Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 20205 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20205 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato in Serbia il 16/07/1977
avverso la sentenza del 30/05/2024 della Corte d’appello di L’Aquila visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME il quale ha chiesto che il ricorso venga accolto e che la sentenza impugnata venga annullata con rinvio;
lette le conclusioni dell’Avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME NOME, il quale si è riportato al ricorso, chiedendone l’accoglimento;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 30/05/2024, la Corte d’appello di L’Aquila, in parziale riforma della sentenza del 13/06/2022 del Tribunale di Pescara, per quanto qui interessa: 1) assolveva NOME COGNOME dai reati di indebito utilizzo di carte di pagamento (carte PostePay) di cui ai capi A), B) e D) dell’imputazione perché il fatto non costituisce reato; 2) confermava la condanna dell’COGNOME per il reato di truffa in concorso (con NOME COGNOME, nei cui confronti si era proceduto separatamente) ai danni di NOME COGNOME NOME di cui al capo H) dell’imputazione; 3)
rideterminava in otto mesi di reclusione ed € 200,00 di multa la pena irrogata all’imputato per tale reato di truffa in concorso.
Secondo il capo d’imputazione, lo stesso reato era stato contestato all’imputato «perché, in concorso con COGNOME NOME , con artifizi e raggiri consistiti nel simulare la disponibilità di un drone dji Phantom 4 e comunque nell’offrirlo in vendita sul sito Internet www.subito.it , nel pattuire telefonicamente le modalità di pagamento e di spedizione, nell’assicurare circa l’effettiva intenzione di spedire la merce offerta in vendita, inducendo in tal modo in errore circa la veridicità della proposta commerciale NOME COGNOME che per l’effetto pagava anticipatamente la somma di 500,00 euro tramite bonifico in favore della carta postepay avente numero NUMERO_CARTA formalmente intestata a COGNOME NOME, ma di fatto nella sua disponibilità, si procurava un ingiusto profitto consistente nella percezione della somma di € 500,00 euro con pari danno per la persona offesa che non riceveva il bene acquistato in quanto, ricevuto l’accredito si rendeva irreperibile».
Avverso tale sentenza del 30/05/2024 della Corte d’appello di L’Aquila, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME NOME COGNOME affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 125 e 179 cod. proc. pen.
Lo Hamza lamenta che la notifica all’imputato del decreto che dispone il giudizio era stata effettuata, il 24/11/2020, nel domicilio che egli aveva eletto presso il proprio difensore (l’avv. NOME COGNOME con l’atto depositato il 06/12/2018, nonostante, con l’atto depositato il successivo 18/12/2018, egli avesse revocato la suddetta elezione di domicilio presso il difensore e avesse dichiarato domicilio presso la propria abitazione in Pescara, INDIRIZZO con la conseguenza che sia il decreto che dispone il giudizio sia tutti gli atti a esso successivi avrebbero dovuto essergli notificati in quest’ultimo domicilio dichiarato.
Secondo il ricorrente, la Corte d’appello di L’Aquila, nel rigettare la sua eccezione di nullità della sentenza di primo grado conseguente alla nullità della notificazione del decreto che dispone il giudizio in quanto effettuata presso il difensore domiciliatario anziché nel domicilio che egli aveva successivamente dichiarato presso la propria abitazione, «pare non avvedersi che alla prima udienza del 15.9.2023, , nel rilevare che “la notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello” risultava essere stata effettuata in u domicilio diverso, provvedeva a stabilire che la notifica dovesse essere effettuata al domicilio dichiarato in data 18.12.2018, ovvero presso la propria abitazione indicata in Pescara».
Lo Hamza deduce ancora che «la giurisprudenza di vertice ha più volte precisato che la disposizione ex art. 161 co. 4 cpp possiede valenza solo allorquando la notifica sia stata correttamente effettuata nel luogo prescelto dall’imputato», mentre, «el caso che ci occupa, dunque, la notifica risulta essere stata effettuata in un domicilio completamente diverso, del tutto inidoneo a produrre gli effetti cui era diretta, ovvero la obiettiva conoscenza in capo all’imputato dell’atto introduttivo del giudizio innanzi il GUPT di Pescara», con la conseguente nullità assoluta e insanabile della stessa notificazione, a norma dell’art. 179 cod. proc. pen.
