Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 10449 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 10449 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/12/2023
SENTENZA
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sul ricorso proposto, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., da COGNOME NOME, nato a Cinquefrondi (RC), il DATA_NASCITA, avverso la sentenza della Prima Sezione Penale della Corte di cassazione emessa in data 25/10/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; uditi l’AVV_NOTAIOto NOME COGNOME e l’AVV_NOTAIO, difensori di fiducia di NOME COGNOME, che si sono riportati al ricorso chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di cassazione, Sez. Prima, rigettava il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria, che aveva modificato la data di commissione del reato associativo, individuandone la decorrenza della consumazione nel 27/09/2012, con la conseguente rideterminazione della pena, confermando, nel resto, la sentenza di primo grado.
2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., in data 25/08/2023, a mezzo dei difensori di fiducia AVV_NOTAIOto NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, deducendo errore percettivo quanto alla improcedibilità dell’azione penale ed alla conseguente preclusione del ne bis in idem: il COGNOME era già stato giudicato per il medesimo fatto con la sentenza irrevocabile emessa dal Tribunale di Palmi il 04/03/2015, con contestazione inizialmente aperta e poi modificata dal pubblico ministero in udienza, con retrodatazione della data finale al 31/12/2009, laddove nel processo oggetto del presente ricorso la contestazione associativa veniva indicata a far data dal 01/01/2010; ciò avrebbe precluso una nuova contestazione per i fatti commessi fino alla data della sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Palmi, ossia fino al 04/03/2015, e ciò nonostante il parziale accoglimento dell’eccezione difensiva da parte della Corte di Appello di Reggio Calabria, che aveva giudicato solo i fatti commessi dal 27/09/2017. L’eccezione di improcedibilità si fonda, quindi, sulla instaurazione del procedimento “Spazio di libertà”, avente ad oggetto la contestazione associativa a far data dal 01/01/2010, a carico, tra gli altri, di NOME COGNOME, per aver favorito la latitanza del fratello, NOME COGNOME, essendo stato, per tali fatti, ricorrente destinatario di ordinanza di custodia cautelare eseguita nel luglio 2016. La RAGIONE_SOCIALEzione, con la sentenza impugnata, ha rigettato l’eccezione difensiva partendo da un presupposto erroneo, ossia quello della non riproponibilità della questione della irretrattabilità dell’azione penale da parte NOME COGNOME, in quanto tale questione sarebbe già coperta dal giudicato a seguito della sentenza della Quinta Sezione penale della RAGIONE_SOCIALEzione, n. 37850 del 03/04/2019, che aveva reso definitiva la condanna del Tribunale di Palmi del 04/03/2015. L’errore di fatto consiste nel non essersi accorti che la questione anzidetta era stata proposta nel solo interesse di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, e non anche di NOME COGNOME, in quanto questi non era imputato nel processo COGNOME, al quale faceva riferimento l’eccezione; ciò emerge evidente dalla formulazione del primo motivo di ricorso avverso la sentenza emessa nell’ambito del processo COGNOME, in cui appare chiaro come, nonostante Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
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l’intestazione del ricorso in riferimento ad entrambi gli imputati, la question fosse stata formulata nel solo interesse di NOME COGNOME, unico e solo imputato nel processo COGNOME; in particolare, era stato evidenziato come l’interesse al motivo di ricorso si era concretizzato allorquando, dopo la redazione dei motivi di appello, in riferimento alla sentenza emessa dal Tribunale di Palmi il 04/03/2015, e dopo la celebrazione dello stesso giudizio di appello, in data 07/04/2018, NOME COGNOME e NOME COGNOME – ma non NOME (:rea – erano stati condannati nell’ambito del processo RAGIONE_SOCIALE con condotte del tutto sovrapponibili a quelle contestate nell’ambito del processo COGNOME; che il motivo di ricorso non fosse stato proposto anche da NOME COGNOME è circostanza di cui dà atto la stessa sentenza della RAGIONE_SOCIALEzione, Sezione Quinta, alla pag. 3 della motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
Va ricordato che la Quinta Sezione di questa Corte, con la sentenza n. 37850 del 03/04/2019, nell’ambito del procedimento a carico di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, aveva dichiarato infondato il primo motivo di ricorso di NOME e NOME COGNOME, comune anche a NOME COGNOME. Si trattava, in particolare, del motivo concernente la dedotta violazione di legge ed il vizio di motivazione quanto al dies ad quem della condotta associativa, inizialmente contestata in forma aperta e, quindi, precisata dal pubblico ministero alla data del 31/12/2009. Tale contestazione riguarda, specificamente, la partecipazione al gruppo di ‘ndrangheta omonimo, oggetto della sentenza del Tribunale di Palmi del 04/03/2015, confermata dalla Corte di Appello di Reggio Calabria il 27/04/2017, nell’ambito del così detto processo COGNOME.
