Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 34799 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 34799 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato in Cina il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/02/2025 della Corte d’appello di Milano Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni delle parti
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Cassazione, Sezione Terza penale, con sentenza n. 40853 del 25/06/2024, qualificato il fatto ascritto ad NOME come tentativo di reato ai sensi degli artt. 56 e 515 cod. pen., ha parzialmente annullato la sentenza emessa in data 11/07/2023 dalla Corte di appello di Milano, che aveva riqualificato il fatto ai sensi dell’art. 515 cod. pen. irrogando la pena condizionalmente sospesa di 2 mesi di reclusione, con rinvio per la rideterminazione della pena.
La Corte di appello di Milano, quale giudice del rinvio, ha rideterminato la pena in 1 mese e giorni 20 di reclusione, già condizionalmente sospesa, per il reato di cui agli artt. 56 e 515 cod. pen., confermando nel resto la sentenza di primo grado (che aveva dichiarato l’imputato colpevole del reato di cui all’art. 517 cod. pen. condannandolo alla pena di mesi 4 di reclusione ed euro 2.000 di multa).
3. NOME COGNOME propone ricorso per cassazione censurando la sentenza, con il primo motivo, per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 56 cod. pen. nonché per mancanza e contraddittorietà della motivazione rispetto agli atti del processo. Secondo la difesa, il giudice del rinvio ha erroneamente applicato la riduzione minima pari a un terzo sulla base di due motivi: il primo, secondo il quale il tentativo era stato portato a un livello avanzato di esecuzione in quanto la merce era già esposta per la vendita all’ingrosso, che si fonda su un travisamento delle risultanze istruttorie, da cui emergeva che solo in minima parte il materiale si trovava nella parte espositiva per la vendita; il secondo, in base al quale lo stato avanzato del tentativo ha inciso sul giudizio di gravità del fatto, che non tiene conto del fatto che il momento in cui la realizzazione del reato si interrompe è elemento non dirimente a tali fini. Inoltre, la Corte non si sarebbe espressa sulla richiesta della difesa di infliggere al l’imputato la pena pecuniaria. La Corte di appello sarebbe ulteriormente incorsa in violazione dell’art. 56 cod. pen. perché avrebbe dovuto rideterminare la pena e applicare la riduzione per il tentativo in maniera del tutto autonoma, senza prendere in considerazione la pena precedentemente irrogata, mentre nel caso in esame il giudice del rinvio si è limitato a ridurre di un terzo la pena precedentemente irrogata.
Con il secondo motivo deduce inosservanza o erronea applicazione degli artt. 175 cod. pen. e 597, comma 5, cod. proc. pen. nonché mancanza e contraddittorietà della motivazione. La Corte di appello, in fase di rinvio, ha ritenuto inammissibile l’istanza di concessione del beneficio della non menzione della condanna nel Casellario giudiziale in quanto non formulata nel ricorso per cassazione e comunque infondata nel merito. Secondo la difesa, la sentenza viola l’art. 597, comma 5, cod. proc. pen. che consent e al giudice di appello l’applicazione d’ufficio dei benefici. La riqualificazione del fatto a opera della Corte Suprema avrebbe imposto al giudice del rinvio, sollecitato con i motivi aggiunti del 31 gennaio 2025, di disporre d’ufficio il beneficio in par ola. Invece, la Corte territoriale lo ha negato in quanto l’imputato è gravato da un precedente penale e non ha mai manifestato alcun ravvedimento, in contrasto con gli atti acquisiti al processo, dai quali emerge che il precedente penale è stato dichiarato estinto in ragione di un comportamento ineccepibile, espressivo di ampi segni di ravvedimento, che gli sono valsi nel giudizio di secondo grado la sospensione condizionale della pena. Si è, dunque, negato l’ulteriore beneficio della non menzione senza adeguata motivazione sul punto.
