Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11900 Anno 2019
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11900 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/11/2018
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a ASTI il 29/02/1956
avverso la sentenza del 11/10/2017 della CORTE ASSISE APPELLO di TORINO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
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Il P.G. conclude chiedendo l’annullamento senza rinvio con riferimento all’art. 61 n.2 c.p. di cui al capo C) della rubrica o in subordine la rimessione alle Sezione Unite per la risoluzione del contrasto giurisprudenziale e l’inammissibilità nel resto del ricorso.
udito il difensore
E’ presente l’avvocato COGNOME NOME del foro di BIELLA in difesa di NOME COGNOME che conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di assise di appello di Torino ha confermato la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Novara che dichiarava NOME COGNOME responsabile del delitto di evasione (A), del delitto di rapina impropria in danno di NOME COGNOME, aggravato dall’uso di arma, dall’essere stato commesso in un’abitazione e nei confronti di persona ultrasessantacinquenne e durante il tempo di sottrazione volontaria all’esecuzione della pena (B), del delitto di omicidio aggravato dal fatto di essere stato commesso per eseguire il reato di rapina e per conseguire l’impunità da tale reato e da latitante per procurarsi i mezzi di sussistenza durante la latitanza (C), del delitto continuato di cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina a NOME COGNOMEH), oltre che di altri reati (E, F e G) non di interesse in questa sede, reati tutti aggravati dalla recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale, e, ritenuta la continuazione e tenuto conto della diminuente per il rito, lo condannava alla pena dell’ergastolo.
1.1. Dopo essere evaso il giorno 11 settembre 2014 (uscito per il lavoro esterno e non più rientrato nella Casa circondariale di Alessandria) NOME COGNOME si era rifugiato nei boschi non distanti dalla cascina Calossa, nella quale viveva da sola la Milani. La sera stessa dell’evasione COGNOME era stato approvvigionato di cibo e indumenti da parte della moglie NOME e del figlio NOME. Nel primo pomeriggio del 13 settembre, certamente prima delle ore 16.00, si introduceva nel cortile della Milani e la colpiva sul capo con un oggetto contundente mai rinvenuto, secondo la consulenza medico-legale in atti con quattro colpi; i primi due, sempre secondo detta consulenza, quando la COGNOME si trovava in piedi “ferma e rivolta con il fronte ad una fontana” (lavabo in pietra posto a sinistra della porta d’ingresso) e quindi da tergo in zona occipitale sinistra, verticalmente rispetto all’asse del corpo, facendola prima sbattere contro la parete verticale e granulosa della fontana, tanto da lasciare una vasta traccia di sangue “a stampo”, poi cadere all’indietro, in posizione supina, tramortita ma ancora viva (come da autopsia e da quanto riferito dall’imputato); gli altri due colpi, calati dall’alto in basso, mentre la vittima era nella posizione appena descritta, prima in sede temporale destra e poi in sede fronto-parietale destra, con “completo sfacelo del tavolato osseo dell’area”, e tali da causare la rapida morte della vittima. Dopo il fatto Stentardo, oltre a spostare il corpo della
vittima in un piccolo locale lavanderia nelle immediate vicinanze, provvedeva a lavare con abbondante acqua corrente la zona nella quale aveva aggredito la COGNOME, per poi allontanarsi. Invero, alle ore 16.05 i congiunti della vittima, NOME COGNOME e NOME COGNOME, giunti alla cascina per trovare la zia come ogni sabato, lo videro spuntare dalla parte incolta del giardino, proveniente dalla boscaglia, impugnando uno strumento simile ad un bastone ovvero un’ascia “con qualcosa di rosso”, per poi repentinamente voltarsi e fuggire.
