Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45509 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45509 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 21/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a ALCAMO il 29/01/1977
avverso la sentenza del 18/01/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
COGNOME NOMECOGNOME ritenuto responsabile del reato di furto di energia elettrica con attacco diretto alla rete, ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo ttbedistinti motivi di ricorso: a) vizio di motivazione in ordine alla responsabilità penale dell’imputato, posto che la Corte territoriale si era limitata a confermare per relationem la sentenza di primo grado, negando la ricorrenza del bis in idem rispetto a condotta di reato per cui il ricorrente era stato condannato con sentenza n.657/2019;b) vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento del concorso formale o del reato continuato; e) vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Il ricorso è inammissibile.
Il primo ed il secondo motivo di ricorso non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché tendono palesemente ad ottenere una rivisitazione dei fatti accertati dal giudice di merito, non ammessi in sede di legittimità, ed inoltre appaiono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito, non scanditi da necessaria analisi critica delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata, privi della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e dei cor relati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).
La sentenza impugnata, alle pagine 2 e 3, ha accertato che, nel caso di specie, la condotta contestata nel procedimento relativo alla sentenza divenuta irrevocabile non coincide con quella per cui si procede, posto che non vi è coincidenza del fatto (condotta, evento e nesso di causalità), essendo diversi gli immobili serviti dalla fornitura abusiva e diversa la quantità di energia elettrica sottratta. Inoltre, si è fornita spiegazione specifica in ordine ai fatti riscontrati (allaccio abusivo mediante apposizione di due conduttori di rame a monte del contatore, pur disattivato dal ricorrente per cessazione di utenza, che bypassava, così consentendo all’imputato stesso, che lo aveva ammesso, di fruire dell’energia elettrica all’interno dell’abitazione). La Corte di appello, quindi, si è conformata all’orientamento espresso dalla Corte di cassazione (Sez. 4, n. 30615 del 09/05/2024, Testore, Rv. 286884 – 02), secondo cui, in tema di divieto del “bis in idem”, sussiste l'”idem factum”, alla luce della giurisprudenza della Corte EDU e di quella della Corte di giustizia dell’UE, nel caso di identici fatti materiali o in quello di fatti sostanzi
mente identici per circostanze connesse da inscindibile legame sotto il profilo spazio-temporale, dovendo escludersi, invece, l’identità nel differente caso in cui dalla medesima condotta dell’agente siano derivati eventi naturalisticamente diversi. (Fattispecie in cui la Corte ha rigettato la richiesta difensiva di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, relativa al quesito se l’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e l’art. 54 della Convenzione per l’accordo di Schengen dovessero essere interpretati come contenenti il divieto di un secondo giudizio in caso di contestazione di identiche condotte, a prescindere dalla eventuale diversità dell’evento).
Dal medesimo accertamento in fatto, relativo alla duplicità delle condotte (diversi allacci ala rete) la Corte territoriale ha dedotto correttamente l’inconfigurabilità del concorso formale dei reati; dalla assenza di elementi idonei a provare che le condotte fossero frutto di un unico disegno criminoso, nel senso che al momento della commissione del primo allaccio, l’imputato prefigurasse la successiva reiterazione di allaccio abusivo, la Corte ha tratto argomenti per negare l’applicazione della continuazione tra i due reati.
Il terzo motivo di ricorso, con cui il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, è pure inammissibile in ragione del fatto che, alla pagina 5 della sentenza impugnata, la Corte territoriale ha accertato l’insussistenza di circostanze favorevoli, tali da consentire il riconoscimento delle stesse, a fronte di una personalità negativa e propensa al crimine, come dimostrato da due precedenti specifici a carico del COGNOME e dal fatto che la condotta di abusiva fruizione di energia elettrica era cessata solo in ragione della verifica disposta dall’Enel.
A fronte di tale specifica motivazione, il ricorrente, che, pure deduce vizio di violazione di legge, nella sostanza lamenta un erroneo esercizio del potere giurisdizionale di determinazione del trattamento sanzionatorio, non indica quali sarebbero gli elementi favorevoli trascurati. Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 4, n. 32872 dell’ 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 01).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 21/11/2024