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Notifica al codifensore: quando il ricorso è infondato

Un imputato ricorre in Cassazione lamentando la violazione delle norme processuali per una presunta omessa notifica al codifensore di fiducia del decreto di citazione in appello. La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, giudicando la doglianza manifestamente infondata. Dall’esame degli atti è infatti emerso che il legale aveva regolarmente ricevuto la comunicazione tramite Posta Elettronica Certificata (PEC). Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Notifica al Codifensore: Quando un Vizio di Forma Non Sussiste

Nel processo penale, il rispetto delle forme e delle procedure è un pilastro fondamentale a garanzia del diritto di difesa. Una corretta notifica al codifensore di tutti gli atti rilevanti, come il decreto di citazione in appello, è essenziale per assicurare che l’imputato possa essere adeguatamente assistito. Tuttavia, cosa accade se un ricorso si basa su una presunta omissione che, alla prova dei fatti, si rivela inesistente? Un’ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un chiaro esempio di come la verifica scrupolosa degli atti processuali possa smontare una doglianza e portare a una dichiarazione di inammissibilità.

I Fatti del Caso: un Presunto Errore Procedurale

Il caso in esame trae origine dal ricorso di un imputato, condannato per il reato previsto dall’art. 291 bis del d.P.R. 43/1973, avverso una sentenza della Corte d’Appello. Il ricorrente lamentava, con un unico motivo, una grave violazione delle norme procedurali. Sosteneva, infatti, che il decreto di citazione per il giudizio di secondo grado non fosse stato notificato a uno dei suoi due avvocati di fiducia, rendendo nullo il procedimento.

La particolarità della vicenda risiedeva nel fatto che la Corte di Cassazione si era già espressa in precedenza sullo stesso procedimento, annullando con rinvio una precedente sentenza proprio per un difetto di notifica a uno dei difensori. Il ricorrente sosteneva quindi che la Corte d’Appello fosse incorsa nello stesso, identico errore, sebbene a parti invertite, omettendo questa volta la notifica all’altro legale.

La Sorprendente Decisione sulla Notifica al Codifensore

Contrariamente alle aspettative del ricorrente, la Suprema Corte ha rigettato completamente la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile perché manifestamente infondato. La decisione non si è basata su interpretazioni giuridiche complesse, ma su un’attenta e inconfutabile analisi degli atti processuali.

Il Collegio ha accertato che, contrariamente a quanto affermato nel ricorso, il legale in questione aveva ricevuto tutte le comunicazioni necessarie. Questa verifica è stata la chiave di volta dell’intera vicenda, trasformando un potenziale vizio di nullità in una doglianza priva di qualsiasi fondamento.

Le Motivazioni: La Prova Inconfutabile della Notifica via PEC

La Corte ha spiegato nel dettaglio le ragioni della sua decisione. Dall’esame del fascicolo processuale è emerso in modo inequivocabile che l’avvocato, che si asseriva non essere stato notiziato, aveva in realtà ricevuto due comunicazioni cruciali:

1. La notifica del verbale di udienza del 10 marzo 2023, che disponeva il rinvio della trattazione.
2. Il decreto di citazione ai sensi dell’art. 599 c.p.p., inviato e ricevuto tramite Posta Elettronica Certificata (PEC) in data 13 marzo 2023.

La PEC, con il suo valore legale di prova dell’invio e della consegna, ha fornito la prova certa che il difensore era stato messo a conoscenza del procedimento. La Corte ha inoltre sottolineato che, durante un’udienza precedente, l’altro codifensore aveva richiesto un rinvio per formalizzare una proposta di concordato sulla pena (c.d. patteggiamento in appello), procedura poi conclusasi con la sentenza impugnata. Questo dettaglio ha ulteriormente indebolito la tesi di una difesa inconsapevole o impossibilitata a partecipare.

Le Conclusioni: Inammissibilità e Conseguenze per il Ricorrente

L’ordinanza si conclude con una dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Questa decisione comporta due conseguenze significative per il ricorrente. In primo luogo, la condanna al pagamento delle spese processuali. In secondo luogo, il versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, una sanzione prevista per chi adisce la Suprema Corte con ricorsi palesemente infondati, abusando dello strumento processuale.

La lezione pratica che emerge è duplice: da un lato, ribadisce l’importanza cruciale della corretta gestione delle notifiche telematiche nel processo penale; dall’altro, serve da monito sulla necessità di verificare con la massima diligenza ogni affermazione posta a fondamento di un ricorso, poiché la sua manifesta infondatezza può portare a conseguenze economiche negative, oltre che a una pronuncia sfavorevole.

È valido un processo d’appello se uno dei due difensori di fiducia sostiene di non aver ricevuto la notifica del decreto di citazione?
No, non sarebbe valido se la notifica fosse effettivamente mancata. Tuttavia, nel caso specifico, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché, a seguito di una verifica degli atti, è emerso che il difensore aveva regolarmente ricevuto la notifica tramite Posta Elettronica Certificata (PEC).

Qual è la conseguenza di un ricorso giudicato ‘manifestamente infondato’ dalla Corte di Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, il ricorrente viene condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di denaro (in questo caso, 3.000 euro) a favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver presentato un appello privo di fondamento.

La prova dell’avvenuta notifica tramite PEC è sufficiente a smentire la doglianza del ricorrente?
Sì, la Corte ha ritenuto che la prova della ricezione della notifica del verbale di udienza e del decreto di citazione all’indirizzo di Posta Elettronica Certificata (PEC) del difensore fosse una prova sufficiente e decisiva per considerare la doglianza manifestamente infondata e rigettare il ricorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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