Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14507 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14507 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOMECOGNOME nato a Locri il 21/06/1993
avverso la sentenza del 10/10/2024 della Corte di Appello di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le richieste del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile; sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME anche in
sostituzione dell’avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Reggio Calabria ha integralmente confermato la pronuncia di condanna emessa in data 5 giugno 2019 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Locri nei confronti di NOME COGNOME per i reati di cui agli artt. 110-610, 110-612 e 110-56-628 cod. pen.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, articolando tre motivi di impugnazione, che qui si riassumono nei termini di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 125 cod. proc. pen. e 56 e 628 cod. pen. nonché correlati vizi di motivazione, con riferimento alla sussistenza di un nesso tra la minaccia e il successivo tentativo di impossessamento (non finalisticamente ricollegabile alla precedente condotta minatoria), nonché all’aggravante del fatto commesso da più persone (che postulerebbe anche la partecipazione del concorrente alla realizzazione del fatto tipico).
2.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 125 cod. proc. pen. e 610 e 612 cod. pen. nonché correlati vizi di motivazione, con riferimento all’esclusione da parte dei giudici del merito della progressione criminosa e dell’assorbimento tra i due delitti, ciò che avrebbe viceversa imposto di ricondurre l’intera complessiva condotta a un’unica fattispecie.
2.3. Violazione di legge in relazione agli artt. 125 cod. proc. pen. e 56 e 393 cod. pen. nonché correlati vizi di motivazione, con riferimento alla mancata derubricazione dei fatti nel tentativo di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, posto che tale reato potrebbe essere perpetrato anche dal terzo che agisce per tutelare le ragioni di un mandante.
2.4. Violazione di legge in relazione agli artt. 125 cod. proc. pen. e 51 cod. pen. nonché correlati vizi di motivazione, con riferimento alla ribadita insussistenza della scriminante di avere agito per tutelare il proprio diritto all’immagine.
2.5. Violazione di legge in relazione agli artt. 62-bis e 133 cod. pen. nonché correlati vizi di motivazione, con riferimento alla commisurazione della pena e alla mancata concessione delle attenuanti generiche, dovendosi a tal fine avere riguardo anche al comportamento processuale dell’imputato, che aveva reso confessione.
All’odierna udienza pubblica, le parti presenti hanno concluso come riportato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, nei termini di seguito illustrati.
In primo luogo, non può dirsi manifestamente infondato il quarto motivo, in particolare per quanto attieneAta possibile sussistenza, in forma putativa, della scriminante dell’esercizio di un diritto.
La Corte territoriale, dopo aver escluso, in termini giuridicamente corretti (richiamando il luogo pubblico in cui erano state effettuate le riprese), la configurabilità di situazioni soggettive tali da giustificare la condotta dell’imputato, esclude, però, tautologicarnente la plausibilità di un diverso, sia pure infondato, convincimento in tal senso da parte dell’agente, nonostante l’alto grado di tecnicismo delle precedenti considerazioni (pp. 4-5).
Per i delitti di cui ai capi A (violenza privata) e B (minaccia), il tempo necessario a prescrivere il reato deve individuarsi in complessivi sette anni e sei mesi, comprensivi dell’aumento di un quarto, ai sensi degli artt. 157 e 161 cod. pen. Posto che il dies a quo deve individuarsi, come indicato nella rubrica imputativa, nel 5 maggio 2017, il termine di legge risulta decorso, anche tenuto conto dei trentacinque giorni di sospensione ricavabili ex actis, in data 10 dicembre 2024.
Occorre, quindi, avuto riguardo alla suaccennata lacuna motivazionale, rilevare immediatamente, ex art. 129, comma 1, cod. proc. pen., non risultando evidenti cause di proscioglimento nel merito, l’estinzione per intervenuta prescrizione dei due suddetti reati.
La declaratoria di tale causa di non punibilità determina l’annullamento senza rinvio della sentenza di condanna, in parte qua.
Gli ulteriori motivi dedotti dai suddetti ricorrenti in relazione ai due delitti i questione risultano assorbiti, restandone preclusa ogni disamina dalla necessità dell’immediata declaratoria di estinzione.
Le correlate statuizioni civili in favore della parte civile costituita NOME COGNOME devono essere confermate, ai sensi dell’art. 578, comma 1, cod. proc. pen.
