LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Ne bis in idem e bancarotta: quando si può riaprire?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 45789/2024, ha stabilito che il principio del ‘ne bis in idem’ non impedisce un nuovo processo per bancarotta fraudolenta nei confronti di un soggetto già prosciolto per prescrizione dal reato di appropriazione indebita per gli stessi fatti. La Corte ha chiarito che la successiva dichiarazione di fallimento costituisce un elemento storico e giuridico nuovo, che modifica la natura del fatto e giustifica una nuova azione penale.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ne bis in idem e Bancarotta: la Dichiarazione di Fallimento Cambia il Fatto

Il principio del ne bis in idem, che vieta un secondo processo per lo stesso fatto, è un cardine del nostro ordinamento. Tuttavia, la sua applicazione può diventare complessa quando uno stesso comportamento assume rilievo per reati diversi in momenti successivi. Con la sentenza n. 45789 del 2024, la Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico, chiarendo che una precedente archiviazione per appropriazione indebita non impedisce un’azione penale per bancarotta fraudolenta se, nel frattempo, interviene la dichiarazione di fallimento della società. Questo evento, secondo la Corte, trasforma la natura stessa del “fatto”.

I Fatti di Causa: Dall’Appropriazione Indebita alla Bancarotta

La vicenda riguarda un imprenditore accusato di aver sottratto due milioni di euro dalle casse di una sua società. Inizialmente, per questa condotta era stato avviato un procedimento per il reato di appropriazione indebita. Tale procedimento si era concluso con una sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione.

Successivamente, la società veniva dichiarata fallita. A questo punto, la Procura avviava un nuovo procedimento penale nei confronti dell’imprenditore, questa volta per il più grave reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, basandosi sulla medesima sottrazione di due milioni di euro. Nell’ambito di questo nuovo procedimento, il Tribunale, in sede di appello cautelare, ripristinava un sequestro preventivo sulla somma, che era stato precedentemente revocato.

L’indagato proponeva ricorso in Cassazione, sostenendo principalmente la violazione del principio del ne bis in idem. A suo avviso, essendo già stato giudicato per quel fatto, seppur con una sentenza di proscioglimento per prescrizione, non poteva essere nuovamente sottoposto a processo, anche se con una diversa qualificazione giuridica del reato.

L’Applicazione del Ne Bis in Idem secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, offrendo un’analisi approfondita del concetto di “medesimo fatto” ai fini dell’applicazione dell’art. 649 c.p.p. Il punto centrale della decisione è che il fatto storico oggetto del nuovo procedimento per bancarotta non è identico a quello del precedente procedimento per appropriazione indebita.

La Dichiarazione di Fallimento come Spartiacque

Secondo la Corte, la sentenza dichiarativa di fallimento non è un mero presupposto processuale, ma un elemento che arricchisce e modifica la condotta originaria. L’appropriazione di somme di denaro, se considerata isolatamente, lede il patrimonio della società. Quando a tale condotta segue la dichiarazione di fallimento, il fatto si arricchisce di una nuova dimensione: l’esposizione a pericolo degli interessi dei creditori.

Questo nuovo elemento, la lesione della garanzia patrimoniale dei creditori, trasforma l’evento storico-naturalistico. Non si tratta più solo di una violazione del diritto di proprietà della società, ma di un attacco all’intero ceto creditorio, che è il bene giuridico protetto dalla norma sulla bancarotta.

La Valutazione del Periculum in Mora nel Sequestro

Oltre alla questione principale sul ne bis in idem, la Corte ha rigettato anche gli altri motivi di ricorso, relativi alla presunta insussistenza del fumus commissi delicti (la parvenza di reato) e del periculum in mora (il pericolo di dispersione dei beni).

L’indagato sosteneva di aver restituito parte delle somme, ma la Corte ha ritenuto la motivazione del Tribunale adeguata nel non considerare tali versamenti come una prova della mancanza di volontà distrattiva. Per quanto riguarda il periculum, i giudici hanno ritenuto corretto desumerlo da una serie di elementi:

* L’ingente valore del profitto confiscabile (due milioni di euro).
* La natura volatile del denaro.
* Il comportamento pregresso dell’indagato, incline a utilizzare schemi societari complessi.
* La sproporzione tra la somma sottratta e il patrimonio dichiarato dall’indagato.