Con il terzo motivo deduce inosservanza o erronea applicazione dell’art. 131 bis cod. pen. Considerato che dall’accusa iniziale di violazione dell’art. 517 cod. pen. si è passati alla meno grave condotta di frode nell’esercizio del commercio, oggi riconosciuta come tentata, la dichiarazione di inammissibilità dell’istanza
contenuta nella sentenza della Terza sezione della Corte di Cassazione è erronea in quanto la diversa qualificazione del fatto implica che possa essere per la prima volta invocata la causa di non punibilità dinanzi al giudice di legittimità e in quanto la Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile l’istanza in ragione della recidiva, sebbene esclusa dalla Corte di appello. La Corte di appello, in fase di rinvio, si è limitata a rilevare come l’istanza fosse stata dichiarata inammissibile dalla Corte di Cassazione nonostante tale dichiarazione sia frutto di un manifesto errore della Suprema Corte.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, ha depositato memoria di replica insistendo per l’annullamento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
In diritto, deve preliminarmente osservarsi che, in base all’art. 628, comma 2, cod. proc. pen., «In ogni caso la sentenza del giudice di rinvio può essere impugnata soltanto per motivi non riguardanti i punti già decisi dalla Corte di cassazione ovvero per inosservanza della disposizione dell’art. 627 comma 3.». Ciò implica l’inammissibilità del terzo motivo di ricorso, inerente alla asserita inosservanza o erronea applicazione dell’art. 131 bis cod. pen., in quanto si tratta di questione già decisa dalla Corte di Cassazione e l’impugnazione della sentenza del giudice di rinvio non può fungere da impugnazione della sentenza della Corte di legittimità, i cui eventuali errori possono e devono essere corretti con lo strumento del ricorso straordinario, ove ne sussistano i presupposti.
Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso, il Collegio ritiene che la valutazione discrezionale di riduzione della pena nella misura di un terzo espressa dal giudice del rinvio sia legittima e sorretta da motivazione ineccepibile. Il travisamento d ella prova allegato dal ricorrente si fonda su un’interpretazione della pronuncia impugnata non condivisa dal Collegio: da un lato, la gravità del fatto è stata desunta dall’entità dei prodotti industriali presentanti la marcatura CE contraffatta, e su questo punto il ricorso difetta di specificità per omesso confronto con tale passo della motivazione; dall’altro, lo stato di avanzamento del tentativo non è stato posto in correlazione con l’esposizione per la vendita di tutti i 111.000 prodotti con marcatura contraffatta, essendosi limitato il giudice del rinvio a
evidenziare come l’imputato avesse realizzato un passaggio ulteriore rispetto alla detenzione nell’esercizio commerciale di tali prodotti, avendo già provveduto all’esposizione della merce. Non rileva, nel contesto della motivazione, il quantitativo dei prodotti esposti quanto piuttosto lo stato di avanzamento della condotta in funzione della loro commercializzazione.
Incomprensibile si rivela la censura di omessa motivazione sull’istanza di applicazione della pena pecuniaria, essendo la motivazione chiaramente evincibile dalle ragioni sottese alla scelta di operare la riduzione minima sulla pena detentiva.
Inoltre, non corrisponde ad alcuna inosservanza dell’art. 56 cod. pen. l’applicazione della riduzione ivi prevista sulla pena di due mesi di reclusione determinata nella sentenza impugnata, essendo ammesso che il giudice di rinvio, al quale era demandata la rideterminazione della pena per il delitto tentato, abbia ritenuto congrua, a suo discrezionale giudizio, la pena irrogata nella sentenza annullata per il corrispondente delitto consumato.
3. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il giudice del rinvio, in replica ai motivi aggiunti con i quali la difesa aveva sollecitato l’applicazione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del Casellario giudiziale, non ha tralasciato di esaminare nel merito l’istanza e ha espressamente motivato la scelta di rigettarla alla luce dell’esistenza di un precedente specifico e in ragione dell’assenza di ravvedimento. Risulta, dunque, evidente che, pur avendo la difesa sollecitato il giudice di appello a far uso dei poteri uffici osi indicati dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., non vi sia stata alcuna violazione di tale disposizione (Sez. 4, n. 29538 del 28/05/2019, Calcinoni, Rv. 276596 -02).
