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Ne bis in idem esecuzione: la Cassazione annulla

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza del Tribunale di Taranto che aveva nuovamente riconosciuto la continuazione tra reati già oggetto di una precedente decisione irrevocabile. La sentenza ribadisce la validità del principio del “ne bis in idem esecuzione”, che impedisce al giudice di pronunciarsi due volte sulla stessa questione in assenza di nuovi elementi, affermando il concetto di “giudicato esecutivo”.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ne bis in idem in fase di esecuzione: Non si può decidere due volte sulla stessa continuazione

Il principio del “ne bis in idem” – letteralmente, “non due volte per la medesima cosa” – è un pilastro del nostro ordinamento giuridico. Esso garantisce che nessuno possa essere processato due volte per lo stesso reato. Ma cosa accade dopo la condanna definitiva? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 35492/2024, chiarisce l’applicazione di questo principio anche nella fase esecutiva, introducendo il concetto di ne bis in idem esecuzione. La pronuncia afferma che un giudice non può riesaminare una questione, come il riconoscimento della continuazione tra reati, se si è già espresso in merito con una decisione divenuta irrevocabile.

I fatti del caso

Un condannato presentava un’istanza al Tribunale di Taranto, in qualità di Giudice dell’esecuzione, per ottenere il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati oggetto di due sentenze di condanna, emesse nel 2012 e divenute entrambe definitive. Il Tribunale accoglieva l’istanza con un’ordinanza del 2024.

Contro questa decisione, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto proponeva ricorso per cassazione, sostenendo che la stessa questione era già stata decisa in passato. Infatti, un precedente Giudice dell’esecuzione, con un’ordinanza del 2013, aveva già riconosciuto la continuazione tra i medesimi reati e aveva determinato la pena complessiva. Essendo tale provvedimento divenuto irrevocabile, il Procuratore ne deduceva la violazione del principio del ne bis in idem.

Il ricorso del Pubblico Ministero e il principio del Ne bis in idem esecuzione

Il cuore del ricorso si fondava sulla violazione del cosiddetto “giudicato esecutivo”. Il Pubblico Ministero evidenziava che l’ordinanza impugnata era, di fatto, una duplicazione di una decisione già presa e definitiva. L’articolo 666, comma 2, del codice di procedura penale, stabilisce l’inammissibilità delle istanze che ripropongono questioni già decise sulla base dei medesimi elementi. In questo caso, il Giudice dell’esecuzione del 2024 aveva emesso una decisione “inefficace” perché si era pronunciato su un aspetto già cristallizzato dalla precedente ordinanza del 2013. Inoltre, aveva determinato una pena diversa senza che fossero emersi nuovi elementi a giustificazione di tale modifica, violando palesemente il principio del ne bis in idem esecuzione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso del Procuratore pienamente fondato. Gli Ermellini hanno ribadito che il principio del “ne bis in idem”, sancito dall’art. 649 c.p.p., trova applicazione analogica anche nel procedimento di esecuzione. Quando il Giudice dell’esecuzione emette un’ordinanza su una specifica questione, e questa diventa irrevocabile, si forma un “giudicato esecutivo” che impedisce di tornare sulla stessa decisione.

Nel caso specifico, il giudice del 2024 ha errato nel riconoscere nuovamente una continuazione già accertata nel 2013. Questa seconda pronuncia è stata definita “inefficace” proprio perché ha riesaminato un punto già deciso. La Corte ha sottolineato che una decisione esecutiva può essere modificata solo in presenza di elementi nuovi, che qui erano del tutto assenti. Pertanto, la seconda ordinanza non solo era superflua, ma anche illegittima perché violava la stabilità della decisione precedente.

Le conclusioni

Con questa sentenza, la Suprema Corte ha annullato senza rinvio l’ordinanza del 2024, limitatamente alla parte in cui riconosceva la continuazione tra i reati delle due sentenze del 2012. La decisione ripristina la validità e l’efficacia della prima ordinanza del 2013. Il messaggio è chiaro: la certezza del diritto e la stabilità delle decisioni giudiziarie sono valori che si estendono anche alla fase dell’esecuzione della pena. Il ne bis in idem esecuzione impedisce che questioni già definite possano essere rimesse in discussione all’infinito, garantendo così l’ordine e la coerenza del procedimento penale anche dopo la condanna.

È possibile chiedere nuovamente al giudice dell’esecuzione di riconoscere la continuazione tra reati se si è già pronunciato in passato?
No, secondo la sentenza, se il giudice si è già pronunciato con una decisione divenuta irrevocabile e non sono emersi nuovi elementi, non è possibile riproporre la stessa istanza. Si applica il principio del “giudicato esecutivo”, che è un’espressione del più generale principio del ne bis in idem.

Cosa significa “giudicato esecutivo” nel procedimento penale?
Significa che una decisione presa dal giudice dell’esecuzione su una specifica questione (come la continuazione tra reati) diventa stabile e non può essere ridiscussa, a meno che non si presentino fatti o elementi nuovi che non erano stati precedentemente considerati.

Qual è stata la conseguenza della violazione del principio del ne bis in idem in questo caso?
La Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la seconda ordinanza (quella del 2024), rendendola inefficace. Di conseguenza, rimane valida ed efficace la prima ordinanza del 2013, che aveva già riconosciuto la continuazione e determinato la pena complessiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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