Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 27717 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 27717 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOMENOME nato a TUFARA il 01/12/1963
avverso la sentenza del 21/06/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME uditi il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi e l’avv.to COGNOME COGNOME che ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 21/6/2024 la Corte d’appello di Bologna confermò la sentenza del Tribunale di Forlì in data 17/6/2021 che aveva ritenuto COGNOME Matteo responsabile dei reati di cui agli artt. 8 e 10 d.lgs. 74/2000 in relazione all’emissione, nel periodo compreso fra il 21/7/2014 e il 9/9/2014, delle fatture n. 16, 20, 24 e 25 per operazioni oggettivamente inesistenti, al fine di permettere l’evasione IVA alla RAGIONE_SOCIALE e alla distruzione o occultamento, sempre al fine di evasione, delle fatture “emesse e ricevute dalla società RAGIONE_SOCIALE, accertato il 27/7/2015, e unificati i reati, lo aveva condannato alla pena di anni due e mesi sei di reclusione, oltre pene accessorie.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione COGNOME, con due distinti ricorsi, a firma degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME
Il ricorso dell’avv.to COGNOME con il primo motivo, denuncia “l’intervenuta prescrizione dei reati” essendo stati i medesimi “posti in essere il 9/9/2014”.
3.1 Con il secondo motivo, denuncia la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nonché la violazione di legge processuale. Si deduce che:
i beni oggetto delle fatture incriminate erano stati “in precedenza” venduti dalla RAGIONE_SOCIALE alla società di COGNOME, cui occorrevano per eseguire i lavori che la cedente aveva commissionato alla cessionaria;
a seguito della “mancata o contestata realizzazione dei lavori stessi…la COGNOME si è vista costretta a ricedere i beni”;
le operazioni di vendita e rivendita avevano determinato “un credito IVA pari a zero”;
nessun addebito per le predette operazioni era stato mosso alla RAGIONE_SOCIALE
3.2 Con il terzo motivo, si denuncia la violazione di legge penale e processuale e tutti i vizi della motivazione. Si deduce che dalle operazioni di acquisto e vendita non poteva essere derivato alcun vantaggio fiscale e, ancora, che la RAGIONE_SOCIALE non era tenuta a richiedere la documentazione fiscale alla RAGIONE_SOCIALE per i beni che aveva acquistato.
3.3 Con il quarto motivo, si denuncia la “mancata assunzione della prova” non avendo i giudici di merito acquisito le visure camerali che avrebbero provato che commercio dei mezzi meccanici rientrava fra le attività delle due società.
3.4 Con il quinto motivo, si denuncia la violazione dell’art. 195 cod. proc. pen., essendo stata la condanna fondata sulla deposizione del mar. della Guardia di Finanza COGNOME che aveva dato conto degli accertamenti svolti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE dai colleghi di Trani.
3.5 Con il sesto motivo, si denuncia la violazione di legge processuale e sostanziale e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 533 cod. proc. pen. e 10 d.lgs. 74/2000. Si deduce che: non era rimasto accertato chi avesse proceduto alla distruzione delle fatture; mancava la prova del dolo specifico previsto dalla norma incriminatrice.
3.6 Con il settimo motivo, si denuncia la violazione di legge processuale e sostanziale e il deficit di motivazione, in relazione agli artt. 533, “63 e 64” cod. proc. pen. e 10 d.lgs. 74/2000 non essendo rimasto provato il dolo specifico richiesto dalle norme incriminatrici;
3.7 Con ultimo motivo, si denuncia la violazione di legge in relazione agli artt. 8 comma 2 bis d.lgs. 74/2000, 131 bis cod., “richiamato dall’art. 13 comma 3 ter del d.lgs. 74/2000, art. 2 c.p. e art. 25 Cost.” e il deficit di motivazione. Si assume
che: non vi era stato alcun danno per l’Erario; è “tautologico ed errato affermare che l’emissione delle false fatture denota una spiccata capacità criminale”; ricorrevano gli estremi per l’applicazione dell’art. 8 comma 2 bis d.lgs. 74/2000 nonché dell’art. 131 bis cod. pen.; la sentenza di primo grado non spiega il trattamento sanzionatorio applicato.
Il ricorso dell’avv.to COGNOME si articola nei seguenti motivi:
4.1 In “via preliminare”, si denuncia la prescrizione del reato di cui all’art. 8 d.lgs. 74/2000 essendo stata esclusa la recidiva contestata.
4.2 Con il “primo motivo”, si denuncia il vizio di motivazione con argomenti che sostanzialmente ricalcano quelli sintetizzati ai punti 3.1 e 3.2.
4.3 Con il “secondo motivo” si denuncia il vizio di motivazione, in tutte le sue declinazioni. Si deduce che la COGNOME RAGIONE_SOCIALE, nel 2014, eseguì lavori di carpenteria metallica presso cantieri della RAGIONE_SOCIALE e per realizzarli acquistò i macchinari di cui alle fatture incriminate, beni che alla fine dei lavori vennero rivenduti alla RAGIONE_SOCIALE, così consentendo alla COGNOME di “effettuare i lavori a costo zero”. L’appalto sarebbe comprovato: dalle “lettere di richiesta autorizzazione alla compensazione inviate dalla COGNOME alla COGNOME, acquisite in atti”; dalle fatture n. 7, 9, 10, 13 e 17 del 2014 che documentavano i lavori di carpenteria eseguiti tramite i mezzi di cui alle fatture incriminate e la cui veridicità non è stata oggetto di contestazione alcuna.
Si aggiunge che la deposizione di COGNOME che costituiva la principale prova a carico, era generica e aveva a oggetto accertamenti che erano stati condotti da altri soggetti.
4.4 Con ultimo motivo si denuncia, in relazione al reato di cui all’art. 10 d.lgs. 74/2000, la violazione dell’art. 649 cod. proc. pen. essendo stato per tale reato l’imputato giudicato con la sentenza n. 979/19 del Tribunale di Forlì, divenuta irrevocabile il 27/5/2022 per effetto della sentenza n. 38090 della Cassazione. Si deduce che la Corte d’appello aveva respinto l’eccezione valorizzando la data di accertamento e sostenendo che si trattava di due “vicende diverse”, benché la distruzione avesse avuto a oggetto, in entrambi i processi, le fatture intercorse fra la COGNOME e la COGNOME.
Il processo, all’udienza del 4/3/2025, è stato rinviato ad oggi in quanto non risultava notificato l’avviso di fissazione udienza all’avv.to COGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
È fondata l’eccezione di improcedibilità sollevata dall’avv.to COGNOME risultando gli altri motivi inammissibili in quanto manifestamente infondati o non dedotti con l’atto di gravame.
I motivi d’impugnazione volti a contestare l’inesistenza delle operazioni documentate dalle fatture non si confrontano con la motivazione impugnata che:
desume l’integrazione del reato di cui all’art. 8 d.lgs. 74/2000 dal fatto che dalle verifiche condotte dalla Guardia di Finanza di Trani nei confronti della RAGIONE_SOCIALE non era emersa traccia dell’acquisto o anche solo della disponibilità in capo alla predetta società dei beni che costituivano oggetto delle fatture incriminate, benché dalle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della COGNOME rinvenute emergesse che nel medesimo anno gli stessi beni erano stati ceduti dalla prima alla seconda;
disattende la spiegazione alternativa prospettata dalla difesa rilevando che era rimasto ndimostrato il rapporto di appalto per la cui esecuzione i macchinari sarebbero stati trasferiti dalla RAGIONE_SOCIALE alla COGNOME, mesi prima che quest’ultima li rivendesse alla cedente. Sotto quest’ultimo profilo, la Corte osserva che la dichiarazione datata 25/7/2014 della RAGIONE_SOCIALE, riportante la sottoscrizione di COGNOME, con cui si attestava che sarebbero state compensate “le partite finanziarie di cui alle fatture in addebito”, era palesemente inverosimile in quanto la compensazione di ogni “rapporto di debito/credito” fra le due società non consentiva di comprendere il vantaggio economico che dall’appalto sarebbe derivato alla società appaltatrice.
Tale argomento si integra con quello del Tribunale che aveva rilevato che l’ipotesi del noleggio era rimasto “un mero enunciato” “non chiarito nelle sue motivazioni economiche e giuridiche non vedendosi quale potesse essere stato l’impedimento a conferire all’affare la corretta veste giuridica”.
2.1 Anche in ordine all’esito del contratto, palese risulta il contrasto fra le versioni esposte nei due ricorsi, avendo l’avv.to COGNOME sostenuto che la restituzione dei beni alla RAGIONE_SOCIALE era stata imposta dalla risoluzione del rapporto, “chiaramente imputabile ad una mancata o contestata realizzazione dei lavori stessi”; nella ricostruzione dell’avv.to COGNOME invece, l’appalto era stato eseguito dalla COGNOME, essendo stato dedotto che la sRAGIONE_SOCIALE. dell’imputato, avendo completato i lavori, non necessitava più dei mezzi che la COGNOME le aveva precedentemente trasferito per permettere l’esecuzione dell’appalto.
E’ quasi superfluo segnalare che entrambe le ipotesi difensive non trovano riscontro alcuno nel compendio probatorio.
2.2 Non è neanche vero che il trasferimento dei beni dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE e la successiva vendita dei medesimi alla cedente,
complessivamente valutate, avrebbero avuto un effetto neutro sulla prima società, in quanto le fatture di acquisto riducevano VIVA a debito nella liquidazione mensile.
2.3 L’imputato, inoltre, era il legale rappresentante della società e non è stato contestato che la gestisse personalmente. Non emerge dalle sentenze di merito né è stato dedotto con i ricorsi, ancora, elemento alcuno che consenta di riferire l’occultamento o la distruzione di fatture che l’imputato aveva l’obbligo di custodire a terzi. Non sussiste, quindi, alcun dubbio in ordine alla riferibilità della distruzione o dell’occultamento a COGNOME Matteo.
2.4 La doglianza relativa alla violazione dell’art. 195 cod. proc. pen. proposta dall’avv.to COGNOME risulta manifestamente infondata non essendo stato neppure allegato che la difesa avesse richiesto l’escussione della fonte delle informazioni riferite dal teste COGNOME
Generica risulta la doglianza relativa alla mancata acquisizione delle visure camerali, proposta dall’avv.to COGNOME avendo sul punto la Corte territoriale spiegato, con motivazione del tutto logica, l’irrilevanza di tali documenti. L’argomentazione della Corte territoriale non è scalfita dal ricorso che ripropone l’importanza delle visure senza spiegare perché tali documenti avrebbero scardinato la tenuta logica del ragionamento probatorio fondante la condanna per il reato di cui all’art. 8 d.lgs. 74/2000, risultando evidente che gli scopi sociali dell due società non dimostrano che i macchinari entrarono mai a far parte della struttura aziendale della RAGIONE_SOCIALE e che furono trasferiti dapprima alla COGNOME e poi da questa nuovamente alla RAGIONE_SOCIALE.
Inammissibili, in quanto non risultano dalla sintesi dei motivi di appello riportati nella sentenza impugnata; risultano le doglianze relative all’insussistenza del dolo richieste dalle norme incriminatrici contestate, all’applicazione dell’art. 8 comma 2 bis d.lgs. 74/2000 e all’art. 131 bis cod. pen.
Posto che i difensori avrebbero avuto il dovere processuale di contestare specificamente, in ricorso, il riepilogo dei motivi di gravame operato dalla Corte di appello nella sentenza impugnata, se ritenuto incompleto o comunque non corretto (cfr: Sez. II, n. 9028 del 5 novembre 2013, dep. 25 febbraio 2014, CED Cass. n. 259066), e posto che alcuna contestazione al riguardo è stata formulata, deve inferirsi che la censura in scrutinio è stata tardivamente sollevata, non essendo deducibili per la prima volta in sede di legittimità vizi non dedotti in precedenza come motivo di appello (in tal senso, ex multis, Sez. V, n. 48703 del 24 settembre 2014, CED Cass. n. 261438 Sez. 7, ord. n. 27561 del 19/4/2024, COGNOME; Sez. 3, 24555 del 4/6/2024, Loviso; Sez. 3, n. 24270 del 9/5/2024, Cobaj).
5. Venendo all’eccezione di improcedibilità per violazione del principio del bis in idem sollevata dall’avv.to COGNOME va osservato che con la sentenza n. 979, resa in data 8/7/2019 dal Tribunale di Forlì, COGNOME fu giudicato colpevole del reato di cui agli artt. 81 cod. pen. e 10 d.lgs 74/2000 “per aver distrutto in parte le scritture contabili e i documenti sottoindicati di cui è obbligatoria la conservazione in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume di affari:…anno d’imposta 2014: fatture di vendita aventi nnrr. 7,9,10,13 e 17”.
L’eccezione impone, preliminarmente, di stabilire la rilevanza che assume la reiterazione, da parte dell’agente, delle condotte tipiche sanzionate dalla norma citata nel caso di distruzione o occultamento di differenti documenti contabili relativi al medesimo periodo d’imposta. In tanto, infatti, sarebbe configurabile la violazione del divieto di «bis in idem» denunciata in quanto si ritenga che il reato di cui all’art. 10 d.lgs. 74/2000 resta unico anche nel caso in cui vengano occultati o distrutti, anche in tempi diversi, più documenti contabili.
Ritiene il Collegio, recependo la posizione sul tema espresso dalla migli& dottrina, che il carattere unitario dei concetti fiscali di “ricostruzione di reddito” di “volume di affari”, in rapporto ai quali deve essere apprezzato l’evento della impossibilità della ricostruzione, imponga di ritenere che l’occultamento o la distruzione, realizzati in tempi diversi, di più documenti integri un unico reato. In tale senso è ormai attestata la giurisprudenza di legittimità che, dopo una prima sentenza che configurava una pluralità di reati (Sez. 3, n. 33624 del 26/6/2002), ha ripetutamente precisato che il reato di cui all’art. 10 d.lgs. 74/2000 ha natura unitaria, rimanendo integrato dall’occultamento o distruzione di una o più scritture contabili o documenti obbligatori, con la conseguenza che l’eventuale pluralità di documenti accertati o distrutti incide solo sul piano sanzionatorio, alla luce dei parametri di cui all’art. 133, comma 1, nn. 1 e 2 cod. pen. ( Sez. 3, n. 38375 del 09/07/2015, COGNOME, T.M., Rv. 264761 – 01; Sez. 3, n. 45950 del 20/6/2017, COGNOME; Sez. 3, n. 12403 del 5/2/2025, COGNOME).
Non vi sono ragioni per discostarsi da un tale orientamento, specie nel caso di specie, risultando le fatture delle quali la sentenza passato in giudicato prova la distruzione o l’occultamento rientrare, in quanto relative ai rapporti fra la RAGIONE_SOCIALE e la · COGNOME, nella documentazione contabile oggetto del capo b) dell’imputazione, che addebita a COGNOME di aver sottratto le “fatture omesse e ricevute dalla società RAGIONE_SOCIALE“.
A ciò consegue che, in relazione al capo della sentenza relativo all’art. 10 d.lgs. 74/2000, la possibilità di sanzionare la condotta accertata trova ostacolo nella sentenza del Tribunale di Forlì divenuta irrevocabile il 27/5/2022.
Va, quindi, accolta l’eccezione di violazione del bis in idem fatta valere dall’avv.to COGNOME
Venendo all’eccezione di prescrizione, il reato di cui all’art. 8 d.lgs. 74/2000 si riferisce a fatture emesse dopo il 21/7/2014. Il termine di prescrizione di anni dieci scadeva, perciò, in epoca successiva al 21/7/2024; l’eccezione è pertanto infondata, posto che l’inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità. (vedi Sez. 2, Sentenza n. 28848 del 08/05/2013, Rv. 256463).
Per completezza va precisato che, ai fini del computo della eventuale prescrizione, deve essere preso in considerazione il momento della lettura del dispositivo della sentenza di condanna, anche nel caso in cui non sia data contestuale lettura della motivazione, e non quello successivo del deposito della sentenza stessa (Sez. 3, n.12823 del 20/10/1980, dep. 03/12/1980, COGNOME, Rv. 146949; Sez. 5, n. 46231 del 04/11/2003, dep. 02/12/2003, COGNOME, Rv. 227575; Sez. 3, n. 18046 del 09/02/2011, dep. 10/05/2011, COGNOME, Rv. 250328).
Tale conclusione non trova ostacolo nell’annullamento senza rinvio del capo della sentenza relativo al reato di cui all’art. 10 d.lgs. 74/2000.
Trova, infatti, applicazione il principio secondo cui in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l’ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati possa determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016 – dep. 14/02/2017, COGNOME e altro, Rv. 268966).
L’inammissibilità dei motivi relativi al reato di cui all’art. 8 d.lgs. 74/2000 impedisce, pertanto, che per tale reato possa essere rilevata la prescrizione maturata successivamente alla pronuncia impugnata.
In conclusione, nell’esercizio dei poteri conferiti a questa Corte dall’art. 620 comma 1 lett. I) cod. proc. pen., deve essere rideterminata la pena inflitta all’imputato sottraendo alla determinazione effettuata dalla sentenza impugnata l’aumento applicato per la continuazione, pari a mesi sei di reclusione, restando la pena irrogata in anni due di reclusione.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo b) per difetto della condizione di procedibilità ai sensi dell’art. 649 cod. proc. pen.,
poiché l’azione penale non poteva essere iniziata ed elimina la relativa pena di mesi sei di reclusione. Dichiara inammissibili i ricorsi nel resto.
Così deciso il 24/6/2025