1.2, La Corte territoriale ritiene condivisibile la ricostruzione del Giudice di primo grado, che evidenzia come il racconto dell’imputato relativo al fatto che la COGNOME lo avesse scorto mentre era rientrato nel cortile per bere, dopo essersi già appropriato di alcuni capi di vestiario infilandoli in un sacchetto con il logo “ciao ciao” che gli era stato dato dalla moglie e dal figlio due giorni prima e che aveva occultato a lato della stradina, e si fosse messa ad urlare tanto da indurlo ad aggredirla, preso dal panico, sia smentito dalle risultanze medico-legali secondo le quali i primi due colpi furono sferrati da tergo mentre la vittima certamente non era rivolta verso l’estraneo e veniva piuttosto colta di sorpresa. Ritiene detta Corte, concordemente col primo Giudice, che l’accesso all’abitazione e quindi l’impossessamento di vestiario ed effetti personali della vittima sia avvenuto quasi certamente prima dell’omicidio; diversamente COGNOME avrebbe macchiato di fango il pavimento dell’abitazione, considerato l’abbondante lavaggio con acqua del cortile dopo l’evento letale. Considera, pertanto, non accoglibile la richiesta difensiva di riqualificazione in furto della rapina e piuttosto pienamente integrata la rapina contestata al capo B) e l’aggravante del nesso teleologico contestata con riguardo all’omicidio (capo C), come da sentenza di primo grado, la quale rileva che l’imputato ha colpito e ucciso l’anziana per conseguire l’impunità per l’impossessamento già avvenuto e verosimilmente per proseguire in sicurezza con la ricerca di beni e denaro, eliminando una scomoda testimone e assicurandosi anche un rifugio temporaneo, come dimostrato anche dal fatto che i testimoni lo videro ritornare verso la cascina, non allontanarsene. In ultimo la Corte sulla legittimità della contestazione sia del delitto di rapina (capo B), sia del delitto di omicidio con l’aggravante teleologica (capo C) e quindi sull’invocata esclusione di quest’ultima aggravante in quanto assorbita dalla rapina impropria, rileva non solo come la questione non sia oggetto di impugnazione, ma come sia condivisibile la sentenza n. 36901/2011
circa la compatibilità di tale circostanza aggravante con la rapina impropria.
Passando GLYPH all’ulteriore GLYPH rilievo GLYPH difensivo sulla GLYPH cessione GLYPH degli stupefacenti in favore di NOME COGNOME da parte di NOME COGNOME e in particolare sull’esclusione della rilevanza penale del fatto, da ricondursi, invece, ad un “uso di gruppo”, la Corte osserva come requisito essenziale per aversi tale tipo di uso, secondo la sentenza delle Sezioni Unite n. 25401/2013, sia il contributo economico da parte degli assuntori comuni e come nel caso di specie sia assolutamente certo che non vi fosse detto contributo da parte della COGNOME, “diciottenne, priva di qualsiasi attività lavorativa, lecita o illecita, allontanatasi da casa e che da alcuni mesi viveva con l’imputato dormendo entrambi in auto nei boschi”, dovendosi ritenere che le dosi di cocaina “le venivano tanto gratuitamente quanto illecitamente” cedute dall’imputato. Rileva la Corte come anche questo delitto sia grave, avendo COGNOME “reso dipendente dalla sostanza la sua amante, appena diciottenne, contemporaneamente commettendo altri reati per procurarsi la ‘provvista necessaria agli approvvigionamenti; e tutto ciò quotidianamente e per un lungo periodo – di circa un anno”.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore di fiducia, NOME COGNOME.
2.1. Col primo motivo di impugnazione vengono lamentati violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla circostanza aggravante di cui all’art. 576, comma 1, n. 1 cod. pen. e cioè di avere commesso il delitto di omicidio volontario “per eseguire il reato di rapina e per conseguire l’impunità da tale reato”. Rileva la difesa che, secondo la ricostruzione del primo Giudice fatta propria dalla Corte territoriale, la condotta oggetto di imputazione sub B), consistente nella “sottrazione di una busta contenente vari capi d’abbigliamento e di alcuni gioielli (due anelli in oro ed un braccialetto)”, sia stata compiuta anteriormente e autonomamente rispetto alla aggressione della vittima, essendo detta sottrazione avvenuta mediante l’introduzione nell’altrui domicilio senza violenza e minaccia e perfezionatasi mediante l’occultamento in una stradina nei pressi di detta abitazione degli oggetti, sui quali, quindi, COGNOME già aveva acquistato un’autonoma disponibilità. Tali circostanze escludono, secondo la difesa, che l’imputato abbia commesso l’omicidio volontario per eseguire il reato di rapina. Invero, secondo la ricostruzione dei Giudici di merito, una volta sottratti ed occultati i beni,
ci sarebbe stato il rientro nell’abitazione della vittima con l’intento di proseguire nella ricerca e sottrazione di ulteriori oggetti ovvero per procacciarsi un sicuro rifugio nella notte e in detto frangente sarebbe maturato l’omicidio della vittima, colpita a tergo. Il difensore rileva che, pertanto, non può essere contestata a Stentardo l’aggravante del nesso teleologico, non potendosi l’omicidio ritenere finalizzato all’esecuzione della rapina (rectius di un furto, per l’assenza di violenza e minaccia) ovvero per conseguire l’impunità per una sottrazione di beni già definitivamente occultati; e che i Giudici hanno ritenuto che il successivo omicidio sia stato compiuto per operare ulteriori sottrazioni, neppure contestate, o forse per procurarsi un rifugio, riconoscendo illogicamente e contraddittoriamente la contestata aggravante del perseguimento dell’impunità del fatto già commesso. Rileva la difesa che l’incertezza circa le ragioni che indussero l’imputato ad uccidere l’ignara vittima non consente il riconoscimento dell’aggravante in oggetto.