La Corte ha ribadito che, in sede di legittimità, non è possibile riesaminare nel merito la valutazione del giudice sulla sussistenza dei presupposti per il sequestro, ma solo verificare l’esistenza di una violazione di legge, come una motivazione assente o meramente apparente, cosa che in questo caso è stata esclusa.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sulla distinzione tra la qualificazione giuridica di un fatto e il “fatto storico-naturalistico” nella sua interezza. Il principio del ne bis in idem tutela l’individuo dall’essere processato due volte per il medesimo accadimento storico. Tuttavia, un accadimento storico è composto da tutti i suoi elementi costitutivi: condotta, evento, nesso causale e circostanze di tempo e luogo. L’intervento della sentenza di fallimento, successiva alla condotta di appropriazione, introduce un elemento nuovo e fondamentale che non era presente nel primo procedimento. Questo elemento non si limita a cambiare l’etichetta giuridica (da appropriazione indebita a bancarotta), ma altera la sostanza stessa del fatto, aggiungendovi la dimensione dell’offesa agli interessi dei creditori. La Corte, richiamando la giurisprudenza costituzionale ed europea, sottolinea che il “fatto” va inteso in senso ampio e concreto. Pertanto, se un nuovo elemento storico (il fallimento) emerge, esso può dare vita a un “fatto diverso” che legittima un nuovo procedimento penale senza violare il divieto di doppio processo. Una sentenza di proscioglimento per prescrizione, inoltre, non accerta l’insussistenza del fatto, ma si limita a dichiarare l’estinzione del reato, lasciando intatto il fatto storico che può essere rivalutato alla luce di nuovi eventi giuridicamente rilevanti.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando il sequestro preventivo. La sentenza stabilisce un importante principio: il divieto di ne bis in idem non opera in modo automatico quando una condotta viene riqualificata da appropriazione indebita a bancarotta fraudolenta. Se la riqualificazione è determinata dall’intervento di un evento storicamente e giuridicamente nuovo, come la dichiarazione di fallimento, il “fatto” per cui si procede è diverso e il nuovo processo è legittimo. Questa decisione rafforza gli strumenti di tutela dei creditori nei procedimenti per reati fallimentari, specificando che la progressione criminosa dall’appropriazione alla bancarotta non trova uno scudo nel principio del doppio giudizio.

Quando una persona già processata per appropriazione indebita può essere nuovamente processata per bancarotta per gli stessi fatti?
Secondo la sentenza, ciò è possibile quando, dopo la condotta di appropriazione, interviene un nuovo elemento storico-giuridico, come la dichiarazione di fallimento. Questo evento modifica la natura del fatto, arricchendolo con la lesione degli interessi dei creditori, e lo rende diverso da quello originariamente contestato, superando così il divieto del ‘ne bis in idem’.

Una sentenza di proscioglimento per prescrizione impedisce sempre un nuovo processo per lo stesso fatto?
No. La sentenza chiarisce che una pronuncia di prescrizione estingue il reato ma non accerta l’insussistenza del fatto storico. Pertanto, il fatto storico sopravvive e può essere oggetto di una nuova valutazione e di un nuovo procedimento penale se si arricchisce di elementi ulteriori che lo configurano come un reato diverso e non ancora prescritto, come nel passaggio da appropriazione indebita a bancarotta dopo la dichiarazione di fallimento.

In un ricorso in Cassazione contro un sequestro preventivo, si può contestare la valutazione del giudice sul pericolo di dispersione dei beni?
No, non direttamente nel merito. Il ricorso in Cassazione avverso le ordinanze in materia di sequestro preventivo è ammesso solo per ‘violazione di legge’. Ciò significa che non si può contestare l’illogicità della motivazione o la valutazione dei fatti compiuta dal giudice (ad esempio, se il pericolo sia concreto o meno), a meno che la motivazione non sia totalmente assente o meramente apparente, configurando così una violazione di norme processuali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati