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Non menzione della condanna: il precedente non punibile

La Corte di Cassazione ha confermato il diniego del beneficio della non menzione della condanna a un imputato per furto. Sebbene un precedente non punibile per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.) non sia una condanna ostativa, il giudice può valutarlo negativamente come indice di persistenza nel commettere illeciti, giustificando così la negazione del beneficio discrezionale.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Non menzione della condanna: un precedente non punibile può fare la differenza

Il beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale è uno strumento cruciale per il reinserimento sociale del condannato. Ma cosa accade se l’imputato ha un precedente, seppur dichiarato non punibile per la sua particolare tenuità? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7410 del 2025, offre un chiarimento fondamentale: anche un fatto di lieve entità, che non ha portato a una condanna, può essere legittimamente considerato dal giudice per negare questo importante beneficio.

I fatti di causa

Il caso riguarda un individuo condannato in primo grado e in appello per il reato di furto aggravato. La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione non per contestare la colpevolezza, ma per un aspetto specifico della pena: il mancato riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, previsto dall’articolo 175 del codice penale.

La Corte d’Appello aveva motivato il diniego sulla base delle modalità della condotta, dell’intensità del dolo e, soprattutto, dell’esistenza di un precedente giudiziario per un fatto analogo, che era stato però archiviato per la particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131 bis c.p.

Il ricorso e la questione della non menzione della condanna

Il ricorrente ha sostenuto che la decisione della Corte territoriale fosse viziata da illogicità e violazione di legge. A suo avviso, non si poteva negare il beneficio basandosi su un precedente che non era una vera e propria condanna. Inoltre, ha evidenziato una presunta contraddizione nel fatto che i giudici di merito avessero riconosciuto la circostanza attenuante del danno di tenue entità (art. 62 n. 4 c.p.), dichiarandola equivalente alle aggravanti, per poi negare un beneficio finalizzato proprio al recupero del reo.

Il nucleo della questione legale era quindi stabilire se un provvedimento di proscioglimento per particolare tenuità del fatto potesse essere legittimamente interpretato come un indice negativo della personalità dell’imputato, tale da precludergli l’accesso alla non menzione della condanna.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, fornendo una disamina approfondita della natura e dei presupposti del beneficio in questione.

Innanzitutto, i giudici hanno ribadito che la concessione della non menzione della condanna è un atto di apprezzamento discrezionale del giudice di merito. Non è una conseguenza automatica della sospensione condizionale della pena, ma una decisione che deve essere motivata sulla base dei criteri di valutazione indicati nell’art. 133 del codice penale, tra cui rientrano i precedenti giudiziari e la condotta del reo.

Il punto centrale della sentenza riguarda la valenza di un proscioglimento per particolare tenuità del fatto. La Cassazione chiarisce che, sebbene tale provvedimento non costituisca una “condanna” ostativa ai sensi del primo comma dell’art. 175 c.p., esso non è giuridicamente irrilevante. La non punibilità per tenuità, infatti, presuppone l’accertamento di un fatto di reato completo in tutti i suoi elementi: tipicità, antigiuridicità e colpevolezza. Si tratta, in sostanza, di una rinuncia dello Stato a punire un reato effettivamente commesso, per ragioni di opportunità e politica giudiziaria.

Di conseguenza, tale precedente, pur non essendo una condanna, è un “precedente giudiziario” che il giudice ha il potere, e il dovere, di considerare. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto corretto il ragionamento dei giudici di merito, i quali hanno interpretato la commissione di una “azione delittuosa similare”, sebbene non punita, come una “manifestazione di persistenza del processo deliberativo dell’illecito”. Questo comportamento contrasta con la finalità del beneficio, che è quella di favorire il ravvedimento e il recupero sociale del condannato.

Infine, la Corte ha escluso qualsiasi contraddizione con il riconoscimento dell’attenuante del danno di lieve entità. Quest’ultima ha una valenza strettamente oggettiva, legata al pregiudizio economico arrecato, e rappresenta solo uno dei tanti criteri che guidano il giudice nella commisurazione della pena. La valutazione negativa sulla personalità dell’imputato, invece, si fonda su un’analisi più ampia che include anche i comportamenti passati.

Le conclusioni

La sentenza stabilisce un principio di diritto chiaro: un precedente proscioglimento per particolare tenuità del fatto, pur non essendo una condanna formale, può essere legittimamente utilizzato dal giudice come elemento di valutazione negativo per negare la concessione del beneficio della non menzione della condanna. La decisione del giudice deve basarsi su una ponderazione globale di tutti gli indici previsti dalla legge, e la presenza di un fatto-reato precedente, anche se non punito, può essere vista come un segnale di una non ancora avvenuta emenda, giustificando così il diniego di un beneficio volto a favorire il reinserimento sociale.

Un precedente archiviato per “particolare tenuità del fatto” impedisce di ottenere la non menzione della condanna?
No, non lo impedisce automaticamente perché non è una “condanna” in senso tecnico. Tuttavia, il giudice ha la facoltà di considerarlo come un elemento negativo nella sua valutazione discrezionale per negare il beneficio.

Perché il giudice può considerare un fatto non punibile per tenuità nel negare un beneficio?
Perché la non punibilità per tenuità presuppone comunque l’accertamento di un reato completo (fatto tipico, antigiuridico e colpevole). Pertanto, può essere valutato come un “precedente giudiziario” ai sensi dell’art. 133 c.p. per giudicare la personalità dell’imputato.

L’aver ottenuto l’attenuante del danno di lieve entità non è in contraddizione con il diniego della non menzione?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che l’attenuante del danno lieve ha una natura puramente oggettiva (riguarda l’entità economica del pregiudizio) e non si scontra con la valutazione negativa sulla personalità dell’imputato, che può basarsi su altri elementi come un precedente comportamento illecito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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