Pertanto, «nel caso in cui non si proceda alla notifica presso il domicilio eletto si verte in un caso di nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del giudizio in quanto la notifica all’imputato manca e non può ritenersi effettuata sulla base della presunzione di circolazione delle informazioni tra l’imputato e di difensore; mentre solo nel caso in cui la notifica sostitutiva sia stata effettuata al difensore di fiducia, dopo che la prima notifica personale è andata a buon fine al domicilio prescelto, l’omessa notifica presso il domicilio eletto può, invece, essere inquadrata come nullità generale a regime intermedio».
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) , c) ed e) , cod. proc. pen., la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo all’affermazione della sua responsabilità per il reato di truffa in concorso di cui al capo H) dell’imputazione.
Lo Hamza contesta che la Corte d’appello di L’Aquila «non fornisce alcun tipo di ragionamento discorsivo coerente in ordine alla disamina delle risultanze processuali, limitandosi solo ad un riassunto della contestazione senza alcun tipo di vaglio critico» e avrebbe trascurato di valutare elementi, che erano stati prospettati nel suo atto di appello, che sarebbero stati decisivi nel senso di escludere la sua responsabilità per il suddetto reato.
Lo COGNOME deduce in particolare che, nel suo atto di appello, aveva rappresentato «come il testimoniale escusso avesse provveduto a circostanziare una vicenda che solo apparentemente sembrava ricondurre all’odierno ricorrente», avendo specificamente argomentato che: «escusso il COGNOME in udienza, questi ha affermato di aver avuto contatti telefonici solo con il COGNOME NOME . Aggiungasi che con riferimento al danno patito, il COGNOME ha precisato di avere effettuato il bonifico in favore della carta postepay sempre intestata al COGNOME NOME, ma senza consentire di comprendere secondo quali elementi, anche per quanto in precedenza osservato, la disponibilità di detta carta sarebbe stata in capo all’Hamza ovvero se di concerto e in adesione con il Cappello» (pag. 3 dell’atto di appello).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo non è fondato.
La Corte d’appello di L’Aquila ha infatti correttamente ritenuto, in conformità all’orientamento nettamente maggioritario della Corte di cassazione, che la notificazione all’imputato del decreto che dispone il giudizio in un luogo diverso rispetto al domicilio validamente dichiarato o eletto determina una nullità a regime intermedio, la quale va eccepita entro i termini di decadenza di cui all’art. 182 cod. proc. pen., salvo che la notifica irrituale risulti, in concreto, inidonea a consenti l’effettiva conoscenza dell’atto da parte del destinatario, configurandosi, in tal caso, una nullità assoluta per omessa citazione a norma dell’art. 179 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 27546 del 03/04/2023, COGNOME Rv. 284810-01, relativa alla notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello e, in particolare, una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto valida la notificazione avvenuta presso il domicilio precedentemente eletto dall’imputato, lo studio del difensore di fiducia che, in quel caso, era stato peraltro successivamente revocato – piuttosto che presso il domicilio successivamente dichiarato, l’abitazione di residenza, rilevando che i nuovi difensori di fiducia dell’imputato nulla avevano eccepito davanti ai giudici di appello e che il ricorso non aveva fornito specifica indicazione di una tale assoluta inidoneità della notifica; Sez. 1, n. 17123 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266613-01, relativa a un caso in cui la notificazione del decreto di citazione a giudizio era stata effettuata, anziché al domicilio dichiarato dall’imputato, al suo difensore di fiducia, e con la quale la Corte ha precisato che una tale notificazione non è inidonea a determinare la conoscenza dell’atto da parte dell’imputato in considerazione del rapporto fiduciario che lo lega al difensore; Sez. 4, n. 40066 del 17/09/2015, COGNOME, Rv. 264505-01, relativa sempre a un caso di notificazione all’imputato del decreto di citazione a giudizio presso lo studio del difensore di fiducia anziché presso il domicilio dichiarato; Sez. 6, n. 29677 del 24/06/2014, COGNOME, Rv. 259819-01, relativa a un caso di notificazione del decreto che dispone il giudizio presso lo studio del difensore di fiducia invece che al domicilio validamente eletto e, in particolare, a una fattispecie – del tutt analoga a quella in esame – nella quale, pur essendo intervenuta la revoca dell’elezione di domicilio, il difensore di fiducia, la cui nomina non era stata del pari revocata, non aveva formulato alcuna osservazione sulla regolarità della notificazione del decreto che dispone il giudizio emesso dal g.u.p.). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Si tratta di un orientamento – che il Collegio condivide pienamente – che si muove sotto l’egida di un canone generale di “pregiudizio effettivo”, individuato come ragione ultima della disciplina delle nullità, e, al contempo, come limite capace di perimetrare i confini applicativi delle stesse. In altre parole, la Corte di cassazione ha fatto ricorso al “principio di offensività processuale”, secondo cui,
«perché sussista la nullità, non è sufficiente che sia stato posto in essere un atto non conforme al tipo, ma è necessario valutare se la violazione abbia effettivamente compromesso le garanzie che l’ipotesi di invalidità era destinata a presidiare» (Sez. 5, n. 27546 del 03/04/2023, COGNOME, cit.).
