Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3766 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3766 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Reggio Calabria il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 15/09/2023 del Tribunale di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato;
udito l’AVV_NOTAIO, sostituto processuale dell’AVV_NOTAIO, in difesa di COGNOME NOME, il quale si è riportato ai motivi di ricorso, insistendo per l’accoglimento dello stesso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 15/09/2023, il Tribunale di Reggio Calabria, in sede di riesame ex art. 309 cod. proc. pen., confermava l’ordinanza del 28/08/2023 del G.i.p. del Tribunale di Locri che aveva applicato a NOME COGNOME la misura della custodia cautelare in carcere per essere lo stesso gravemente indiziato del reato di tentata rapina propria pluriaggravata (tra l’altro, dall’avere commesso il fatto mentre era sottoposto con provvedimento definitivo alla misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale) in concorso, commessa ai danni di
NOME, e con riguardo alle esigenze cautelari di cui alla lett. c) del comma 1 dell’art. 274 cod. proc. pen.
Avverso l’indicata ordinanza del 15/09/2023 del Tribunale di Reggio Calabria, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a un unico motivo, con il quale deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
Il ricorrente sostiene che la motivazione dell’ordinanza impugnata sarebbe «standardizzata e stereotipata» nonché apparente, in quanto inidonea a fare comprendere il fondamento della decisione con essa assunta, atteso che essa sarebbe basata su argomentazioni che non corrisponderebbero alle censure che erano state sollevate con la richiesta di riesame e nel corso della discussione in udienza.
Il ricorrente rappresenta anzitutto di avere eccepito la violazione del divieto del bis in idem, in quanto, per il medesimo fatto, era stato iniziato, davanti alla stessa autorità giudiziaria di Locri, un altro procedimento penale, relativo alla violazione, da parte sua, degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale.
In secondo luogo, il COGNOME lamenta il rigetto, da parte del Tribunale di Reggio Calabria, della propria doglianza con la quale aveva contestato la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 71 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, in ragione del fatto che, dopo la sua scarcerazione, non si era proceduto a rivalutare l’attualità e la persistenza della sua pericolosità sociale, come è richiesto dalla giurisprudenza sia delle Sezioni unite della Corte di cassazione (è citata, Sez. U, n. 51407 del 21/06/2018, NOME, Rv. 273952-01) sia della Corte costituzionale (è citata la sentenza n. 291 del 2013).
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’unico motivo è manifestamente infondato con riguardo al suo primo profilo e non è consentito, in quanto aspecifico, con riguardo al suo secondo profilo.
Quanto al primo profilo del motivo, relativo all’asserita violazione del principio del ne bis in idem, il Tribunale di Reggio Calabria ha correttamente escluso che la contestazione sia dell’aggravante di cui all’art. 71 del d.lgs. n. 159 del 2011, con riguardo al delitto di rapina per il quale stava procedendo, sia, nell’ambito di un altro procedimento penale, del reato di cui all’art. 75 dello stesso decreto legislativo, integrasse una violazione del divieto di bis in idem.
Il Tribunale di Reggio Calabria ha infatti correttamente rilevato come non vi sia identità tra il fatto di chi, sottoposto a una misura di prevenzione personale, anche senza violarne i relativi obblighi, commetta determinati delitti durante il previsto periodo di applicazione della misura e sino a tre anni dal momento in cui
ne è cessata l’esecuzione (ciò che integra l’aggravante di cui all’art. 71 del d.lgs. n. 159 del 2011) e il fatto di chi violi gli obblighi inerenti alla sorveglianza speci (ciò che integra il reato di cui all’art. 75 del d.lgs. n. 159 del 2011), con conseguente insussistenza di un bis in idem.
Il ricorrente, peraltro, ha del tutto omesso di confrontarsi con tale – come si è detto, giuridicamente corretta – argomentazione contenuta nell’ordinanza impugnata.
3. Quanto al secondo profilo del motivo, si deve rammentare che, secondo il comma 2-ter dell’art. 14 del d.lgs. n. 159 del 2011, comma aggiunto dall’art. 4 della legge 17 ottobre 2017, n. 161, «L’esecuzione della sorveglianza speciale resta sospesa durante il tempo in cui l’interessato è sottoposto a detenzione per espiazione di pena. Dopo la cessazione dello stato di detenzione, se esso si è protratto per almeno due anni, il tribunale verifica, anche d’ufficio, sentito pubblico ministero che ha esercitato le relative funzioni nel corso della trattazione camerale, la persistenza della pericolosità sociale dell’interessato, assumendo le necessarie informazioni presso l’amministrazione penitenziaria e l’autorità di pubblica sicurezza, nonché presso gli organi di polizia giudiziaria. Al relativo procedimento si applica, in quanto compatibile, il disposto dell’articolo 7. Se persiste la pericolosità sociale, il tribunale emette decreto con cui ordina l’esecuzione della misura di prevenzione, il cui termine di durata continua a decorrere dal giorno in cui il decreto stesso è comunicato all’interessato, salvo quanto stabilito dal comma 2 del presente articolo. Se invece la pericolosità sociale è cessata, il tribunale emette decreto con cui revoca il provvedimento di applicazione della misura di prevenzione».
Pertanto, ai sensi di tale comma, e, in particolare, del suo secondo periodo, la verifica della persistenza della pericolosità sociale è prevista solo se lo stato d detenzione dell’interessato si è protratto per almeno due anni.
Nel caso in esame, il Tribunale di Reggio Calabria ha rilevato come non risultasse che la detenzione del COGNOME si fosse protratta per almeno due anni, con la conseguenza che non si poteva ritenere sussistente il presupposto di legge, previsto dal citato comma 2-ter dell’art. 14 del d.lgs. n. 159 del 2011, che imponeva la rivalutazione dell’attualità e della persistenza della pericolosità sociale.
Il ricorrente si è limitato a dare atto di tale rilievo del Tribunale di Regg Calabria senza tuttavia contestarne specificamente il fondamento, non avendo neppure addotto – prima ancora che provato -, che, diversamente da quanto rilevato dallo stesso Tribunale, il suo stato di detenzione si era protratto per una durata tale da imporre l’attualizzazione del giudizio di pericolosità sociale.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, dìsp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 21/12/2023.