Quanto al residuo delitto di tentata rapina, si rileva, preliminarmente, come la questione sulla configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 1, cod. pen. (fatto commesso da più persone riunite) non risulti previamente dedotta con l’atto di appello e non sia dunque deducibile in questa sede, ex art. 606, comma 3, cod. pen.
lì
Risultano, invece, fondati i profili di censura, articolati nel primo motivo di ricorso, attinenti alla mancata illustrazione del nesso di strumentalità tra le condotte minatorie e il conato di sottrazione del telefono cellulare.
4.1. La rubrica imputativa aveva per oggetto tre distinti reati, ascritti all’odierno imputato e ad altri soggetti non identificati, posti ipoteticamente in essere in un unico contesto spazio-temporale (cfr. sentenza del Tribunale, pp. 46).
La vicenda è stata così ricostruita dai giudici di merito, risolvendo il problema dell’unità, conseguente a un’invocata progressione criminosa, o pluralità di reati, in favore della seconda soluzione, tenuto conto della diversità di soggetti passivi:
prima serie di minacce verbali e di violenza (mediante condotta di guida tale da obbligare all’arresto del veicolo), ricondotte all’ipotesi di cui all’art. 610 cod. proc. pen. (capo A), rivolte a COGNOME (anche quale autista) e al cameraman/regista COGNOME, con il fine strumentale di far fermare il mezzo e lo scopo ultimo di far cancellare le immagini;
tentativo di sottrazione da parte di COGNOME del telefonino di COGNOME (capo C), con decisione repentina e conseguente alla supposizione di nuove videoriprese effettuate con il cellulare, mentre stava intimidendo gli altri presenti nell’abitacolo della vettura nei termini suaccennati;
nuove minacce verbali ex art. 612 cod. pen. (capo B), con la diversa finalità di non farli più tornare in paese.
Orbene, risulta ben motivato il fine di impossessamento e non è revocabile in dubbio il prefigurato profitto ingiusto con altrui danno, sia pure di contenuto non prettamente patrimoniale, conseguente all’ottenimento dell’apparecchio telefonico e di tutti i dati, anche iconografici, ivi contenuti. Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, il profitto della rapina può concretarsi in ogni utilità, anche so morale, nonché in qualsiasi soddisfazione o godimento che l’agente si riprometta di ritrarre, anche non immediatamente, dalla propria azione (Sez. 2, n. 37861 del 09/06/2023, COGNOME, Rv. 285190-01; Sez. 2, n. 23177 del 16/04/2019, COGNOME, Rv. 276104-01; Sez. 2, n. 11467 del 10/03/2015, COGNOME, Rv. 263163-01, nonché, in tema di furto, Sez. U, n. 41570 del 25/05/2023, C., Rv. 285145-01).
Tuttavia, per quanto attiene al nesso finalistico che deve intercorrere tra le condotte minatorie e il tentativo di afferrare il telefono, la sentenza impugnata offre solo un generico richiamo alla situazione venutasi a creare («il tentativo in questione è coerente con il descritto contesto e si ricollega direttamente al fatto che l’imputato e il suo sodale ritenevano che la giornalista li stesse riprendendo mentre formulavamo le minacce di cui si è detto», p. 4). Appare evidente la cesura logica e la lacuna motivazionale di questo passaggio argomentativo, dato che, nella ricostruzione della Corte di appello, le minacce sino ad allora espresse avevano altri destinatari e tutt’altro obiettivo.
Perché sia configurabile il reato di rapina, tra la violenza e la minaccia, che ne sono elementi costitutivi, e il successivo impossessamento deve insistere imprescindibilmente e con carattere di immediatezza – un nesso causale (Sez. 2, n. 21830 del 01/07/2020, Leonardo, non mass.; Sez. 2, n. 48603 del 15/10/2019, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 10812 del 12/09/1995, COGNOME, Rv. 202668-01).
4.2. La sentenza impugnata deve essere, quindi, annullata con rinvio per nuovo giudizio limitatamente alla contestata rapina.
Il Giudice del rinvio, che si individua in altra Sezione della Corte di appello di
Reggio Calabria, accerterà se il tentativo di sottrare il telefono di COGNOME sia avvenuto o meno avvalendosi strumentalmente di violenza o minaccia, con ogni
conseguente e successiva valutazione in tema di qualificazione del fatto e del regime di procedibilità.
Risultano assorbiti gli ulteriori profili di censura, che necessitano di un compiuto apprezzamento della vicenda storica, anche per quanto attiene alle
dinamiche del foro interno, o che presuppongono l’accertamento di responsabilità.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui ai capi A) e B) perché estinti per prescrizione.
Conferma le statuizioni civili in relazione ai predetti reati.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo C) con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Reggio Calabria. Così deciso il 18 marzo 2025.