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Ne bis in idem: la Cassazione chiarisce l’identità del fatto

La Corte di Cassazione ha annullato un provvedimento che negava l’applicazione del principio del ne bis in idem a un imprenditore, prima assolto e poi condannato per fatti legati alla stessa associazione criminale. La Corte ha sottolineato che, per valutare l’identità del fatto, è necessario analizzare la condotta concreta dell’imputato e non limitarsi alle diverse configurazioni formali del sodalizio criminoso contestato nei due giudizi.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ne bis in idem: la Cassazione chiarisce l’identità del fatto

Il principio del ne bis in idem, sancito dall’articolo 649 del codice di procedura penale, rappresenta un pilastro del nostro ordinamento giuridico, garantendo che nessun cittadino possa essere processato due volte per lo stesso fatto. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 3471/2024, offre un’importante lezione su come questo principio debba essere applicato in concreto, specialmente in contesti complessi come i processi per criminalità organizzata. La Corte ha stabilito che per determinare se due processi riguardino il “medesimo fatto”, non basta guardare alla qualificazione giuridica o alla struttura formale delle associazioni criminali contestate, ma è necessario un’analisi rigorosa della condotta materiale attribuita all’imputato.

I Fatti del Caso: Due Processi per la Stessa Condotta?

La vicenda processuale riguarda un imprenditore coinvolto in due distinti procedimenti penali.

Nel primo, veniva assolto dall’accusa di aver partecipato a un vasto “super-sodalizio” criminale, una sorta di confederazione di cosche che si erano accordate per la gestione e il controllo degli appalti pubblici per il rifacimento di un’importante autostrada. La sua assoluzione era motivata dalla mancanza di prove sufficienti sul suo ruolo specifico all’interno di questa complessa organizzazione.

Nel secondo procedimento, lo stesso imprenditore veniva invece condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, con riferimento a una singola cosca, la quale, tuttavia, era una delle componenti del “super-sodalizio” del primo processo. L’accusa, in questo caso, era di aver agito come “garante” per la cosca nelle vicende estorsive legate agli stessi appalti autostradali, consentendone l’infiltrazione nel tessuto economico.

L’imprenditore, attraverso i suoi legali, ha sostenuto che la seconda condanna violasse il principio del ne bis in idem, poiché, al di là delle diverse etichette giuridiche, il fatto storico contestato era identico in entrambi i processi: il suo presunto rapporto con la medesima cosca per il controllo dei medesimi appalti.

La Decisione del Giudice dell’Esecuzione

Il Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva inizialmente respinto la richiesta dell’imprenditore. Secondo i giudici, i fatti non erano identici. La motivazione si basava su due argomenti principali:

1. Diversità strutturale: Il primo processo riguardava un “meta-gruppo” che includeva più consorterie, mentre il secondo si concentrava esclusivamente su una singola cosca.
2. Diversità territoriale: Le aree di ingerenza delle associazioni nei due processi non erano perfettamente coincidenti.

In sostanza, il Tribunale aveva ritenuto che la diversa configurazione dei gruppi criminali contestati fosse sufficiente a escludere l’identità del fatto e, di conseguenza, ad ammettere la validità della seconda condanna.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sul principio del ne bis in idem

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’imprenditore, annullando la decisione del Tribunale e rinviando il caso per un nuovo esame. La motivazione della Suprema Corte è chiara e rigorosa, ribadendo un principio fondamentale nell’applicazione del ne bis in idem.

Il concetto di idem factum (medesimo fatto) non può essere limitato a una mera coincidenza degli elementi costitutivi del reato. Esso richiede un’analisi approfondita della concreta manifestazione della condotta, del nesso causale, dell’evento e dell’elemento psicologico (dolo). Come stabilito dalle Sezioni Unite (sent. Donati, 2005), l’identità del fatto va ricercata nella sua dimensione storico-naturalistica.

Nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto “non appagante” la motivazione del Tribunale, poiché quest’ultimo non aveva adeguatamente considerato che il ruolo attribuito all’imprenditore in entrambi i processi era sostanzialmente lo stesso: quello di referente di una specifica cosca per infiltrarsi nei lavori autostradali. Il fatto che tale cosca fosse, nel primo processo, inserita in una confederazione più ampia non cambia la sostanza della condotta attribuita all’imputato. La sua posizione soggettiva, il suo presunto contributo e l’arco temporale di riferimento apparivano identici.

La Corte ha specificato che la preclusione del giudicato sussiste anche quando, nel secondo giudizio, si contesta la partecipazione a una consorteria più ristretta, se questa si presenta identica per sfera operativa, interessi, affiliati e ruolo di vertice rispetto a quella del primo giudizio. Il Tribunale non ha spiegato in cosa consistesse la diversità del fatto, al di là di un cambiamento nella descrizione formale dell’associazione criminale.

Conclusioni: L’Importanza dell’Analisi Concreta del Fatto

La sentenza in esame rafforza un principio cardine dello stato di diritto: la sostanza prevale sulla forma. Per l’applicazione del divieto di doppio processo, i giudici devono guardare al cuore della vicenda umana e criminale contestata all’imputato. Una diversa qualificazione giuridica o una diversa descrizione del contesto associativo non sono sufficienti a giustificare un secondo processo, se la condotta materiale, lo scopo e il contesto storico rimangono invariati. Questa decisione impone ai giudici dell’esecuzione un’analisi più profonda e concreta, assicurando che il diritto fondamentale a non essere processati due volte per lo stesso fatto sia tutelato in modo effettivo.

Si può essere processati due volte se la descrizione dell’associazione criminale cambia tra un processo e l’altro?
No, se il fatto storico-naturalistico contestato all’imputato è il medesimo. Secondo la sentenza, una diversa configurazione del sodalizio (es. da ‘super-gruppo’ a singola cosca) non è di per sé sufficiente a superare il divieto di ‘ne bis in idem’ se la condotta concreta, il ruolo dell’imputato e il contesto operativo rimangono identici.

Cosa si intende per ‘idem factum’ (medesimo fatto) ai fini del ne bis in idem?
Per ‘idem factum’ si intende l’insieme degli elementi che costituiscono un episodio storico, ovvero la condotta materiale dell’imputato, il nesso di causalità, l’evento prodotto e l’elemento soggettivo (dolo). Non si tratta solo della corrispondenza astratta tra le norme incriminatrici, ma di una rigorosa analisi delle circostanze di tempo, luogo e azione.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la decisione del Tribunale in questo caso?
La Corte ha annullato la decisione perché la motivazione del Tribunale è stata giudicata carente. Il Tribunale si è soffermato sulla diversità strutturale delle associazioni criminali contestate, senza però spiegare in modo convincente in cosa consistesse la diversità del fatto concreto attribuito all’imputato, il cui ruolo appariva sostanzialmente identico in entrambi i procedimenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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