La detta sentenza della Quinta Sezione, in particolare, aveva esaminato il motivo di ricorso – chiaramente riferito anche a NOME COGNOME – sotto il profilo della violazione di legge, affermando che non vi era stata alcuna modifica essenziale dell’imputazione, posto che il nucleo sostanziale dell’addebito era immutato e che non si era verificata alcuna violazione dei diritti difensivi. Quanto al secondo profilo – ossia il non essere stata la questione devoluta con l’appello -, l medesima sentenza rilevava che la doglianzai era comunque inammissibile, posto che la questione riguardava il profilo di irretrattabilità dell’azione penale e del inviolabilità del diritto di difesa, ossia principi di portata generale, l violazione era già ipotizzabile prima della sopravvenuta emissione della sentenza nell’ambito del così detto procedimento RAGIONE_SOCIALE; in ogni caso, si aggiungeva, la doglianza appariva anche generica, poiché non specificava se la condanna sopravvenuta riguardasse gli stessi imputati ed il medesimo contesto associativo, anche con riferimento al dies ad quem della condotta, posto che l’allegazione del
dispositivo di sentenza e del capo di imputazione non consentiva l’analisi completa della dedotta sovrapponibilità; senza considerare c:he, alla stregua del capo di imputazione, la contestazione associativa, nel secondo procedimento, risultava aperta, con dies ad quem diverso da quello accertato nel procedimento COGNOME.
Peraltro, nel motivo di ricorso avverso la sentenza COGNOME, effettivamente il primo motivo si riferiva – nell’intestazione – sia a COGNOME NOME che a COGNOME NOME, laddove solo nel corpo del ricorso, a pag. 4, si faceva riferimento al processo COGNOME, affermando che la relativa sentenza era stata emessa a carico di COGNOME NOME e di COGNOME NOME, come si evince anche dagli atti allegati (dispositivo di sentenza e capo di imputazione).
In sintesi, quindi, con la sentenza della Quinta sezione di questa Corte NOME COGNOME era stato condannato, in via definitiva, per il delitto associativo commesso fino al 31/12/2009.
Con la sentenza della Sezione Prima di questa Corte, oggetto della presente impugnazione, NOME COGNOME è stato condannato in via definitiva per il delitto associativo commesso a far data dal 01/01/2010, con contestazione aperta, ritenuta la continuazione con la precedente condanna menzionata; la Corte di Appello di Reggio Calabria, però, aveva modificato la data di commissione del reato associativo, individuandone il dies a quo nel 27/09/2012.
Con il primo motivo di ricorso, la difesa aveva dedotto il ne bis in idem in riferimento alla condanna che il COGNOME aveva avuto a seguito del processo COGNOME, ossia a seguito della sentenza del Tribunale di Palmi, che aveva accertato la permanenza della condotta fino al 31/12/2009.
La sentenza oggetto di ricorso afferma, sul punto, che la questione era già coperta dal giudicato del processo COGNOME, perché la sentenza della Sezione Quinta aveva già motivato sul profilo della irretrattabilità dell’azione penale, nonché sulla concreta assenza di modifiche essenziali del capo di imputazione; pertanto, la questione della condanna del COGNOME fino al 31/12/2009 non poteva più essere messa in discussione, essendo già coperta dai giudicato.
La sentenza impugnata, quindi, procede nel suo incedere argomentativo affermando che non si era verificata alcuna violazione al principio del ne bis in idem tra la condanna nel processo COGNOME e la presente condanna, quindi tra la condanna del Tribunale di Palmi del 04/03/2016, relativa al delitto associativo fino al 31/12/2009 e la condanna del Tribunale di Reggio Calabria del 23/09/2020, in cui la condotta era contestata dal 01/01/2010, con permanenza, e successivamente era modificata dalla Corte di Appello, con sentenza del 03/12/2021, con decorrenza, quindi, della condotta associativa dal 27/09/2012, con permanenza.
La sentenza della Sezione Prima, in altri termini, ha affrontato il problema del ne
bis in idem con riferimento alle citate sentenze, per cui il processo COGNOME, in cui NOME COGNOME non era imputato, non rileva affatto in tale contesto.
In altri termini, il ricorso della difesa sul punto appare del 1:utto fuori fuoco quanto con i motivi nuovi, innanzi alla Prima Sezione, depositati il 08/10/2022, era stata citata la sentenza n. 36330 del 2022, emessa dalla Prima Sezione in un processo che non vedeva affatto imputato l’odierno ricorrente, bensì un soggetto omonimo, ma con diversa data di nascita, ossia NOME COGNOME nato a Rizziconi il DATA_NASCITA.
La ragione della citazione di tale sentenza’ nell’ottica difensiva, è, la divers interpretazione della questione del ne bis in idem, sempre in riferimento alla modifica dell’imputazione effettuata nel processo COGNOME, risolta dalla Prima Sezione con la seguente motivazione:
“2. E’ fondato anche il comune motivo, dedotto dai ricorrenti NOME e NOME COGNOME, relativo all’improcedibilità dell’azione penale per il reato associativo di c al capo A). E’ pacifico che nei loro confronti è stata esercitata l’azione penale per il reato di associazione mafiosa di cui all’art. 416-bis cod. pen. in alt procedimento, definito con sentenza irrevocabile emessa dal Tribunale di Palmi, nel corso del quale la contestazione, originariamente “apetta” (dal settembre 2006) era stata “chiusa” dal pubblico ministero all’udienza del 27 settembre 2012, con l’indicazione della data finale di cessazione della condotta (“al 31 dicembre 2009”). Sostiene la Corte di appello che la diversità dell’epoca di consumazione della contestazione elevata nel procedimento definito con la sentenza irrevocabile (dal settembre 2006 al 31 dicembre 2009) rispetto a quella del presente procedimento (dal 1 gennaio 2010 al giorno 8 luglio 2016) sia da sola sufficiente a superare lo sbarramento imposto dall’applicazione del principio del ne bis in idem. Infatti, il giudice di ogni processo è chiamato a pronunciarsi esclusivamente sul periodo contestato senza poter conoscere dell’eventuale protrazione della condotta criminosa oltre la data indicata nel capo di imputazione, come individuata dalla pubblica accusa. D’altra parte, anche i fatti storici oggetto dei due processi sono diversi (pag. 32 e seguenti). La “riduzione” dell’imputazione, in quanto avallata dal giudice procedente autolimitatosi nell’accertamento in conformità all’intervenuta modifica dell’imputazione, non ha reso nemmeno improcedibile l’azione penale esercitata nel presente procedimento dal pubblico ministero nei confronti di NOME e NOME COGNOME per il medesimo reato associativo, anche se commesso in un arco temporale in larga parte coincidente con quello dell’originaria imputazione che, essendo “aperta”, consentiva legittimamente l’estensione dell’accertamento cognitivo sulla permanenza fino alla sentenza di primo grado, emessa nel marzo 2015. L’assunto non è corretto perché ignora le conseguenze del principio di irretrattabilità dell’azione penale previsto dall’art. 50, comma 3, cod. proc. pen. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
