Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 8567 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 8567 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a NISCEMI il 27/01/1987 COGNOME NOME nato a NISCEMI il 27/01/1989 COGNOME NOME nato a NISCEMI il 17/02/1967
avverso la sentenza del 29/02/2024 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il proc. gen. si riporta alle conclusioni già depositate in cancelleria.
udito il difensore
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 29.2.2024 la Corte di Appello di Caltanissetta, in parziale riforma della pronuncia emessa in primo grado – anche – nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, che aveva dichiarato colpevole, il primo, dei reati di furto in abitazione, aggravato, dì cui capi A e B, il secondo, dei reati di furto in abitazione, aggravato, di cui ai capi A B, C e D, ed il terzo dei reati di furto in abitazione aggravato di cui ai capi E ed F ha, per quanto qui rileva, assolto Cannizzo dal reato di cui al capo C, COGNOME NOME dal reato di cui al capo E, rideterminando le rispettive pene inflitte a ciascuno in primo grado, confermando nel resto la decisione del primo giudice.
2.Avverso la suindicata sentenza ricorrono per cassazione gli imputati, tramite i rispettivi difensori di fiducia.
3. Il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME, con l’unico motivo articolato, deduce violazione di legge per inosservanza dei criteri di cui all’art 190 del codice di rito, con riferimento alla mancanza di precisione e concordanza della prova, contraddittorietà della motivazione in relazione all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato per il delitto di cui al capo A, ed errata qualificazione giuridica in relazione all’idoneità del tentativo di furto di cui al c B, con conseguente omessa motivazione sulla qualificazione del fatto.
In particolare, la Corte di merito non ha fornito adeguata motivazione in ordine al punto rilevato col primo motivo di appello con cui si contestava che potesse inferirsi la prova della colpevolezza dell’imputato in ordine al reato di cui al capo A dalla mera circostanza che lo stesso, unitamente a COGNOME NOME, fosse stato oggetto di riconoscimento a bordo della Opel Meríva – con numeri dì targa intermedi GLYPH passata più volte nei pressi dell’abitazione della parte offesa, dal momento che non consta che i predetti siano scesi dall’autovettura ed abbiano congiuntamente perpetrato il furto.
Rispetto al tentativo di furto dì cui al capo B, manca qualsiasi elemento circa la idoneità della condotta, atteso che la leva doveva avere la capacità in concreto di forzare la serratura. La presenza di un vicino di casa ha, piuttosto, indotto l’imputato alla desistenza che esclude la fattispecie del tentativo. Sul punto la motivazione della sentenza impugnata è del tutto carente.
4, Il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME deduce due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. pro pen.
4.1.Col primo motivo denuncia violazione di legge in relazione ai criteri di cui all’art. 190 del codice di rito, con riferimento alla mancanza di precisione e concordanza della prova, contraddittorietà della motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di cui al cap F). In appello si era lamentato che il giudice di primo grado si fosse basato esclusivamente sulla presunta presenza dell’imputato nel veicolo monitorato presso le abitazioni ove erano stati perpetrati i furti, veicolo che, tuttavia, no era di proprietà del predetto e che non era utilizzato esclusivamente dallo stesso, ma soprattutto dai suoi familiari. La Corte non solo non ha considerato tale circostanza, ma ha anche ritenuto provato il furto aggravato in casa di COGNOME perché nello stesso giorno sarebbe intervenuta la consegna degli orecchini giallo oro dall’imputato a COGNOME NOME; senza considerare la possibile alternativa della perpetrazione del furto dì tali monili da parte di altro soggetto che l avrebbe poi consegnato all’imputato. Tale ricostruzione alternativa non è inficiata dagli spostamenti dell’Opel Meriva rilevati dal GPS prima in Caltagirone, dopo a Niscemi, località distante più di 20 km, attesa la mancata individuazione dell’imputato e la consegna dei molini alla Frazzetto dopo un lasso di tempo apprezzabile, di ore.
