Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 21108 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 21108 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 23/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nata a Padova il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Camposampiero il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 30/1/2024 del Tribunale di Padova
Visti gli atti, l’ordinanza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
udita la requisitoria del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di rigettare i ricorsi;
udito l’AVV_NOTAIO, sostituto processuale dell’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia di NOME COGNOME, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso della ricorrente.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 30 gennaio 2024, il Tribunale di Padova – decidendo a seguito della sentenza con cui la Seconda Sezione di questa Corte aveva annullato l’ordinanza emessa il 25 maggio 2023 dall’anzidetto Tribunale nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME – ha rigettato l’istanza di riesame e confermato il provvedimento del 13 aprile 2023, con cui è stato disposto il sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321, comma 2, cod. proc. pen. e dell’art. 240 bis cod. pen. del patrimonio degli indagati e dei beni nella loro disponibilità diretta o indiretta, in relazione al reato autoriciclagg io.
La Seconda Sezione di questa Corte aveva accolto i ricorsi e rinviato per nuovo esame in ordine alle condotte delittuose ascritte agli indagati COGNOME e COGNOME e al requisito della proporzionalità dei redditi con riferimento alla terza interessata NOME COGNOME.
Avverso l’ordinanza del Tribunale del 30 gennaio 2024, tramite difensori, hanno proposto ricorsi per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il difensore di NOME COGNOME ha dedotto i motivi di seguito indicati.
4.1. Con il primo motivo ha dedotto la violazione dell’art. 273 cod. proc. pen. e dell’art. 240 bis cod. pen. nonché manifesta apparenza e contraddittorietà della motivazione in relazione alla sussistenza della sproporzione. In particolare:
Il Tribunale avrebbe formulato le medesime argomentazioni contenute nell’ordinanza del 25 maggio 2023 e sarebbe caduto nuovamente nello stesso errore già commesso con la pronuncia della prima ordinanza, essendosi limitato a sostenere l’illiceità delle risorse della ricorrente, accogliendo acriticamente le sommarie informazioni rese da soggetti già sentiti in precedenza e che sostanzialmente non avevano mai lavorato al fianco della medesima ricorrente.
Inoltre, il Tribunale – nell’affermare che lo stipendio della ricorrente, ove pure si volesse ritenere reale, sarebbe sproporzionato, avuto riguardo alla contrattazione RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE per il triennio 2021/2024, che prevede, come minimo lordo per le mansioni riferibili al quinto livello relativo al cali center manager, 1.341,60 euro mensili – avrebbe trascurato di considerare che la ricorrente si era occupata della gestione amministrativa della società con il ruolo di responsabile del call center, come emerge dall’allegato parere, redatto
dal consulente del lavoro, cosicché il reddito percepito per la qualifica ricoperta apparirebbe in linea con quanto disposto dal contratto collettivo RAGIONE_SOCIALE.
Il Giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto di poter incidere unicamente sugli acquisti effettuati dagli indagati nei due anni in esame, ossia 2021 e 2022. Al netto dei versamenti effettuati nel corso dell’anno 2020, annualità non inficiata dai provvedimenti cautelari, nonché della somma di euro 192.000,00, erogata dall’Istituto di credito, andrebbe presa in considerazione solo la somma di euro 35.373,00, versata dalla ricorrente nell’anno 2021 per l’acquisto dell’immobile. L’esito dell’accertamento, relativo al 2021, avrebbe un saldo positivo e risulterebbe coerente. Con riferimento al 2022, invece, verrebbe evidenziata un’incoerenza di soli euro 10.298,84, che non sarebbe rilevante ai fini del sequestro dell’immobile, atteso che tale calcolo non terrebbe in considerazione le riserve economiche della ricorrente.
Premesso che spetta all’accusa dimostrare la sproporzione dei beni intestati al terzo rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica dallo stess esercitata, da valutarsi con riferimento al momento dei singoli acquisti e al valore dei beni, di volta in volta acquisiti, la ricorrente ha dedotto che non sarebbe stato dimostrato che ella si fosse prestata alla titolarità apparente, al fine di favorire la permanenza dell’acquisizione del bene in capo al marito e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca. La motivazione del provvedimento impugnato sarebbe tautologica mentre la ricorrente avrebbe dimostrato di aver acquistato l’immobile con risorse lecite, disponendo il pagamento di acconti anche nel corso dell’anno 2020. Anche il presupposto della sproporzione tra i redditi relativi al 2021 sarebbe venuto meno, considerato che del tutto erroneamente era stato contabilizzato l’importo mutuato dalla banca per la compravendita dell’immobile.
Il difensore di NOME COGNOME ha dedotto violazione di legge per essere il decreto di fissazione dell’udienza della fase di rinvio, a seguito dell’annullamento disposto dalla Seconda Sezione di questa Corte, stato notificato al difensore di fiducia nominato esclusivamente per il ricorso per cassazione e non ai difensori di fiducia nominati per la fase del merito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è fondato, mentre quello di NOME COGNOME è inammissibile.
Prendendo le mosse dal ricorso di NOME COGNOME, deve rilevarsi che dall’esame degli atti, consentito a questa Corte in considerazione della natura processuale della questione sollevata, risulta che il ricorrente aveva nominato l’AVV_NOTAIO come difensore di fiducia esclusivamente per la proposizione del ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa il 25 maggio 2023 dal Tribunale di Padova nei confronti del medesimo COGNOME e di altri. Dopo l’annullamento con rinvio, disposto dalla Seconda Sezione di questa Corte, il decreto di fissazione dell’udienza di rinvio non è stato notificato ai difensori di fiducia precedentemente nominati dall’indagato.
Al COGNOME riguardo COGNOME deve COGNOME ricordarsi COGNOME che COGNOME questa COGNOME Corte COGNOME (v. Sez. 5, n. 25196 del 19/05/2010, COGNOME, Rv. 248473 – 01; Sez. 6, n. 2281 dell’1/6/1995, Piromallo, Rv. 203068 – 01)) ha già affermato che la nomina di un terzo difensore di fiducia, che sia abilitato, a differenza degli altri due difensori già nominati e non revocati, all’esercizio dinnanzi alle giurisdizioni superiori, ha effetto soltanto per la fase di legittimità. Si è precisato, c riferimento all’assistenza dinanzi alla Corte di cassazione, che il principio di cui all’art. 24 disp. att. cod. proc. pen. va interpretato alla luce dell’art. 613 cod. proc. pen., che richiede la presenza di un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte, così che si deve ritenere valida ed efficace la nomina del difensore cassazionista, per il giudizio di legittimità, anche se in eccedenza rispetto alle precedenti nomine di difensori di fiducia.
Peraltro, se è vero che la nomina del difensore cassazionista, proprio perché richiesta espressamente dall’anzidetta norma, in nessun caso può essere considerata eccedente rispetto alle nomine dei difensori di fiducia fatte per il giudizio di merito, essa esaurisce i suoi effetti nell’ambito del solo giudizio d legittimità, essendo necessario, invece, perché produca effetti anche nel giudizio di merito, che l’imputato, ove abbia nominato già due difensori di fiducia, provveda alla revoca di uno di essi.
Nel caso in esame, la nomina del difensore cassazionista aveva esaurito i suoi effetti con la conclusione del giudizio di legittimità, con la conseguenza che il decreto di fissazione dell’udienza della fase di rinvio dinanzi al Tribunale doveva essere notificato ai difensori di fiducia nominati dal ricorrente per la fase del merito.
L’omessa notifica ai difensori di fiducia del ricorrente concretizza una nullità assoluta ai sensi degli artt. 178, comma 1, lett. c) e 179, comma 1, cod. proc. pen., a nulla rilevando che la notifica è stata effettuata ad altro difensore.
Si impone, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale competente ex art. 324, comma 5, cod. proc. pen. per nuovo giudizio.
Il ricorso di NOME COGNOME, invece, è inammissibile, in quanto presentato da difensore non munito della procura speciale.
Questa Corte (Sez. 6, n. 2132 dell’11/01/2022, Ruffo, Rv. 282668 – 01) ha già avuto modo di affermare che la procura speciale, di cui deve essere munito il difensore del terzo interessato a pena di inammissibilità a norma dell’art. 100 cod. proc. pen., non richiede l’adozione di formule sacramentali, purché da essa emerga la chiara manifestazione di volontà di affidare ad un determinato professionista l’incarico di svolgere le difese necessarie alla tutela delle proprie ragioni in quella specifica procedura. Si è precisato che la procura speciale ex art. 100 cod. proc. pen. si differenzia da quella prevista dall’art. 122 cod. proc. pen., in quanto quest’ultima ha la funzione di attribuire al procuratore la capacità di essere soggetto del rapporto processuale, mentre la prima ha riguardo al conferimento di un mandato defensionale della parte rappresentata.
Muovendo da tali principi, deve rilevarsi, nel caso in esame, che le espressioni utilizzate dalla ricorrente nell’atto intitolato «nomina difensore di fiducia e procuratore speciale» risultano inidonee a conferire all’AVV_NOTAIO la procura speciale richiesta dall’art. 100 cod. proc. pen, in quanto nell’elenco dei poteri, conferiti all’anzidetto difensore, non è compreso anche quello di svolgere le difese nella specifica procedura avente ad oggetto anche il sequestro dell’immobile, intestato alla ricorrente, a tutela delle ragioni di quest’ultima.
Fermo restando il superiore rilievo, di per sé dirimente, può aggiungersi che, ad ogni modo, il ricorso è stato proposto per motivi non consentiti.
Deve premettersi che, in tema di provvedimenti cautelari reali, il ricorso per cassazione è consentito solo per violazione di legge ex art. 325 cod. proc. pen., ricomprendendosi in tale vizio, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo, posto a sostegno del provvedimento, del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’iter logico, seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/5/2008, COGNOME, Rv. 239692 e sulla scia di tale pronuncia: Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, COGNOME, Rv. 285608 – 01; Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, COGNOME, Rv. 254893 – 01).
Nel caso in esame, il ricorso proposto si fonda su doglianze non consentite, perché involgenti asseriti vizi di motivazione, a fronte di un provvedimento esente da violazioni di legge e non connotato da motivazione apparente.
Il Tribunale, infatti, attraverso un’analisi dettagliata degli elementi probatori è giunto alla conclusione che i redditi della ricorrente non fossero effettivi e lecit
ma rientrassero nell’attività di autoriciclaggio perpetrata dal coniuge, che era il vero titolare dell’immobile sequestrato alla moglie e acquistato con i proventi dell’attività illecita. Ha aggiunto che, quand’anche si volesse ritenere lo stipendio della NOME reale, esso appariva in ogni caso sproporzionato, avuto riguardo alla contrattazione RAGIONE_SOCIALE per il triennio 2021/2024, che prevede come minimo lordo per le mansioni riferibili al quinto livello, relativo al cali center manager, 1.341,60 C mensili.
Risulta di tutta evidenza che la motivazione del provvedimento impugnato non è inesistente né apparente e, quindi, non è sindacabile in questa sede.
In definitiva il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile e ciò comporta la condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) – della sanzione pecuniaria di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Padova competke ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen. Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 23/4/2024