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in base al quale la revoca dell’atto di esercizio dell’azione penale è sempre illegittima (Sez. 1, n. 6999720 del 9/12/1999, Rv. 215235; Sez. 3, n. 129 del 16/1/1996, Rv. 204344). Una volta che il pubblico ministero chiede la verifica giudiziale sull’ipotesi di accusa sintetizzata nell’imputazione, il vaglio del giudi è ineludibile. Il potere di dare al fatto una diversa definizione giuridica o pronunciare una sentenza di proscioglimento compete solo al giudice. Il pubblico ministero a norma degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen., ha il solo potere di integrare l’accusa, mentre non può procedere autonomamente alla correzione o riqualificazione delle condotte (Sez. 5, n. 9806 del 13/2/2006, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 234231) e la sua eventuale iniziativa di eliminare la contestazione di un fatto (o di una parte di esso) o di sua circostanza, proprio perché contrastante con il principio desumibile dall’art. 50, comma 3, cod. proc. pen., è priva di qualunque effetto e non incide sul dovere del giudice di pronunciarsi sull’intera materia devolutagli, con l’esercizio dell’azione penale e con le integrazioni successive (e, infatti, in questo senso si vedano le conseguenze tratte, a seguito dell’impugnazione del pubblico ministero, da Sez. 4, n. 26653 del 22/4/2009, COGNOME, Rv. 244505 – 01; Sez. 2, n. 6905/10 del 11/11/2009, COGNOME, Rv. 246451 – 01; Sez. 2, n. 18167 del 8/2/2017, COGNOME, Rv. 269743 – 01). È, invece, revocabile la richiesta di archiviazione, ovvero la scelta di “non azione”, atteso il principio generale della revocabilità d provvedimenti che non definiscono una fase del giudizio (in questo caso non aperto) e soprattutto delle istanze delle parti (Sez. 6, n. 11379 del 29/1/2018, Rv. 272638; Sez. 4, n. 26872 del 13/6/2006, Rv. 234812). Il principio di irretrattabilità dell’azione penale, in conclusione, priva il pubblico ministero d potere di riformulare l’imputazione o eliminando uno dei reati in contestazione (Sez. 5, n. 8998 del 24/2/2022, COGNOME, Rv. 282861- 01) o eliminando una circostanza aggravante (Sez. 5, n. 9806 del 13/2/2006, COGNOME, Rv. 234231 – 01) o eliminando qualunque altro elemento essenziale dell’imputazione (Sez. 2, n. 36376 del 23/6/2021, COGNOME, Rv. 282015 – 01). L’accertamento giudiziale, il cui ambito è definito dall’imputazione su cui si misurano i poteri di cognizione e di decisione, si atteggia in modo particolare quando viene in gioco la contestazione di un reato permanente come l’associazione di tipo mafioso. Nel caso di contestazione “aperta”, che ricorre quando l’imputazione indica soltanto la data iniziale del fatto ma non anche la data di cessazione della permanenza, l’intrinseca idoneità di tale tipo di reato a durare nel tempo, anche dopo l’avverarsi dei suoi elementi costitutivi, fa sì che la contestazione copra l’inter sviluppo della fattispecie criminosa. La cognizione del giudice, in tale ipotesi, s svolge entro gli ampi confini temporali dell’imputazione segnati, a monte, dalla data di inizio della condotta indicata dal pubblico ministero e, a valle, dalla dat di conclusione del giudizio. Nel caso di contestazione “chiusa”, ossia di Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
imputazione temporalmente definita sia nel momento iniziale che in quello conclusivo della permanenza, il giudice può conoscere di un eventuale tratto successivo della condotta a condizione che essa formi oggetto di nuova contestazione ad opera del p.m. ex art. 516 c.p.p.; l’indicazione di un momento ancora successivo di conclusione della permanenza modifica radicalmente, per aggiunta, il fatto come inizialmente contestato, comportandone una diversità sotto il profilo temporale, che ovviamente influisce sulla gravità del reato e sull misura della pena e può condizionare l’operatività di eventuali cause estintive (Sez. U, n. 11930 del 11/11/1994, Polizzi Rv. 199171 – 01). Il pubblico ministero, una volta esercitata l’azione con l’addebito di un reato associativo in forma aperta, non può manipolare l’imputazione in modo da sottrarre al processo la cognizione di un tratto temporale di condotta contestata; non può ridurre l’arco temporale dell’imputazione perché ciò si risolve nella eliminazione di una parte della contestazione in cui si è sostanziato l’esercizio dell’azione. Conseguentemente, se anche 11 giudice limiti espressamente l’accertamento della condotta partecipativa fino alla nuova data (nella specie, fino al 31 dicembre 2009) indicata dal p.m. nell’ambito di una contestazione originariamente aperta, oggetto della decisione giudiziale non può che essere l’intera imputazione, comprensiva anche della parte di condotta associativa successiva, perché comunque oggetto della contestazione (nella specie dal I° gennaio 2010 febbraio 2015). Rispetto a questa porzione di imputazione la decisione conclusiva del giudizio, che si sia espressamente conformata ai nuovi e diversi confini temporali della contestazione sì come delineati dall’intervento di precisazione del p. m., comporta un implicito accertamento negativo. Deve conclusivamente affermarsi che la riperimetrazione dell’arco temporale di commissione del delitto di associazione di stampo mafioso, inizialmente contestato in forma “aperta”, è inibita all’organo dell’accusa se, in concreto, determini l’artificiosa sottrazione processo di una porzione dell’imputazione, riferibile temporalmente al periodo compreso tra la data finale di cessazione come successivamente indicata dal pubblico ministero e il momento di conclusione dell’accertamento giudiziale di primo grado (in senso contrario Sez. 2, n. 36376 del 23/6/2021, già citata). L’eventuale nuovo esercizio di azione per imputazioni che risultino dall’indebita sottrazione, operata in precedenti processi, di porzioni di più ampie contestazioni operate in forma aperta è precluso o dall’eventuale esistenza di un giudicato o dalla improcedibilità conseguente alla consumazione del potere di azione secondo quanto affermato da Sez. U, n. 34655 del 28/6/2005, P.G. in proc. Donati Rv. 231800, per la quale “non può essere nuovamente promossa l’azione penale per un fatto e contro una persona per i quali un processo già sia pendente (anche se in fase o grado diversi) nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del P. M.” Spetta pertanto al giudice del secondo giudizio, ove sia investito Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
della questione, il compito di accertare, mediante opportuno raffronto tra le imputazioni e le condotte accertate in entrambi i giudizi, se il Pubblico ministero abbia contestato, nella sostanza, un fatto, sotto il profilo storico-naturalistic identico a quello oggetto della pregressa accusa in itinere ritrattata così da generare una proliferazione artificiosa dei procedimenti. In accoglimento delle esaminate censure dedotte dai ricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME, la sentenza impugnata deve essere annullata in relazione al capo A) con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’appello di Reggio Calabria, che, uniformandosi ai richiamati principi di diritto, dovrà verificare, attraverso necessarie valutazioni di merito, la fondatezza della dedotta violazione del principio di irretrattabilità dell’azione penale.”‘
La sentenza impugnata, quindi, ha dato atto dell’orientamento illustrato dalla pronuncia citata, n. 36330 del 2022, espressione di un’interpretazione minoritaria, nonché dell’orientamento maggioritario, di segno opposto – quanto alla irretrattabilità dell’azione penale in riferimento alla modifica del dies ad quem nell’imputazione aperta (Sez. 2, n. 36376 del 23/06/2021, COGNOME, Rv. 282015; Sez. 6, n. 51803 del 17/10/2018, COGNOME, Rv. 274577; Sez. 2, n. 28634 de126/04/2012, COGNOME, Rv. 253414) -, chiarendo come il Collegio aderisse all’orientamento maggioritario (cfr. pagg. 7-12).
Tutto ciò premesso, appare del tutto evidente come la motivazione resa dalla sentenza impugnata, sulla specifica tematica indicata appaia il frutto dell’adesione ad un orientamento ermeneutico, il che costituisce una tipica opzione in diritto che nulla ha in comune con il dedotto errore di fatto, anche considerato che la sentenza impugnata ha dato chiaramente atto del fatto che la pronuncia n. 36330 del 2022, Rv. 283625, fosse stata emessa nei confronti di coimputati del ricorrente, ma non del ricorrente medesimo.
Ne discende, quindi, l’inammissibilità del ricorso e, ai sensi dell’art. 616 cod proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 04/12/2023
Il AVV_NOTAIO estensore
Il Presidente