4.2.Col secondo motivo deduce l’omessa motivazione in relazione alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’articolo 62, n. 4, cod. pen. e delle attenuanti generiche. La Corte di Appello, nonostante abbia riconosciuto in relazione al reato di ricettazione ascritto alla Frazzetto la fattispecie di lie entità, non ha poi ritenuto di ravvisare l’attenuante di cui all’articolo 62, n 4, favore del ricorrente.
Il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME COGNOME, con l’unico motivo articolato, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 649 del codice di rito, ossia la violazione del principio del ‘ne bis in idem’, co riferimento al reato di cui al capo C dell’imputazione. Ed invero, il ricorrente, a pari del coimputato COGNOME, è stato già giudicato per í medesimi fatti di cui al capo C, con sentenza irrevocabile n. 213/20 emessa il 19/02/2020 dalla Corte di appello di Caltanissetta, seconda sezione penale. Indi nel caso di specie si versa pacificamente nell’ipotesi dell’identità del fatto, sussistendo corrispondenza storico-naturalistica tra quanto giudicato nell’altro procedimento e quanto contestato nel presente. Nonostante la segnalazione effettuata dalla difesa, in
sede di richiesta di trattazione orale, corredata dalla sentenza passata in giudicato, e di discussione orale, riguardo alla sussistenza del ‘bis in idem’, la Corte di appello ha obliterato completamente la circostanza, omettendo di pronunciarsi sul punto.
I ricorsi, proposti successivamente al 30.6.2024, sono stati trattati – ai sensi dell’art. 611 come modificato dal d.lgs. del 10.10.2022 n. 150 – in pubblica udienza su richiesta della difesa.
I difensori di COGNOME e COGNOME Giuseppe hanno poi rinunciato alla discussione orale presentando conclusioni scritte con cui hanno insistito nell’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME deve essere accolto per quanto di ragione in esso esposto. I ricorsi di COGNOME e NOME COGNOME devono invece essere dichiarati inammissibili.
2.11 ricorso nell’interesse dì COGNOME.
Esso è meramente reiterativo di aspetti già valutati dai giudici di merito nelle conformi pronunce di primo e secondo grado, che, a differenza di quanto si assume in ricorso, hanno, con motivazione congrua ed adeguata, indicato le ragioni poste a fondamento dell’attribuibilità del furto di cui al capo A, anche, all’imputato, dando conto degli elementi probatori che concordemente depongono in tal senso. In particolare, nella sentenza impugnata si dà atto che il ricorrente, unitamente a COGNOME COGNOME era stato oggetto di riconoscimento a bordo della Opel Meriva – con numeri di targa intermedi “434” – passata più volte nei pressi dell’abitazione della parte offesa – circostanza questa non posta in discussione in ricorso – nella data e tempo in cui venne perpetrato il furto, a nulla potendo, evidentemente, rilevare il fatto che non risulti ripresa la loro discesa dall’autovettura. Dalla lettura della sentenza impugnata si evince altresì che l’auto anzidetta era stata utilizzata per commettere ulteriori reati a Niscemi (reati di tipo seriale), dallo stesso COGNOME e da COGNOME COGNOME che addirittura lo stesso giorno, 13.11.2016, avevano tentato dì rubare anche nell’abitazione di Cerrone Liboria, non riuscendovi per cause indipendenti dalla loro volontà (per essere sopraggiunto il proprietario del garage attiguo al portone della dimora).
Di qui la conclusione, non inficiata da manifesta illogicità, secondo la quale il furto in abitazione sub A) non poteva essere stato commesso che da COGNOME e COGNOME NOME, dal momento che essi e non altri erano risultati a bordo dell’autovettura Meriva nell’arco temporale del furto ed erano passati nei pressi dell’abitazione depredata. Trattasi, in altri termini, di circostanza che, let unitamente ad altri fattori emergenti dalle sentenze di merito congruenti in tal senso, è stata ritenuta pienamente indicativa del fatto che a perpetrare il furto fossero stati proprio i predetti imputati.
Tale congruità impedisce a questa Corte di sindacare il contenuto del provvedimento impugnato sotto i profili evidenziati in ricorso, che, per altro verso, attraverso la violazione di legge e il vizio di motivazione dedotti, mira piuttosto ad ottenere una rivalutazione probatoria e in fatto, parimenti inammissibile nella presente sede di legittimità.
