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Ne bis in idem: no se c’è associazione a delinquere

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. La Corte ha stabilito che il principio del ‘ne bis in idem’ non è violato se una persona, già condannata per singoli episodi di spaccio, viene poi processata per il reato associativo, poiché si tratta di fatti giuridicamente e naturalisticamente diversi.

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Pubblicato il 5 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ne bis in idem: quando non si applica tra spaccio e associazione criminale

Il principio del ne bis in idem, che vieta di processare due volte una persona per lo stesso fatto, è un cardine del nostro ordinamento. Tuttavia, la sua applicazione può diventare complessa quando i fatti, pur apparendo simili, costituiscono reati diversi. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito la distinzione tra il reato di spaccio di stupefacenti e quello, più grave, di partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico di droga, stabilendo che una precedente condanna per il primo non impedisce un nuovo processo per il secondo.

I Fatti del Processo

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato in appello per aver partecipato a un’associazione a delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti, oltre che per reati connessi al porto d’armi e alla ricettazione. La difesa dell’imputato ha presentato ricorso per cassazione, sostenendo la violazione del principio del ne bis in idem. Secondo il ricorrente, egli era già stato giudicato con una sentenza irrevocabile per fatti di spaccio avvenuti nello stesso contesto e periodo, e il nuovo procedimento avrebbe riguardato la medesima condotta, sebbene diversamente qualificata.

La questione del ne bis in idem nel caso specifico

La Corte d’appello aveva già respinto questa tesi, evidenziando come i due procedimenti non fossero completamente sovrapponibili. Sebbene entrambi avessero ad oggetto l’attività di spaccio all’interno della stessa area (il Parco delle Groane), le imputazioni erano sostanzialmente diverse. La precedente condanna riguardava singoli episodi di spaccio. Il nuovo procedimento, invece, contestava la partecipazione a una struttura criminale organizzata, dotata di ingenti risorse finanziarie, armi, veicoli e una precisa divisione dei ruoli, capace di generare profitti enormi, con ricavi giornalieri stimati tra 6.000 e 24.000 euro. Si trattava, quindi, non di un semplice spaccio, ma di un’attività criminosa di livello superiore, che integrava il reato associativo previsto dall’art. 74 del D.P.R. 309/1990.

Le motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la linea dei giudici di merito. In primo luogo, ha rilevato che il ricorso si limitava a riproporre le stesse censure già presentate in appello, senza un reale confronto critico con le argomentazioni della sentenza impugnata. Nel merito, la Suprema Corte ha ribadito che per l’applicazione del ne bis in idem è necessaria l’identità del ‘fatto’, inteso non solo nella sua dimensione storico-naturalistica, ma anche in quella giuridica. I giudici hanno spiegato che la condotta di partecipazione a un’associazione per delinquere è ‘naturalisticamente diversa’ da quella di semplice detenzione e cessione di stupefacenti. La prima implica un inserimento stabile e consapevole in un’organizzazione criminale, mentre la seconda si esaurisce nel singolo atto illecito. I fatti di cessione contestati nel nuovo giudizio si sommano a quelli di partecipazione all’associazione, essendo espressione di ‘distinte volizioni criminose’. Pertanto, non vi è alcuna coincidenza tra i due fatti e il divieto di un secondo giudizio non opera.

Le conclusioni

La sentenza consolida un importante principio: una condanna per singoli reati-fine (come lo spaccio) non preclude la possibilità di un successivo processo per il reato associativo, anche se i reati-fine sono stati commessi nell’ambito dell’attività dell’associazione stessa. Questo perché il disvalore penale della partecipazione a un’organizzazione criminale è autonomo e più grave rispetto a quello dei singoli delitti che ne costituiscono l’obiettivo. La decisione sottolinea come la lotta alla criminalità organizzata richieda di considerare non solo gli atti individuali, ma anche e soprattutto la struttura stabile che li pianifica e li rende possibili.

Si può essere processati per associazione a delinquere finalizzata allo spaccio se si è già stati condannati per singoli episodi di spaccio avvenuti nello stesso contesto?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il principio del ne bis in idem non viene violato perché la partecipazione a un’associazione criminale è un reato diverso e autonomo rispetto ai singoli delitti di spaccio, i quali costituiscono solo lo scopo dell’associazione.

Cosa distingue il reato di spaccio da quello di partecipazione ad un’associazione finalizzata allo spaccio ai fini del ne bis in idem?
La differenza risiede nella condotta e nella dimensione giuridica del fatto. Il reato di spaccio riguarda il singolo atto di cessione o detenzione. La partecipazione all’associazione, invece, è una condotta più complessa che implica l’inserimento stabile in una struttura organizzata, con mezzi, risorse e una volontà criminosa distinta e più ampia.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente perché si limitava a ripetere le stesse argomentazioni già respinte in appello, senza confrontarsi criticamente con le motivazioni della sentenza impugnata. Inoltre, la Corte ha ritenuto le censure sul ne bis in idem manifestamente infondate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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