Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 12140 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 12140 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 30/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Termini Imerese il 18/11/1949 avverso la sentenza del 5/06/2024 della Corte di appello di Palermo visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza resa ii 23 dicembre 2021 dal Tribunale di Agrigento,
riduceva a mesi uno di reclusione la pena inflitta a COGNOME NOME, quale aumento per la continuazione sulla pena di cui alla sentenza n. 210/2015 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Agrigento resa in data 14 luglio 2015, irrevocabile il 16 settembre 2015. Per l’effetto, dichiarava pena complessiva pari ad anni uno e mesi undici di reclusione. Estendeva il beneficio della sospensione condizionale della pena, già concesso con la sentenza irrevocabile prima indicata, alla pena inflitta nel presente giudizio. Revocava la pena accessoria e sostituiva l’interdizione perpetua con quella temporanea per la durata di un anno.
Si contesta all’imputato il reato di peculato perché, nella qualità di pubblico ufficiale, si appropriava di diverse somme di denaro ricevute, quale notaio, dalle parti che si rivolgevano a lui per la registrazione di atti pubblici, denaro che riceveva a titolo di responsabile d’imposta per la registrazione degli atti che avrebbe dovuto versare nella cassa dell’Agenzia delle Entrate. In particolare, si appropriava di complessivi euro 81.589,00 per omessi versamenti relativi all’anno 2012 in cinquantasette atti. Fatti commessi dal 10 novembre 2012 al 21 dicembre 2012.
Va evidenziato che nella sentenza ex art. 444 cod. proc. pen., rispetto alla quale è stato effettuato l’aumento in continuazione, all’imputato era contestato il reato di peculato continuato per omesso versamento di imposte dovute all’Erario, per gli anni dal 2009 al 2013, per complessivi euro 1.327.663,02 per il pagamento di imposte di registro, ipotecarie e catastali.
2.Avverso la sentenza ricorre per cassazione l’imputato deducendo i seguenti motivi.
2.1. Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 649 cod. proc. pen.
La Corte di appello ha ritenuto, erroneamente, diversi i fatti contestati rispetto a quelli di cui alla sentenza del Tribunale di Agrigento. L’imputato, per l’anno d’imposta 2012 era già stato giudicato con la suindicata sentenza. Con riferimento al solo anno 2012, si contestava l’appropriazione di euro 199.685,00 per omessi versamenti in cento settantotto atti.
Con la sentenza di patteggiamento è stata giudicata l’intera condotta posta in essere dal ricorrente nell’arco di un quinquennio. Nei capi di imputazione di entrambi i giudizi, a fronte dell’indicazione degli importi non versati, viene solo genericamente indicato il numero degli atti complessivi e non sono, invece, specificati, anno per anno, tutti gli atti a cui riferire l’omesso versamento. Pertanto, la circostanza che nell’odierno procedimento penale venga nuovamente contestato un omesso versamento di somme relative all’anno 2012 sulla base di un numero diverso di atti (56 anziché 178), incontra il limite di cui all’art. 649 cod. proc. pen. All’imputato è stata già applicata la pena per l’intera unitaria condotta, ovvero per
l’intero reato continuato. Infatti, l’imputato veniva già condannato non solo per i fatti relativi all’anno 2012, ma addirittura per tutto il periodo che va dal 2009 al 2013; condotta, quindi, che, nel caso di specie, deve considerarsi unica anche ai fini della pena. D’altronde, l’imputato, nell’esprimere la volontà di accedere alla definizione del procedimento penale tramite patteggiannento, ha inteso definire tutta la vicenda penale relativa agli omessi o parziali versamenti di cui agli anni di imposta dal 2009 al 2013.
La nota del 7 aprile 2015, trasmessa dall’Agenzia delle Entrate all’Avvocatura dello Stato e alla Procura Regionale della Corte dei conti, ricostruisce gli addebiti mossi a Pusateri ricomprendendo tutte le irregolarità rilevate dal 2009 al 2013. In relazione all’anno 2012 emerge che, in allegato alla stessa nota, era presente l’elenco degli avvisi per mancato addebito alla registrazione – anno d’imposta 2012- in cui sono indicati tutti gli atti contestati nel 2012, ossia tutti gli a contestati nel procedimento definito con patteggiamento e nell’odierno procedimento penale: si tratta, infatti, in totale di duecento trentacinque atti. Tale prospetto coincide con il prospetto allegato alla nota del 22 giugno 2015 trasmessa dall’Agenzia delle Entrate alla Procura della Repubblica di Agrigento, sulla base della quale viene nuovamente contestato il reato di peculato. Quest’ultimo prospetto è, pacificamente, contenuto anche nel procedimento penale definito con sentenza di patteggiannento e, da tale elemento di prova, non può che desumersi l’interezza dei fatti addebitati all’odierno imputato nel predetto procedimento penale.
Tali prospetti sono stati confermati in dibattimento dal funzionario dell’Agenzia delle Entrate, che ha ribadito che, con riferimento al 2012, per i numeri di atti da 1 a 178 il mancato addebito era pari a 214.819 e per i numeri da 179 a 235 era pari a 81.589 (e cioè la somma contestata nel presente procedimento).
2.2. Vizio di motivazione, anche nella forma del travisamento della prova.
La Corte di appello ha travisato la prova formatasi nel corso del dibattimento di primo grado per mezzo dell’esame testimoniale della funzionaria dell’Agenzia delle Entrate, NOME COGNOME con riferimento all’importo totale oggetto di appropriazione da parte dell’imputato. La Corte di appello ha ignorato che la funzionaria aveva riferito che le somme totali delle quali si era appropriato COGNOME dal 2009 al 2013 era quella di euro 702.627,00, inclusa la quota di euro 81.589,00 relativa all’elenco integrativo del 2012. Tale dato acquisito e dato per pacifico anche dalla stessa Corte territoriale, stride in modo evidente con la nuova sentenza di condanna emessa per importi di denaro già oggetto di patteggiamento. Inoltre, la Corte, pur prendendo atto che la teste avesse confermato l’esatto ammontare degli importi oggetto di peculato, ha concluso il proprio ragionamento in modo illogico e irrazionale nel senso che la dichiarazione
testimoniale avesse offerto unicamente la prova che l’elenco degli atti integrativi (dal n. 179 al n. 235 dell’elenco trasmesso alla Procura della Repubblica) fosse scaturito a seguito della prosecuzione del lavoro di controllo e, quindi, da ciò desumendo, indebitamente, la diversità delle somme di denaro oggetto del secondo procedimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
2.1 due motivi possono essere trattati congiuntamente, avendo entrambi ad oggetto la violazione del divieto del ne bis in idem, al quale si sarebbe pervenuti anche mediante travisamento della prova.
2.1.La Corte di Appello, richiamata la sentenza di primo grado, ha evidenziato come il divieto di un secondo giudizio si riferisse al medesimo fatto naturalisticamente individuato, risultando irrilevante la circostanza dell’essere intervenuta una sentenza con riferimento a fatti analoghi commessi nel medesimo arco temporale, laddove, come nel caso di specie, i giudizi non avevano avuto ad oggetto il medesimo fatto storico, elemento tale da rendere irrilevante quanto trasmesso dall’Agenzia delle Entrate all’Avvocatura dello Stato e alla Procura della Corte dei Conti.
Il ricorso, sul punto, reitera le medesime argomentazioni proposte in sede di giudizio di merito, rilevando come l’imputato fosse stato già giudicato per il medesimo anno di imposta 2012 per essersi appropriato di euro 199.685,00 per omessi versamenti in n. 178 atti.
Le deduzioni difensive non appaiono idonee ad incidere sulle considerazioni espresse nella sentenza impugnata, coerenti con gli elementi indicati e prive di vizi di ordine logico – giuridico. Come evidenziato già dal Tribunale, dalla lettura dei capi di imputazione dei due procedimenti, invero, appare emergere la diversità del fatto storico, comune solo in relazione alla tipologia di condotta e all’anno di realizzazione della stessa, riferita, tuttavia, a diversi fatti (i mancati versamenti da 179 a 235), di cui all’elenco integrativo per “mancato addebito alla registrazione”, non potendo assumere rilevanza la presenza, già agli atti, del primo procedimento dell’elenco contenente gli ulteriori versamenti mancati, se non ricompresi nella imputazione oggetto del procedimento definito con la sentenza ex art. 444 cod. proc. pen.
L’oggetto del patteggiamento appare, infatti, definibile in ragione delle singole condotte illecite contestate (omesso versamento in n. 178 atti) e, dunque, del
perimetro della contestazione, la cui definizione non può, comunque, essere rimessa alla valutazione dei testi.
2.2. In tali termini, al di là della valutazione in ordine al contenuto d deposizione, non appare rilevante il dedotto travisamento della prova con riferimento alle dichiarazioni rese dal funzionario dell’Agenzia delle Entrate.
Alla luce degli elementi evidenziati la sentenza impugnata appare, in conclusione, immune da censure.
3.Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. In ragione delle statuizioni della sentenza della Cor costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve, altresì, dispor che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 i favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favlre della Cassa delle ammende.
Il P si ente