Va, invero, rammentato che i limiti della cognizione della Corte di Cassazione sono individuabili nell’ambito della specifica previsione normativa contenuta nell’art. 606 cod. proc. pen., con la conseguenza che, qualora venga denunciato iI vizio di motivazione, tale vizio, per poter essere rilevato, deve assumere i connotati indicati nell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., e cioè riferirsi mancanza della motivazione o alla sua manifesta illogicità (Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, De Lorenzo, Rv. 199391). Donde, il sindacato di legittimità sulla motivazione del provvedimento è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine del provvedimento (Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, Merja, Rv. 248698).
L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere, dunque, evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato dì legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794); la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che I testo de provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o dì logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di
Francesco, Rv. 205621). Sicché una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma dì logicità (Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, COGNOME, Rv. 202903).
E’ possibile estendere il sindacato di legittimità ad atti estranei al testo dell sentenza solo in caso di dedotto travisamento della prova, vizio configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, COGNOME, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499); evenienza non ricorrente nel caso di specie.
E nel caso di specie, per quanto sopra già evidenziato, la motivazione della sentenza impugnata è del tutto congrua e non è rilevabile alcuna delle violazioni di legge indicate.
Rispetto al tentativo di furto di cui al capo B, la motivazione della sentenza impugnata è parimenti esaustiva, avendo essa messo in evidenza – in relazione al motivo di appello incentrato sulla desistenza – che questa dovesse escludersi in quanto l’azione non era stata interrotta volontariamente, ma per necessità, per l’arrivo del vicino (ex multís, Sez. 4, n, 12240 del 13/02/2018, Rv. 272535 – 01).
Nel resto il motivo si fonda su circostanze di fatto ed aspetti neppure specificamente sviluppati in appello, sicché ora questa Corte non può certamente rilevare carenze motivazionali, né tanto meno sindacare la idoneità della condotta sotto il diverso profilo esposto in ricorso.
3.11 ricorso nell’interesse di COGNOME NOME
3.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto meramente reiterativo di aspetti già valutati dai giudici di merito nelle conformi pronunce d primo e secondo grado, che, a differenza di quanto si assume in ricorso, hanno, con motivazione congrua ed adeguata, indicato le ragioni poste a fondamento dell’attribuíbilità del furto di cui al capo F, anche, all’imputato, dando conto degl elementi probatori che concordemente depongono in tal senso. Esso è, per altro verso, volto a sollecitare, genericamente, una diversa valutazione degli elementi indiziari, non consentita nella presente sede a fronte di apprezzamenti di merito univocamente posti in essere da parte di entrambi i giudici dì primo e secondo
grado. Elementi che, letti in via inferenziale, hanno condotto all’affermazione di responsabilità di COGNOME NOME per il reato dì cui al capo F.
In particolare, il giudice del gravame ha attribuito il reato dì furto di cui capo F a COGNOME NOME ponendo in correlazione le risultanze del GPS installato sulla Opel Meriva (e, quindi, sulla base degli spostamenti dell’auto localizzata a Caltagirone nei pressi dell’abitazione ove era stato commesso il furto), con il dato certo della consegna, da COGNOME NOME alla moglie COGNOME NOME, degli orecchini sottratti dall’appartamento ove poco prima era stato commesso il furto, e dell’essersi poi recato con la stessa presso il compro oro di Bonaffini. La diversa valutazione del fatto, in termini di ricettazione e non di furto, cui allude la difesa non è stata prospettata in appello in cui anzi s contestava la provenienza illecita degli orecchini. Essa, in ogni caso, si fonda su mere congetture che no trovano alcun addentellato nelle conformi ricostruzioni svolte dai giudici di merito che evidenziano piuttosto come la stringente dinamica degli eventi risulti concatenata e deponga per la partecipazione al furto del ricorrente anche alla luce degli altri elementi emersi e non solo della tempistica.