Anche le Sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza COGNOME, hanno avuto modo di chiarire che la notificazione della citazione a giudizio mediante consegna al difensore di fiducia ai sensi dell’art. 157, comma 8-bis, cod. proc. pen., anziché presso il domicilio dichiarato o eletto, dà luogo a una nullità a regime intermedio (Sez. U, n. 58120 del 22/06/2027, COGNOME, Rv. 271771-01).
Ciò posto, la Corte d’appello di L’Aquila, nel dare atto che la notificazione al Hamza del decreto che dispone il giudizio era stata erroneamente effettuata presso lo studio del suo difensore di fiducia anziché al domicilio che lo stesso COGNOME aveva successivamente validamente dichiarato, ha correttamente ritenuto, in conformità ai rammentati principi affermati dalla Corte di cassazione, che sussistesse una nullità non assoluta ma a regime intermedio della stessa notificazione e che tale nullità avrebbe quindi dovuto essere dedotta entro i termini di decadenza previsti dall’art. 182 cod. proc. pen., e ha quindi rilevato come ciò non fosse avvenuto, atteso che il difensore di fiducia, che era presente alla prima udienza del 11/01/2021 davanti al Tribunale di Pescara, nulla aveva eccepito al riguardo.
Si deve altresì rilevare che il ricorrente non ha indicato alcuna specifica ragione per la quale la lamentata irritualità della notificazione del decreto che dispone il giudizio avrebbe in ipotesi determinato l’inidoneità assoluta in concreto della stessa notificazione a fargli conoscere effettivamente l’atto, con la conseguenza che, in mancanza di elementi in base ai quali il Collegio possa giungere autonomamente a una tale conclusione, la deduzione del vizio di nullità assoluta della notificazione si deve ritenere generica.
Il secondo motivo è manifestamente infondato.
2.1. Costituisce un orientamento consolidato della Corte di cassazione quello secondo cui, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre cosiddetta “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (tra le tante: Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 25261501).
Costituisce, ancora, un principio pacificamente accolto dalla Corte di cassazione quello secondo cui, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non
sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali a imporre una diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spess della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747-01; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 26296501).
2.2. Rammentati tali principi, nel caso in esame, posto che la sussistenza della truffa è pacifica, quanto al concorso dell’imputato in tale reato, il Collegio ritien insussistenti i denunciati vizi di violazione di legge e motivazionale.
Infatti, in assenza di attendibili elementi di segno contrario, non si può ritenere né contraddittorio né manifestamente illogico reputare, come hanno conformemente fatto i giudici del merito, che il soggetto (lo COGNOME) che, ancorché non formalmente intestatario della carta Postepay sulla quale era stato chiesto di accreditare ed era stato effettivamente accreditato il prezzo del negozio truffaldino, era risultato avere l’effettiva disponibilità della stessa carta, per esse stato riconosciuto, sulla base dei filmati acquisiti, come colui che l’aveva utilizzata per effettuare i prelevamenti delle somme che costituivano il suddetto prezzo del negozio truffaldino, sia anche il reale beneficiario di tale prezzo e sia quindi, in quanto tale, responsabile, quanto meno a titolo di concorso, della truffa.
Risponde, del resto, a criteri di logica che l’autore della truffa individui una modalità esecutiva del reato che gli consenta di appropriarsi del relativo profitto e, al contempo, di rendere anche più difficile la sua identificazione, ciò che conferma la responsabilità, a titolo di concorso, dell’imputato, che una tale modalità ha, appunto, evidentemente individuato nell’utilizzazione di una carta PostePay formalmente intestata a un terzo (il Cappello).
Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 24/04/2025.