenza del processo.
In conclusione, quindi, deve ritenersi affetta da nullità assoluta la dichiarazione di assenza dell’imputato, non essendo stata preceduta da un accertamento in ordine all’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il difensore di ufficio, cui la citazione in giudizio è stata notificata, e l’impu stesso o all’esistenza di altri elementi idonei a far ritenere con certezza che quest’ultimo abbia avuto conoscenza del procedimento o si sia ad essa volontariamente sottratto.
La declaratoria di nullità dell’ordinanza con cui è stata dichiarata l’assenza rende invalidi tutti gli atti successivi, ai sensi dell’art. 185 cod. proc. pen., e impone annullare sia la sentenza di secondo grado che la sentenza di primo grado e di restituire gli atti al Tribunale di Prato per la celebrazione del giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nonché la sentenza del Tribunale di Prato del 3 dicembre 2018 e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Prato per il giudizio.