Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23541 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23541 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ACI BONACCORSI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 29/09/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 29 settembre 2023 la Corte di appello di Catania, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di revoca, ex art. 669 cod. proc. pen., della sentenza di condanna emessa dal Tribunale della stessa città, nei confronti di NOME COGNOME, il 12 maggio 2003, divenuta irrevocabile il 12 luglio 2003.
Ha rilevato, in proposito, che il fatto, qualificato ai sensi dell’ad. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per cui COGNOME è stato, in quell’occasione, giudicato non coincide con quelli per i quali egli è stato condannato con successiva sentenza della Corte di appello dell’il ottobre 2019, divenuta irrevocabile il 16 novembre 2021, come del resto, già chiarito nell’ambito del più recente giudizio di cognizione, nel quale l’imputato aveva avanzato, ai sensi dell’ad. 649 cod. proc. pen., analoga eccezione.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge per avere il giudice dell’esecuzione indebitamente ritenuto la diversità dei fatti indicati nell’istanza, omettendo di considerare che il procedimento più recente ha avuto ad oggetto, tra le altre, la condotta già accertata nel 2003.
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché vedente su censure manifestamente infondate.
L’art. 669 cod. proc. pen., dispone, al comma 1, che «Se più sentenze di condanna divenute irrevocabili sono state pronunciate contro la stessa persona per il medesimo fatto, il giudice ordina l’esecuzione della sentenza con cui si pronunciò la condanna meno grave, revocando le altre».
La giurisprudenza di legittimità ha, in proposito, stabilito che «Ai fini della preclusione connessa al principio “ne bis in idem”, l’identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona» (Sez. U, n. 34655
del 28/06/2005, COGNOME, Rv. 231799; Sez. 1, n. 41172 del 26/10/2011, Cortinovis, Rv. 251554).
3. NOME COGNOME è stato tratto a giudizio ed ha chiesto ed ottenuto l’applicazione di pena concordata, in una prima occasione (cfr. sentenza del Tribunale di Catania del 12 maggio 2003, divenuta irrevocabile il 12 luglio 2003), per la detenzione illecita di circa 68 grammi di cocaina, accertata in Aci Bonaccorsi il 4 ottobre 2000.
Nell’ambito del procedimento poscia promosso a suo carico, egli è stato, invece, condannato (cfr. sentenza della Corte di appello di Catania dell’Il ottobre 2019, divenuta irrevocabile il 16 novembre 2021) per il delitto di associazione finalizzata al narcotraffico e per taluni reati-fine del sodalizio, consumati in date diverse dal 4 ottobre 2000, come del resto, emergente, in modo del tutto eloquente, dalla confezione dell’addebito ex art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ove si assume, espressamente, che egli si è associato con altri soggetti allo scopo di commettere una serie di reati di narcotraffico, tra i quali quelli oggetto di contestazione nell’ambito del medesimo procedimento e quello per il quale egli è stato già giudicato e che, con ogni evidenza, viene distinto da quelli sub judice proprio in considerazione del già intervenuto, e richiamato, accertamento.
L’istanza ex art. 669 cod. proc. pen., del resto, è, prima ancora che manifestamente infondata, inammissibile perché preclusa dall’essere stata la questione già direttamente sottoposta al giudice della cognizione che, come debitamente illustrato dal giudice dell’esecuzione, la ha, con proposizione non incidentale, disattesa.
Pertinente si palesa, in proposito, il richiamo al consolidato e condiviso indirizzo ermeneutico secondo cui «In tema di esecuzione, il disposto di cui all’art. 669, comma otto, cod. proc. pen., relativo al caso che vi sia stata pluralità di sentenze per il medesimo fatto contro la stessa persona, può trovare applicazione qualora la questione del “ne bis in idem” sia stata risolta, solo in via incidentale, negativamente da parte del giudice della cognizione, non assumendo tale decisione efficacia formale di giudicato» (Sez. 3, n. 17197 del 10/03/2016, COGNOME, Rv. 266582 – 01; Sez. 1, n. 16170 del 09/02/2001, COGNOME, Rv. 218639 – 01), ma non anche «qualora la questione del “ne bis in idem” sia stata prospettata dalle parti e risolta negativamente in via principale nell’ambito del giudizio di cognizione. (Sez. 1, n. 43708 del 23/10/2008, COGNOME, Rv. 241567 – 01).
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n 186, della Corte costituziOnale, rilevato che, nella fattispecie, non sussis elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declarator dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell ammende.
Così deciso il 02/02/2024.