3.2. Il secondo motivo è inammissibile poiché generico. Anzi a ben vedere era già affetto da aspecificità lo speculare motivo di appello con cui si era reclamato genericamente il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche senza addursi gli elementi specifici positivamente apprezzabili, che d’altra parte neppure nella presente sede si assume essere stati immotivatamente disattesi.
In ogni caso si rammenta che non è censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che non motivi espressamente in relazione a una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza (tra tante, Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, deo. 08/02/2023, Rv. 284096 – 01).
Nella specie, la Corte d’appello ha determinato la pena avuto riguardo ai criteri di cui all’art. 133 c.p. e il rigetto della richiesta di attenuanti gener peraltro solo genericamente avanzata, si desume dalla motivazione quoad poenam, laddove viene sottolineata la gravità dei fatti e la natura professionale degli imputati.
Ciò che implica implicito rigetto anche dell’invocata attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p., invocata peraltro genericamente già in appello e col motivo in scrutinio sulla sola base del fatto che alla coimputata COGNOME era stata riconosciuta la fattispecie di lieve entità di cui all’art. 648, comma 4, cod. pen.
Il ricorso nell’interesse di COGNOME NOME. Il ricorso è fondato.
La preclusione derivante dal giudicato formatosi sul medesimo fatto, risolvendosi in un “error in procedendo”, è deducibile nel giudizio di cassazione a condizione che la decisione della relativa questione non comporti la necessità di accertamenti di fatto, nel qual caso la stessa deve essere proposta al giudice dell’esecuzione (cfr. da ultimo, Sez. 6, n. 29188 del 15/05/2024, Rv. 286759 01)
E nel caso di specie alla stregua del mero confronto tra l’imputazione elevata nel presente giudizio con quella già giudicata con sentenza n. 213/2020 della Corte d’appello di Caltanissetta (irr. il 4.7.2020), è rilevabile l’identità del fatto.
Dall’esame della sentenza n. 213/2020 della Corte d’appello di Caltanissetta, allegata all’atto di ricorso, si evince che l’imputato è già stato giudicato per condotta di cui al capo C, essendo egli già stato tratto a giudizio e condannato per il “reato di cui agli artt. 110, 624 bis e 625 n. 2 c.p. perché, agendo i concorso […i, introducendosi all’interno dell’abitazione di Barone Franco sita in Niscemi INDIRIZZO al fine di trarne profitto, si impossessava di una catenina in oro giallo con crocifisso e di un paio di orecchini in oro giall sottraendoli dalla predetta abitazione. Con l’aggravante di aver commesso il fatto con violenza sulle cose consistita nell’effrazione del porto d’ingresso dello stabile e della porta d’ingresso dell’abitazione”. “In Niscemi il 18 novembre 2018”.
D’altra parte, l’operatività del divieto di un secondo giudizio, previsto dall’art 649 cod, proc. pen., non è preclusa dalla configurazione di circostanze aggravanti non costituenti oggetto del precedente processo (come nella specie), in quanto la valutazione sull’identità del fatto deve essere compiuta unicamente con riferimento all’elemento materiale del reato nelle sue componenti essenziali relative alla condotta, all’evento e al relativo nesso causale (ex multis, Sez. 1, n. 42630 del 27/04/2022 Rv. 283687 – 01).
Dalle ragioni sin qui esposte deriva che la sentenza impugnata deve essere annullata, senza rinvio, nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al reato di cui al capo c), e che la relativa pena di mesi due giorni venti d reclusione ed euro 134,00 di multa, così determinata per il rito, inflitta da giudice di merito relativamente a tale reato, posto in continuazione, deve essere eliminata.
Discende altresì che i ricorsi dì NOME COGNOME e NOME COGNOME devono essere dichiarati inammissibili con conseguente condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al reato di cui al capo c), in quanto già giudicato con sentenza n. 213/2020 emessa dalla Corte di appello di Caltanissetta in data 19/02/2020, ed elimina la relativa pena di mesi due giorni venti di reclusione ed euro 134,00 di multa, così determinata per il rito’ Dichiara inammissibili i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 12/12/2024.