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Ne bis in idem: quando il fatto non è lo stesso

Un soggetto, condannato per violazione della sorveglianza speciale, ha invocato il principio del ne bis in idem per nuove accuse simili. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, specificando che per l’applicazione del principio è necessaria una totale identità del fatto storico-naturalistico (condotta, tempo, luogo). Ripetute violazioni della stessa norma, se distinte nel tempo e nello spazio, costituiscono reati diversi e autonomamente perseguibili.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ne bis in idem: la Cassazione delinea i confini dell’identità del fatto

Il principio del ne bis in idem, sancito dall’art. 649 del codice di procedura penale, rappresenta un pilastro di civiltà giuridica: nessuno può essere processato due volte per lo stesso fatto. Tuttavia, la sua applicazione pratica solleva questioni complesse, specialmente quando un soggetto commette ripetutamente reati della stessa natura. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 16127/2025, offre un chiarimento cruciale su cosa si intenda per ‘stesso fatto’, distinguendo nettamente tra identità del titolo di reato e identità della condotta materiale.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine dal ricorso di un individuo sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno. L’uomo, già condannato per la violazione di tale misura, si è trovato ad affrontare nuovi procedimenti per fatti analoghi. In sede di esecuzione, ha chiesto alla Corte di appello di applicare il principio del ne bis in idem, sostenendo che le nuove accuse riguardassero, in sostanza, la medesima violazione per cui era già stato giudicato in via definitiva. La Corte di appello di Bari, tuttavia, ha rigettato la sua richiesta, ritenendo che i fatti contestati non fossero connotati da identità processuale. Contro questa decisione, l’interessato ha proposto ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte e il principio del Ne bis in idem

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione dei giudici di merito. Il Collegio ha ribadito che l’identità del titolo di reato non comporta automaticamente l’identità delle condotte illecite. In altre parole, essere processati più volte per la ‘violazione della sorveglianza speciale’ non significa essere processati per lo stesso fatto, se le singole violazioni sono avvenute in momenti e contesti differenti.

L’Identità del Fatto secondo la Cassazione

Perché possa operare la preclusione del giudicato, è necessaria una corrispondenza storico-naturalistica completa. La Corte richiama un principio consolidato, espresso dalle Sezioni Unite (sentenza n. 34655/2005), secondo cui l’identità del fatto sussiste solo quando vi è una piena sovrapposizione degli elementi costitutivi del reato (condotta, evento, nesso causale) e delle circostanze di tempo, luogo e persona. Costituisce un fatto diverso quello che, pur violando la stessa norma, rappresenta un’ulteriore e distinta estrinsecazione dell’attività delittuosa, separata nello spazio e nel tempo da quella precedente.

Le Motivazioni della Sentenza

I giudici di legittimità hanno osservato che le condotte illecite contestate all’imputato, pur essendo della stessa specie, erano caratterizzate da estemporaneità e si collocavano in contesti esecutivi eterogenei. Non era ipotizzabile, secondo la Corte, che l’imputato avesse pianificato una ‘violazione seriale’ delle prescrizioni. Ogni singolo inadempimento costituiva un’autonoma manifestazione criminosa.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che l’identità del titolo di reato era solo parziale, poiché uno dei procedimenti riguardava delitti ben più gravi e diversi (come rapina e reati legati agli stupefacenti), rendendo ancora più evidente la mancanza di identità dei fatti. La reiterazione di condotte illecite, ha concluso la Corte, non può essere confusa con un unico fatto criminoso. Essa viene disciplinata da altri istituti giuridici, come la recidiva o l’abitualità nel reato, che operano secondo una logica opposta a quella del ne bis in idem, ovvero quella di sanzionare più gravemente chi persiste nel crimine.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

La sentenza in esame rafforza un’interpretazione rigorosa del principio del ne bis in idem. Stabilisce con chiarezza che la garanzia di non essere processati due volte per lo stesso fatto non può trasformarsi in un’immunità per chi commette reati in serie. Ogni azione criminale, distinta e autonoma nelle sue coordinate spazio-temporali, genera un nuovo e separato illecito, che lo Stato ha il diritto e il dovere di perseguire. Questa pronuncia offre un importante punto di riferimento per distinguere la giusta tutela dell’imputato dall’indebita neutralizzazione della risposta sanzionatoria di fronte a condotte criminali ripetute.

Quando si può applicare il principio del ne bis in idem?
Il principio si applica solo quando esiste una perfetta ‘identità del fatto’ tra un reato già giudicato con sentenza irrevocabile e uno nuovo. L’identità deve riguardare la condotta, l’evento, il nesso causale e le circostanze di tempo, luogo e persona.

Commettere più volte lo stesso tipo di reato è considerato ‘lo stesso fatto’?
No. Secondo la sentenza, ogni commissione di un reato, anche se viola la stessa norma di uno precedente, costituisce un ‘fatto diverso’ se rappresenta un’azione criminale distinta e separata nel tempo e nello spazio.

Cosa ha deciso la Corte nel caso di violazioni ripetute della sorveglianza speciale?
La Corte ha stabilito che le ripetute violazioni della misura di sorveglianza speciale erano condotte distinte e autonome, non caratterizzate da identità processuale. Di conseguenza, ha respinto la richiesta di applicare il principio del ne bis in idem, confermando che ogni singola violazione può essere perseguita e giudicata separatamente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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