Il difensore sottolinea come sia il Giudice di primo grado che la Corte di assise di appello di Torino abbiano aderito all’orientamento giurisprudenziale secondo cui è possibile riconoscere la circostanza aggravante del nesso teleologico anche nell’ipotesi in cui la condotta violenta (nel nostro caso l’omicidio) sia elemento componente del reato concorrente, nel caso in esame il delitto di rapina impropria. Rileva come sulla questione sussista un conflitto della giurisprudenza, di legittimità in quanto a pronunce, tra cui quelle citate dai Giudici /di merito e una recente n. 18116/2017, in cui si afferma il riconoscimento della suddetta circostanza aggravante nell’ipotesi di rapina improPria commessa in concorso con il delitto di omicidio, si oppongono altre, secondo la difesa più condivisibili, conformi ad autorevole dottrina, che, in applicazione del principio di specialità sancito dall’art. 15 cod. pen. e del principio secondo cui lo stesso fatto non può essere posto a carico dell’agente una seconda volta, la violenza o minaccia adoperata dopo la sottrazione di una cosa mobile altrui, per assicurare a sè o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sè o ad altri l’impunità, è elemento costitutivo del reato di rapina impropria, di cui all’art. 628 primo capoverso cod. pen., valutato dal legislatore per configurare tale fattispecie di reato, e pertanto non può essere considerata una seconda volta a titolo di circostanza aggravante del nesso teleologico prevista dall’art. 576 n. 1 cod. pen. in relazione all’art. 61 n. 2 cod. pen.. Evidenzia il difensore come, pure a volere aderire alla tesi interpretativa seguita dalle sentenze
di condanna, la circostanza del nesso teleologico debba essere provata al di là di ogni ragionevole dubbio e non come nel caso in esame sulla scorta di considerazioni ipotetiche e dubitative, quali quelle espresse dalle sentenze di merito.
2.2. Col secondo motivo di impugnazione viene dedotta erronea applicazione della legge penale con riferimento alla circostanza aggravante di cui all’art. 576, comma 1, n. 3 cod. pen., ascritta a COGNOME per avere commesso il delitto di omicidio volontario da latitante “per procurarsi i mezzi di sussistenza durante la latitanza”. La difesa contesta l’equiparazione nel caso in esame tra evaso, quale era COGNOME, e latitante, quale status considerato nella summenzionata circostanza aggravante, rilevando come l’equiparazione espressa dall’art. 297, comma 5, cod. proc. pen. sia circoscritta al solo contesto dell’applicazione delle misure cautelari, nel solo ambito delineato dal codice di rito. Sottolinea come le situazioni di fatto sottese alla summenzionata aggravante, quali la volontaria sottrazione all’arresto, alla cattura o alla carcerazione, non sarebbero riscontrabili nei confronti dell’evaso. Rileva la difesa come comunque nel caso in esame non vi sia la prova al di là di ogni ragionevole dubbio del dolo specifico del conseguimento dell’impunità.
2.3. Col terzo motivo di ricorso sono denunciati vizio di motivazione e violazione di legge in ordine al delitto di rapina impropria. Si evidenzia ancora una volta come nel caso in esame il non trascurabile lasso temporale tra la commissione dell’illecita appropriazione e della violenza escluda che tale ultima condotta possa ritenersi “componente” la fattispecie complessa di cui all’art. 628, comma 2, cod. pen. e come, essendo stata commessa l’azione violenta fuori del contesto teleologico in cui è avvenuta la precedente azione sottrattiva, avendo l’imputato già conseguito prima dell’aggressione alla COGNOME il pieno possesso dei beni sottratti ed essendosi potuto allontanare dal luogo del furto senza essere scoperto prima di ritornarvi per ragioni non chiarite, debba essere configurato il furto piuttosto che la rapina.