Con riguardo ai presupposti del giudizio, va rimarcato che la valutazione in ordine alla concessione del beneficio della non menzione della condanna deve tenere conto dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., ai quali nel caso in esame il giudice del rinvio ha mostrato di essersi attenuto.
Occorre, a tale proposito, ricordare che le ragioni poste a fondamento del riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale non implicano l’obbligo di concessione del beneficio della non menzione ( Sez. 2, n. 16366 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 275813 -01: «Il beneficio della non menzione della condanna di cui all’art. 175 cod. pen. è fondato sul principio dell'”emenda” e tende a favorire il processo di recupero morale e sociale del condannato, sicché la sua concessione è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito e non è necessariamente conseguenziale a quella della sospensione condizionale della pena, fermo restando l’obbligo del giudice di indicare le ragioni della mancata concessione sulla base degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen.»), e che la vita
anteatta può costituire valido presupposto per il diniego, ancorché i precedenti penali siano dichiarati estinti, poichè l’ estinzione pronunciata ai sensi dell’art. 445 cod. proc. pen. non comporta anche la cancellazione dell’iscrizione della sentenza nel casellario giudiziale, in quanto detta iscrizione non rientra tra gli effetti penali della condanna di cui è prevista l’estinzione ed è contemplata dall’art. 5 d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, unicamente per i reati di competenza del giudice di pace (Sez. 1, n. 18233 del 26/03/2019, Colavita, Rv. 275469 -01). Ne consegue che una condanna precedente, anche se il relativo reato sia dichiarato estinto, conserva rilievo, in riferimento a successive condanne, nel giudizio circa la concessione del beneficio della non menzione nel certificato del casellario giudiziale.
Un filone interpretativo della giurisprudenza di legittimità (espresso da Sez. 1, n. 35893 del 18/7/2012, COGNOME, Rv. 253185 – 01; Sez. 1, n. 31089 del 18/6/2009, COGNOME, Rv. 244314 – 01 e Sez. 1, n. 28469 dell’11/7/2007, COGNOME), ha, inoltre, riconosciuto l’interesse a ottenere la riabilitazione, pur in presenza di estinzione del reato ai sensi dell’art. 445 cod. proc. pen., oltre che nel caso in cui il richiedente agisca in un momento antecedente al completo decorso del termine di cinque anni, previsto dall’art. 445, comma 2, cod. proc. pen. per il maturarsi dei presupposti della estinzione del reato (la riabilitazione, infatti, oggi può chiedersi tre anni dopo la data in cui la pena principale è stata eseguita o si è in altro modo estinta), anche sul presupposto che la pronuncia di riabilitazione postula un ampio accertamento circa il completo ravvedimento del soggetto, da condurre attraverso la valutazione del suo comportamento nel periodo intercorso tra l’espiazione della pena inflitta e il momento della decisione e manifestatosi anche nell’eliminazione delle conseguenze civili del reato, quando possibile. Ed invero, l’accoglimento dell’istanza di riabilitazione implica una favorevole considerazione del percorso rieducativo seguito dal condannato col concreto reinserimento nel contesto sociale e, quindi, il riconoscimento della meritevolezza del beneficio, oggetto di valutazione discrezionale da parte del giudice, che, al contrario, manca nella pronuncia di estinzione del reato (Sez. 1, n. 1836 del 13/09/2022 dep. 2023, Mejia, Rv. 284040 -01).
E’ stato anche evidenziato che a i fini del diniego della sospensione condizionale della pena, la sentenza di applicazione della pena, in quanto equiparata a sentenza di condanna, costituisce un precedente penale, valutabile anche nell’ipotesi in cui sia già intervenuta, ai sensi dell’art. 445, comma 2, cod. proc. pen., l’estinzione del reato cui essa si riferisce (Sez. 3, n. 43095 del 12/10/2021, Cecchinato, Rv. 282377 -01), ad analoga conclusione potendosi giungere per il giudizio inerente al diverso beneficio della non menzione della condanna nel certificato del Casellario giudiziale.
Per tali ragioni il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità. Alla inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così è deciso, 01/10/2025
Il AVV_NOTAIO estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME