Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 10595 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 10595 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/03/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME COGNOME per l’inammissibilità.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME, unitamente a NOME COGNOME e NOME COGNOME, è stato arrestato in flagranza per avere commesso due rapine nell’arco della notte del 10/1/2014 e per i reati oggetto dell’attuale processo.
Il processo relativo alle due rapine, celebrato separatamente, si è concluso per l’attuale ricorrente con la condanna per uno solo dei due reati contestati.
Il primo grado dell’attuale processo, relativo alla sola detenzione e ricettazione dell’arma, nel quale erano imputati l’attuale ricorrente e NOME COGNOME, si è concluso con la sentenza di condanna di entrambi pronunciata dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Napoli in data 22/9/2015.
Avverso la sentenza gli imputati hanno proposto appello e la Corte ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di COGNOME in quanto lo stesso risultava essere già stato processato per il medesimo fatto unitamente alle rapine.
La stessa Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 9/3/2023, in parziale riforma della sentenza impugnata ha dichiarato non doversi procedere per il reato di cui all’art. 497 ter oggetto del capo C) perché estinto per prescrizione e, rideterminata la pena in anni due e mesi quattro di reclusione, ha confermato nel resto la condanna nei confronti di COGNOME NOME in relazione ai reati di detenzione e porto di una pistola a salve modificata di cui all’art. 23, commi 1, 3 e 4 L. 110/1975 e 648 cod. pen. per la ricettazione della medesima arma.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato che, a mezzo difensore, ha dedotto i seguenti motivi.
3.1. Vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento del principio del ne bis in idem di cui all’art. 649 cod. pen. evidenziando che la conclusione della Corte territoriale sarebbe errata in quanto, come già ritenuto per il coimputato COGNOME, il fat oggetto dell’attuale processo sarebbe stato già contenuto nella pronuncia relativa ai reati di rapina. Sotto tale profilo, pertanto, sarebbe del tutto ingiustificato il rigetto dell’i presentata al fine di riunire i due processi.
3.2. Vizio di motivazione in relazione all’art. 530 cod. proc. pen. in quanto la Corte territoriale non avrebbe tenuto nel dovuto conto la diversa conclusione cui era pervenuto il primo giudice che ha assolto l’imputato da una delle due rapine.
3.3. Violazione dell’art. 531 cod. proc. pen. con riferimento al reato di ricettazione pe il quale, come fatto per il reato di cui all’art. 497 ter cod. pen., la Corte avrebbe dov dichiarare l’estinzione per prescrizione, ciò in quanto i giudici di merito avrebbero del tut omesso di accertare la data di consumazione del reato.
3.4. Violazione del diritto di difesa con riferimento all’omesso avviso di cui all’art. 5 bis cod. proc. pen. che era in vigore allorché la sentenza di appello è stata pronunciata.
3.5. Violazione dell’art. 133 cod. pen. con riferimento alla determinazione della pena.
In data 8 novembre 2023 sono pervenute in cancelleria le conclusioni con le quali il AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO. NOME COGNOME chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Nel primo motivo la difesa deduce il vizio di motivazione in relazione all’art. 649 cod. pen.
La doglianza, proposta ora per la prima volta, è manifestamente infondata.
Dalla lettura della sentenza risulta che nel primo processo l’attuale ricorrente è stato processato per il concorso in due rapine e condannato per una sola delle due, entrambe commesse con le stesse modalità e l’uso della medesima pistola oggetto dell’attuale contestazione.
In tale processo all’attuale ricorrente non erano contestati i reati di cui agli artt. commi 1, 3 e 4 L. 110/1975 e 648 cod. pen. oggetto dell’attuale processo e tra i fatti storico naturalistici, per l’evidente e radicale differenza di tutti gli elementi costitutiv vi è alcuna sovrapponibilità.
Né, d’altro canto, l’assoluzione per una delle due rapine si pone in termini di contraddittorietà logica con l’attuale affermazione di responsabilità.
Sul punto, infatti, ciò che rileva è che lo stesso ricorrente sia stato condannato, con sentenza passata irrevocabile, per il concorso nella seconda rapina commessa la stessa notte utilizzando la medesima pistola indicata nell’attuale capo di imputazione. Circostanza questa decisamente significativa della responsabilità del ricorrente a titolo di concorso anche per la detenzione, il porto e la ricettazione dell’arma.
Nel secondo motivo la difesa deduce il vizio di motivazione in relazione all’art. 530 cod. proc. pen. in ordine all’affermazione di responsabilità.
La doglianza è manifestamente infondata.
La Corte, la cui motivazione si salda ed integra con quella del giudice di primo grado, infatti, con il riferimento alle modalità di rinvenimento dell’arma su indicazione degl autori delle rapine, pure riconosciuta da una delle persone offese, ha fornito congrua risposta alle generiche critiche contenute nell’atto di appello e ha esposto gli argomenti per cui queste non erano in alcun modo coerenti con quanto emerso nel corso delle indagini.
Alla Corte di cassazione, d’altro canto, è precluso, e quindi i motivi in tal senso formulati non sono consentiti, sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito.
Il controllo che la Corte è chiamata ad operare, e le parti a richiedere ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., d’altro canto, è esclusivamente quello di verificar stabilire se i giudici di merito abbiano o meno esaminato tutti gli elementi a lor disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (così Sez. un., n. 930 del 13/12/1995, Rv
203428; per una compiuta e completa enucleazione della deducibilità del vizio di motivazione, da ultimo Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv 280601; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, COGNOME, Rv. 276062: Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217; Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482). : Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, COGNOME, Rv. 284556 – 01
Sotto tale aspetto, a fronte di una motivazione coerente e logica quanto alla riferibilità dell’arma a tutti e tre i soggetti che hanno commesso anche una sola delle rapine, ogni ulteriore critica, che trova peraltro fondamento in una diversa ed alternativa lettura dell’istruttoria dibattimentale, risulta del tutto inconferente (Sez. 2, n. 7986 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217), ciò anche con riferimento alla presunta e inesistente incompatibilità dell’affermazione di responsabilità per la detenzione e il porto dell’arma con l’assoluzione per una delle due rapine.
Nel terzo motivo la difesa deduce la violazione dell’art. 531 cod. proc. pen. con riferimento al reato di ricettazione che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarar estinto per prescrizione in quanto i giudici di merito avrebbero del tutto omesso di accertare la data di consumazione del reato.
La doglianza è manifestamente infondata.
Il termine di prescrizione per il reato di ricettazione è di anni dieci, ciò anche qualor -caso che peraltro non ricorre nella specie- sia riconosciuta l’ipotesi attenuata di cui a secondo comma in quanto questa non costituisce una autonoma figura di reato ma una circostanza attenuante, sicché, ai sensi dell’art. 157 cod. pen., non può tenersene conto ai fini della determinazione del termine di prescrizione, da computarsi con riferimento al limite edittale massimo previsto per l’ipotesi-base (Sez. 7, n. 39944 del 08/07/2022, COGNOME, Rv. 284186 – 01).
Alla data di celebrazione del processo di appello, pertanto, il reato di ricettazione, accertato in data 10 gennaio 2014, non era prescritto.
Nel caso di specie la data di commissione del reato, costituito dall’avere ricevuto una pistola a salve modificata e qualificabile come arma clandestina, infatti, deve essere individuata in quella in cui il reato è stato accertato.
In tale situazione, d’altro canto, in assenza di una diversa e possibile individuazione della data di commissione del reato presupposto e di allegazioni difensive sul punto, la consumazione del reato di ricettazione deve essere fissata in quella dell’accertamento (per la diversa ipotesi che si verifica quando è certa la data di commissione del reato presupposto cfr. da ultimo Sez. 2, n. 44322 del 15/10/2021, Ceglia, Rv. 282307 – 01).
Nel quarto motivo la difesa deduce la violazione del diritto di difesa con riferimento all’omesso avviso di cui all’art. 545 bis cod. proc. pen.
La doglianza, formulata in termini astratti e generici, è manifestamente infondata.
