Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 11600 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 11600 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Sant’Agata di Militello il DATA_NASCITA;
NOME, nata a San RAGIONE_SOCIALE il DATA_NASCITA,
avverso la sentenza della Corte di appello di Messina del 26/06/2023
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; Lelle ap:OZ le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale AVV_NOTAIO COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 26/06/2023, la Corte di appello di Messina, in parziale riforma sentenza del Tribunale di Patti del 13/06/2022, rideterminava la pena inflitta a COGNOME in mesi 10 di arresto ed euro 8.000 di ammenda per i reati di cui all’arti comma 1, lettera a), e comma 3, d. Igs. 152/2006 (Capo A), mentre confermava la pena inf
GLYPH in primo grado a NOME COGNOME ad anni 1 e mesi 2 di reclusione per i reati di cui all’articolo “d.P.R. 380/2001 e 633 cod. pen. (Capi B e C), fatti tutti contestati come accertati in San Fratell il 19/10/2018.
Avverso la sentenza i due imputati propongono, tramite il loro comune difensore, ricorso congiunto per cassazione lamentando, con l’unico motivo, violazione di norma processuale prevista a pena di nullità e vizio di motivazione, in riferimento al rigetto della censura propo in grado di appello in ordine alla ritenuta violazione dell’articolo 649 cod. proc. pen..
Sostengono i ricorrenti che il medesimo reato oggi contestato al COGNOME è stato oggetto di sentenza di non doversi procedere per prescrizione pronunciata il 3 giugno 2020 dal Tribunale di Patti, e che nessun aumento di volumetria – come si era dedotto in appello con tanto di riliev fotografici – si sarebbe verificato sul terreno oggetto dell’abbandono dei rifiuti, peraltro sequestro dal 14 novembre 2014.
Contestano, inoltre, l’asserita natura permanente dei reati in contestazione, asserita dalla Corte di appello.
Per quanto concerne la COGNOME, si evidenzia, da un lato, che i manufatti si trovano nello stesso stato in cui si trovavano al momento del primo accertamento e procedimento; dall’altro, che essa è mera proprietaria degli stessi, in quanto tali beni sono nella totale disponibilità dell’azie agricola del figlio, NOME COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITIO
1. I ricorsi sono inammissibili.
Il ricorso presentato dalla COGNOME è inammissibile.
Il Collegio non può che convenire con i giudici di appello i quali, a pag. 4, evidenziano come sia assolutamente improponibile anche solo ventilare una questione cli bis in idem tra una contestazione di raccolta illecita di rifiuti, oggetto della sentenza di proscioglimento del 2020 le condotte contestate alla ricorrente, concernenti violazioni urbanistiche e di invasione di terre pubblico.
Il ricorso, peraltro, se pure proposto da entrambi i ricorrenti, viene di fatto svilupp esclusivamente dal COGNOME, limitandosi la COGNOME, nelle ultime righe de ricorso, ad affermare genericamente la propria estraneità in quanto «mera proprietaria» del terreno.
Il ricorso è pertanto totalmente generico e quindi inammissibile.
Il ricorso del COGNOME è, del pari, inammissibile per genericità.
Il Collegio premette che il ricorso costituisce la pedissequa reiterazione di quello già dedott in appello e puntualmente disatteso dalla Corte di merito.
Poiché la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce, essa si deve realizzare attraverso la presentazione di motivi che a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono, innanzitutto e indefettibilment confrontarsi puntualmente (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elemen di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, NOME, Rv 254584 e Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, cit.).
In caso contrario, i motivi si debbono considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217).
Nel caso di specie, a fronte della analoga censura mossa con l’atto di impugnazione, la Corte territoriale precisa che nessuna ipotesi di bis in idem è invocabile, stanti le profonde differenze quanto alla «condotta», all’«evento» e al «nesso di causalità» tra i due procedimenti.
Chiarisce la Corte messinese che:
nel primo processo era contestata la «raccolta» abusiva di rifiuti, nel secondo lo «smaltimento» abusivo e la realizzazione di una «discarica abusiva»;
nel primo procedimento si procedeva contro la RAGIONE_SOCIALE, nel secondo contro la RAGIONE_SOCIALE «RAGIONE_SOCIALE»;
si vedeva, in ogni caso, in ambito di reato «permanente», per cui anche una eventuale sentenza di prescrizione per fatti occorsi nel 2014 non avrebbe precluso una ulteriore contestazione relativa a periodi successivi (condotta caratterizzata da rimodellamento, con terrazzamento, del profilo della discarica – peraltro realizzata su terreno pubblico dall’abbancamento di ulteriori rifiuti).
