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Ne bis in idem: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso per tentata estorsione, respingendo l’eccezione di violazione del principio ne bis in idem. La Corte ha stabilito che non sussiste identità del fatto quando condotta, tempo e vittime sono diversi. Confermato anche il potere discrezionale del giudice nella quantificazione della pena, a patto che la motivazione non sia illogica.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ne bis in idem: la Cassazione traccia i confini dell’inammissibilità del ricorso

Il principio del ne bis in idem, che vieta di processare due volte una persona per lo stesso fatto, è un cardine del nostro ordinamento. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 18089 del 2025, offre un’importante occasione per approfondire i confini applicativi di questa garanzia fondamentale, chiarendo quando un ricorso basato sulla sua presunta violazione risulti inammissibile.

Il caso: tentata estorsione e il dubbio del doppio giudizio

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un imputato condannato in primo e secondo grado per il reato di tentata estorsione. La difesa ha proposto ricorso per cassazione lamentando, principalmente, due aspetti.

In primo luogo, si sosteneva la violazione del divieto di ne bis in idem. Secondo la tesi difensiva, l’imputato era già stato giudicato per la medesima vicenda, sebbene in un diverso procedimento e con una diversa contestazione. In sostanza, si chiedeva alla Corte di riconoscere che il fatto storico oggetto del nuovo processo fosse lo stesso di quello già definito con una precedente sentenza.

In secondo luogo, veniva criticata la motivazione relativa alla quantificazione della pena, ritenuta carente e basata su mere ‘frasi di stile’, specialmente per quanto riguarda l’aumento applicato per la continuazione con altri episodi.

L’inammissibilità del ricorso e il principio del ne bis in idem

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza e genericità. Analizzando i motivi, i giudici hanno fornito chiarimenti cruciali su entrambi i punti sollevati dalla difesa.

L’identità del fatto come presupposto del ne bis in idem

La Corte ha ribadito che un ricorso non può limitarsi a riproporre pedissequamente le stesse argomentazioni già respinte nei gradi di merito, senza introdurre elementi di novità critica rispetto alla decisione impugnata. Un simile approccio si traduce in un ‘simulacro di argomentazione’ e rende il motivo generico e, quindi, inammissibile.

Nel merito della violazione del ne bis in idem, la sentenza sottolinea che la preclusione del doppio giudizio opera solo in presenza di una piena ‘identità del fatto’. Questa identità non è astratta, ma va intesa in senso storico-naturalistico. Significa che deve esserci una totale coincidenza tra i due procedimenti riguardo a tutti gli elementi costitutivi del reato: la condotta, l’evento e il nesso causale, oltre alle circostanze di tempo, luogo e persona.

Nel caso specifico, la Corte ha evidenziato come una semplice lettura dei capi di imputazione rendesse palese la diversità dei fatti: le condotte contestate, il contesto temporale e, soprattutto, le persone offese erano differenti (due nel presente processo, una nel precedente). Questa diversità oggettiva esclude in radice la possibilità di applicare il divieto di ne bis in idem.

La motivazione sulla pena e la discrezionalità del giudice

Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla presunta carenza di motivazione sulla pena, è stato giudicato manifestamente infondato.

La Corte ricorda che il giudice di merito gode di un ampio potere discrezionale nella determinazione del trattamento sanzionatorio. La scelta sul ‘quantum’ della pena, l’applicazione delle circostanze o della continuazione sono valutazioni di merito che non possono essere revisionate in sede di legittimità, a meno che la motivazione non sia palesemente illogica, contraddittoria o addirittura assente.

Nel caso in esame, i giudici hanno ritenuto che la motivazione, seppur sintetica, fosse sufficiente. Il riferimento alla ‘coerenza’ e ‘armonia’ con la pena inflitta nel precedente procedimento per un reato analogo dimostrava che il giudice aveva considerato un ‘pattern sanzionatorio’ unitario, operando una valutazione comparativa delle condotte. Questo è bastato per escludere il vizio di motivazione lamentato dalla difesa.

Conclusioni: le implicazioni pratiche della sentenza

La decisione in commento offre due importanti insegnamenti pratici. In primo luogo, ribadisce che per invocare con successo il principio del ne bis in idem è necessario dimostrare una coincidenza totale e concreta del fatto storico, non essendo sufficiente una mera somiglianza delle vicende. In secondo luogo, conferma la difficoltà di censurare in Cassazione le scelte discrezionali del giudice di merito sulla pena, a meno di non individuare un vizio logico macroscopico nella motivazione che le sorregge.

Quando un ricorso in Cassazione basato sulla violazione del ne bis in idem viene considerato inammissibile?
Un ricorso di questo tipo è inammissibile quando si limita a riproporre argomenti già esaminati in appello senza novità e, soprattutto, quando non vi è una corrispondenza storico-naturalistica tra i fatti dei due processi, considerando condotta, tempo, luogo e persone offese.

È possibile contestare in Cassazione la quantificazione della pena decisa dal giudice di merito?
Sì, ma solo in casi limitati. È possibile farlo se la motivazione del giudice è contraddittoria, manifestamente illogica o totalmente assente, non per una semplice critica nel merito della scelta discrezionale del giudice.

Cosa si intende per ‘identità del fatto’ ai fini del divieto di ne bis in idem?
Per ‘identità del fatto’ si intende una totale corrispondenza storico-naturalistica del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e nelle sue circostanze concrete (tempo, luogo, persone coinvolte). Una differenza in uno di questi elementi, come le persone offese, esclude l’identità del fatto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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