5.1. L’art. 545 bis cod. proc. pen., introdotto con il D.Lgs 150 del 2022 e in vigore dal 30 dicembre 2023, prevede che, quando la pena detentiva applicata sia contenuta nei quattro anni, il giudice, se ritiene che ricorrano le condizioni, avvisa le parti della possibi che sia disposta una pena sostitutiva tra quelle previste dell’art. 53 L. 681 del 1989.
La norma, posta per il giudice di primo grado, non prevede alcuna sanzione né il caso in cui il giudice ometta di procedere in tal senso configura una delle nullità di ordin generale di cui all’art. 178 cod. proc. pen.
La possibilità di provvedere come previsto, cioè di avvisare le parti dopo la lettura del dispositivo della possibilità che sia applicata una pena sostitutiva, infatti, è rimessa a discrezionalità del giudice di merito, tenuto in prima battuta a verifica se ricorrano condizioni previste per la sostituzione.
Nel caso in cui il giudice di primo grado non vi proceda, pertanto, si deve ritenere che sia onere della parte sollecitare il giudice dell’impugnazione di merito, cioè di norma la Corte di appello, a provvedere in tal senso, richiedendo quindi espressamente, anche indicandone le ragioni a sostegno, che sia applicata una pena sostitutiva.
La medesima questione, poi, qualora questa sia stata oggetto di specifica e puntuale deduzione in appello, può essere oggetto di ricorso per cassazione nei soli termini della carenza di motivazione sul punto, non potendo diversamente essere devoluta per la prima volta in sede di legittimità (in senso sostanzialmente analogo con riferimento alla rilevabilità in sede di legittimità dell’omessa applicazione dell’art. 131 bis cod. pen. cfr. Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266593 – 01 e, quanto all’art. 597, comma 5 cod. proc. pen., Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno, Rv. 275376-01).
5.2. Nel caso di specie la norma è entrata in vigore dopo la pronuncia di primo grado ma prima che si concludesse il giudizio di appello.
Per tale specifica situazione la disposizione transitoria non prevede alcuna specifica indicazione se non che la norma, contenente una disciplina sostanziale più favorevole all’imputato, sia immediatamente applicabile.
In coerenza con il sistema il legislatore si è occupato della sola ipotesi in cui giudizio era pendente avanti la Corte di cassazione e l’imputato non aveva la possibilità di sollecitare un intervento del giudice di merito sul punto.
Diverso, d’altro canto, è il caso in cui la norma sia entrata in vigore quando era ancora pendente una delle fasi di merito.
In tali situazioni, infatti, non è necessaria alcuna specifica previsione in quanto l parte aveva ed ha avuto la possibilità di richiedere al giudice di applicare la pena sostitutiva ed era pertanto suo onere, presentando motivi nuovi o anche semplicemente verbalizzando una richiesta nelle conclusioni, sollecitare il giudice d’appello sul punto (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266593 – 01).
5.3. Nel caso di specie non risulta che la difesa abbia in alcun modo sollecitato il giudice di appello a provvedere ai sensi dell’art. 545 bis cod. pen. che, pertanto non aveva alcun obbligo di pronunciarsi ovvero di motivare sul punto.
Ragione questa per la quale non è riscontrabile alcuna violazione del diritto di difesa e in questa sede non è consentita alcuna censura in ordine alla mancata applicazione della citata norma.
Nel quinto motivo la difesa deduce la violazione dell’art. 133 cod. pen. con riferimento alla determinazione della pena.
La doglianza, formulata in termini astratti e generici, è manifestamente infondata. La sentenza impugnata, con riferimento alla misura della pena inflitta all’imputato, ha fatto buon governo della legge penale e ha dato conto delle ragioni che hanno guidato, nel rispetto del principio di proporzionalità, l’esercizio del potere discrezionale ex artt. 1 e 133 cod. pen. della Corte di merito, ciò anche in relazione al diniego della circostanza attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 4, cod. pen., tenuto conto delle modalità complessive della condotta tenuta.
Le censure mosse a tale percorso argonnentativo, assolutamente lineare, sono meramente assertive, inconsistenti e, in parte, orientate anche a sollecitare, in questa sede, una nuova e non consentita valutazione della congruità della pena (Sez. Un. n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 266818).
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso 1’8 novembre 2023.