2.4. Col quarto motivo di impugnazione viene dedotta violazione di legge in ordine al riconoscimento delle circostanze aggravanti di cui all’art. 628, commi 2 e 3 nn. 1 e 3 quinquies. Si rileva che l’aggravante dell’uso di arma nel caso specifico non è configurabile, essendo stata la vittima colpita da tergo con una presunta “arma impropria”, senza che sia stata esercitata alcuna intimidazione con detta arma e quindi senza che
sussista la circostanza sintomatica di maggiore pericolosità e giustificativa dell’applicazione dell’aggravante.
Lamenta, inoltre, la difesa che sia stata riconosciuta l’aggravante della commissione della rapina in danno di ultrasessantacinquenne sulla base della sola età anagrafica della vittima, presumendosi la colpa dell’imputato nella valutazione dell’età della persona offesa senza alcun accertamento in concreto sull’imputabilità (soggettiva) dell’aggravante come richiesto da conforme giurisprudenza.
2.5. Col quinto motivo di impugnazione viene dedotto vizio di motivazione con riferimento alla fattispecie di cui al capo H) di imputazione. Rileva il difensore che il primo Giudice ha ritenuto le sommarie informazioni rese da NOME COGNOME che riferiva di avere iniziato ad assumere con l’imputato quotidianamente cocaina da ottobre 2010 a novembre 2011, riscontrate da quelle rese in sede di interrogatorio da COGNOME Senza considerare che la convivenza con COGNOME era iniziata secondo entrambi tre-quattro mesi prima dell’arresto di quest’ultimo, dopo che la moglie del suddetto aveva scoperto il suo tradimento e lo aveva messo alla porta, e che precedentemente la ragazza viveva col padre e lavorava in un bar di Novara. E quindi errano sia il primo Giudice che la Corte territoriale laddove, nell’escludere il consumo di gruppo penalmente irrilevante, ritengono che la ragazza fosse dall’inizio della frequentazione con l’imputato priva di risorse economiche proprie e quindi certamente incapace di contribuire finanziariamente all’acquisto dello stupefacente, quando, invece, ciò era ipotizzabile solo con riferimento ad un periodo limitato.
2.6. Col sesto motivo di impugnazione si denuncia violazione di legge con riferimento all’art. 73,comma 1 d.P.R. 309/90, contestato al capo H) di imputazione. Si osserva che la sentenza di primo grado rileva che i rifornimenti di cocaina per circa un anno e quotidianamente negli ultimi quattro mesi, al ritmo di 1/1,5 grammi al giorno, non costituivano affatto consumo di gruppo, bensì una serie ininterrotta di cessioni illecite di stupefacenti a terzi, e, quindi, un fatto di indubbia gravità, sia per il numero di cessioni, sia per la lunghissima durata del periodo, sia infine per la particolare qualità della cessionaria, una ragazza da poco tempo maggiorenne. Si rileva che tale dinamica delle cessioni, avuto riguardo al quantitativo di droga di volta in volta ceduto pari ad una dose media giornaliera di cocaina, non consente di ravvisare la fattispecie di cui
all’art. 73, comma 1 d.P.R. 309/90, ma al più, avuto riguardo al quantitativo delle singole cessioni e non al quantitativo complessivo ceduto, una pluralità di violazioni del quinto comma del suddetto art. 73, avvinte dal vincolo della continuazione, anche considerato che le cessioni divenivano quotidiane solo nell’ultimo periodo e non erano sorrette in quanto gratuite dal fine di lucro, e che non potevano ritenersi di ostacolo al riconoscimento di tale fattispecie i precedenti specifici dell’imputato.
Rileva, infine, la difesa che dal calcolo della pena svolto dal primo Giudice, che indica solo la pena finale prima della riduzione per il rito, non si evince la pena base da cui si è partiti.
Sottolinea, quindi, la necessità di una rideterminazione della pena, previa riqualificazione della fattispecie ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90, alla luce dell’attuale formulazione della norma, più favorevole al reo.
Il ricorrente chiede, per tali motivi, l’annullamento della sentenza impugnata.
Con memoria successivamente depositata la difesa chiede la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite di questa Corte per la risoluzione del contrasto della giurisprudenza di legittimità sulla compatibilità tra l’aggravante del nesso teleologico in relazione ai reati che concorrono con la rapina impropria e quest’ultima.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Invero, sono inammissibili, ai sensi degli artt. 606, comma 3, e 609, comma 2, cod. proc. pen., il primo, il secondo, il quarto e il sesto motivo di impugnazione, concernendo questioni che non hanno costituito oggetto dei motivi di appello e non sono rilevabili d’ufficio ( si vedano : Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017 – dep. 14/06/2017, COGNOME, Rv. 270316, che evidenzia come in tal modo si sia voluto evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura “a priori” un inevitabile difetto di motivazione per essere stato sottratto alla cognizione del giudice di appello – fattispecie in cui la Corte ha ritenuto inammissibile il dedotto vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, atteso che la relativa questione non era stata prospettata in
appello, ove il ricorrente si era limitato a dolersi dell’illegittimo diniego all’imputato del beneficio della pena sospesa; Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012 – dep. 07/03/2013, COGNOME, Rv. 256631, che evidenzia che, in tema di ricorso per cassazione, la regola ricavabile dal combinato disposto degli artt. 606, comma terzo, e 609, comma secondo, cod. proc. pen. – secondo cui non possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o di quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello – trova la sua “ratio” nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso, non investito dal controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame – nella specie, la Corte ha ritenuto non rilevabile per la prima volta in cassazione la violazione del principio di correlazione fra accusa e difesa).
Nel caso in esame, con l’appello si chiedeva in primo luogo la riqualificazione dell’omicidio in omicidio di impeto e della rapina in furto, in secondo luogo l’assoluzione dal delitto continuato di cessione di cocaina a NOME COGNOME da qualificarsi come consumo di gruppo di detta sostanza escludendosene la rilevanza penale, in terzo luogo veniva censurata la dichiarazione di abitualità, in ultimo era invocato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Non era sollevata alcuna questione sulle aggravanti del nesso teleologico (primo motivo) e della commissione dell’omicidio durante lo stato di latitanza (secondo motivo), sulle aggravanti dell’uso di arma nella rapina e della persona offesa ultrasessantacinquenne (quarto motivo), sulla riqualificazione della cessione di cocaina ai sensi dell’art. 73, comma 5 d.P.R. 309/90, e sulla pena della stessa (sesto motivo).
Ne consegue che anche la questione della rimessione del ricorso alle Sezioni Unite, accennata nel primo motivo di ricorso e approfondita nella memoria difensiva successivamente depositata, è assorbita dall’inammissibilità del primo motivo.
Inammissibile è, inoltre, il terzo motivo di impugnazione in cui si invoca la riqualificazione della rapina in furto per essere stata commessa l’azione violenta ai danni della vittima fuori del contesto teleologico in cui è avvenuta la precedente azione sottrattiva. A fronte, quindi, di una motivazione non manifestamente illogica e scevra da vizi giuridici, come quella riportata in punto di fatto sulla sussistenza nel caso di specie degli
elementi costitutivi della rapina, la difesa invita ad una non consentita rivalutazione di elementi fattuali, riproponendo gli stessi argomenti dell’appello e non confrontandosi con la motivazione della sentenza impugnata che li approfondisce (peccando anche di aspecificità).
Inammissibili, infine, sono le doglianze di cui al quinto motivo di ricorso, ancora una volta aspecifiche e in fatto, a fronte di una motivazione come quella sopra riportata che, con argomentazioni non manifestamente illogiche e coerenti con le risultanze investigative e con il dato normativo e la sua interpretazione giurisprudenziale ( si veda Sez. U, n. 25401 del 31/01/2013 – dep. 10/06/2013, p.c. in proc. COGNOME, Rv. 255258, secondo cui anche all’esito delle modifiche apportate dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49 all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, il c.d. consumo di gruppo di sostanze stupefacenti, sia nell’ipotesi di acquisto congiunto, che in quella di mandato all’acquisto collettivo ad uno dei consumatori, non è penalmente rilevante, ma integra l’illecito amministrativo sanzionato dall’art. 75 stesso d.P.R., a condizione che: a) l’acquirente sia uno degli assuntori; b) l’acquisto avvenga sin dall’inizio per conto degli altri componenti del gruppo; c) sia certa sin dall’inizio l’identità dei mandanti e la loro manifesta volontà di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi, contribuendo anche finanziariamente all’acquisto : in motivazione, la SRAGIONE_SOCIALE. ha precisato che con il riferimento all’uso “esclusivamente personale”, inserito dall’art. 4bis del D.L. n. 272 del 2005, conv. in legge n. 49 del 2006, il legislatore non ha introdotto una nuova norma penale incriminatrice, con una conseguente restrizione dei comportamenti rientranti nell’uso personale dei componenti del gruppo, ma ha di fatto ribadito che la non punibilità riguarda solo i casi in cui la sostanza non è destinata a terzi, ma all’utilizzo personale degli appartenenti al gruppo che la codetengono), esclude il consumo di gruppo.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna di NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186 del 2000), anche al versamento a favore della Cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro tremila.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2018.