A fronte di tale motivazione il ricorso si pone in termini meramente contestativi e d rivalutazione fattuale (laddove, a pag. 4, censura che i luoghi oggetto dell’attività ill contestata non abbiano subito alcun mutamento nel tempo intercorso tra il primo e il secondo accertamento, senza peraltro indicare elementi precisi da cui desumere tale dato), risultando di tal guisa inammissibile.
Il Collegio aggiunge, quanto al reato di discarica abusiva, che esso ha pacificamente natura di «reato permanente», in quanto l’attività di «realizzazione» di una discarica permane sino a che prosegue l’attività di predisposizione e allestimento dell’area adibita allo scopo (Sez. 3, 13456 del 30/11/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 236327 – 01), mentre la «gestione» della discarica comprende, oltre alla fase di «gestione operativa», anche la fase «post-operativa» trentennale, con la conseguenza che la permanenza del reato cessa:
con il venir meno della situazione di antigiuridicità, per rilascio dell’autorizzazi amministrativa;
2) con la rimozione dei rifiuti o la bonifica dell’area;
con il sequestro, che sottrae al gestore la disponibilità dell’area;
con la pronuncia della sentenza di primo grado (Sez. 3, n. 9954 del 19/01/2021, COGNOME, Rv. 281587 – 03);
fino al completamento delle procedure di chiusura disciplinate dalla legge (Sez. 3, n. 54523 del 14/06/2016, COGNOME, Rv. 268582 – 01).
Quanto al reato di gestione e smaltimento abusivi di rifiuti, questa Corte (Sez. 3, n. 50770 del 23/11/2023, RAGIONE_SOCIALE; Sez. 3, n. 16158 del 26/02/2019, Masoni, Rv. 275403 01) ritiene che il reato di cui all’art. 256, comma 1, d.11gs. 152/2006 abbia, di regola, natura reato istantaneo e solo «eventualmente abituale», in quanto si perfeziona nel momento in cui si realizza la singola condotta tipica, essendo sufficiente un’unica attività ad integrare la fattisp incriminatrice, salvo il caso in cui, stante la ripetitività della medesima condotta, si conf quale reato «eventualmente abituale» (Sez. 3, n. 13456 del 30/11/2006, dep. 02/04/2007, COGNOME e altro, Rv. 236326; Sez.3, n 21655 del 13/04/2010, Rv 47605, conf., anche con riferimento alla disciplina emergenziale, Sez. 3, n. 45306 del 17/10/2013, COGNOME, Rv. 257631, non massimata sul punto; nonché, in motivazione, Sez.3,, n.30134 del 05/04/2017,Rv.270255 e Sez.3, n.48318 del 11/10/2016, Rv.268566)».
In tale ipotesi, che ricorre anche nel caso in esame, alla pluralità delle azioni, che è element costitutivo del fatto, corrisponde una unica violazione di legge e il decorso del termi prescrizionale partirà dal giorno di cessazione dell’abitualità (v. Sez. 3, 5742 del 20/10/2016 dep. 2017, Sassetti, Rv. 269758, in materia di delitto di cui all’art. 452-bis cod. pen.).
Questa Corte ha anche precisato (v. Sez. 5, Sentenza n. 9956 del 11/01/2018, Ballus, Rv. 272374 – 01) che, ai fini della prescrizione del reato abituale (nel caso di specie, il delit «stalking»), il momento della consumazione delittuosa cessa con la cessazione della condotta, per analogia con quanto avviene nei reati permanenti (Sez. 6, n. 39228 del 23/9/2011, S., Rv. 251050: ogni reato abituale è «reato di durata», che mutua la disciplina della prescrizione da quella prevista per i reati permanenti, sicché il decorso del termine di prescrizione avviene da giorno dell’ultima condotta tenuta, che chiude il periodo consumativo iniziatosi con la condotta che, insieme alle precedenti, forma la serie minima di rlevanza; conforme: Sez. 3, n. 16036 del 28/02/2019, COGNOME, n.m.), condotta che, nel caso di specie si è pacificamente interrotta con i sequestro avvenuto nel novembre 2014, ossia molto tempo prima della contestazione dei (nuovi) fatti oggetto del presente procedimento, elemento cui consegue l’impossibilità della realizzazione di un bis in idem.
Il motivo di ricorso è pertanto inammissibile.
I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «l
parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00 per ciascun ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 06/03/2024.