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Ne bis in idem e aggravante: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3766/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto indagato per tentata rapina pluriaggravata, commessa mentre era sottoposto a sorveglianza speciale. La Corte ha escluso la violazione del principio del ‘ne bis in idem’, chiarendo che l’aggravante per aver commesso un delitto durante la misura di prevenzione e il reato di violazione degli obblighi della stessa misura costituiscono due fatti giuridicamente distinti e non una duplicazione di sanzione.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ne bis in idem e Sorveglianza Speciale: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione è intervenuta su un tema cruciale che interseca il diritto penale e le misure di prevenzione: la presunta violazione del principio del ne bis in idem. Con la sentenza in commento, i giudici hanno stabilito che non vi è alcuna duplicazione di processo quando un soggetto, già sottoposto a sorveglianza speciale, viene accusato sia per il reato commesso (aggravato dalla sua condizione) sia per la violazione degli obblighi della misura stessa. Analizziamo la vicenda.

I Fatti del Caso

Un individuo, già sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno, veniva accusato di tentata rapina pluriaggravata. Per questo motivo, il Giudice per le indagini preliminari (G.i.p.) disponeva nei suoi confronti la misura della custodia cautelare in carcere. Tale decisione veniva confermata anche in sede di riesame dal Tribunale competente.

L’indagato decideva quindi di presentare ricorso per cassazione, sollevando due questioni principali: la violazione del divieto di doppio processo (ne bis in idem) e la mancata rivalutazione della sua pericolosità sociale dopo un precedente periodo di detenzione.

I Motivi del Ricorso: tra ne bis in idem e Pericolosità Sociale

Il ricorrente sosteneva, in primo luogo, che contestargli l’aggravante di aver commesso il reato durante la sorveglianza speciale e, contemporaneamente, procedere contro di lui in un separato procedimento per la violazione degli obblighi di tale misura, costituisse una violazione del principio del ne bis in idem. In sostanza, lamentava di essere processato due volte per la stessa condotta.

In secondo luogo, contestava la sussistenza stessa dell’aggravante, poiché, a suo dire, dopo la sua scarcerazione per una precedente condanna, non era stata effettuata la necessaria rivalutazione della sua attuale pericolosità sociale, come richiesto dalla normativa e dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale.

Le Motivazioni della Cassazione sul ‘ne bis in idem’

La Corte di Cassazione ha ritenuto il primo motivo manifestamente infondato. I giudici hanno chiarito la distinzione fondamentale tra due diverse norme del cosiddetto Codice Antimafia (D.Lgs. 159/2011):

1. L’aggravante (art. 71): Questa circostanza si applica quando una persona sottoposta a una misura di prevenzione commette un determinato delitto. La norma punisce più severamente il fatto che un reato sia stato commesso nonostante il ‘monito’ rappresentato dalla misura di prevenzione, che indica una spiccata pericolosità sociale. Non è necessario che vengano violati gli obblighi specifici della misura (es. l’obbligo di soggiorno).

2. Il reato di violazione degli obblighi (art. 75): Questa norma punisce in modo autonomo la condotta di chi, essendo sottoposto a sorveglianza speciale, viola gli obblighi inerenti alla misura (es. uscire dal comune di residenza, frequentare pregiudicati, ecc.).

La Corte ha concluso che si tratta di due ‘fatti’ giuridicamente diversi: il primo è la commissione di un delitto (es. rapina) in un dato contesto soggettivo (essere sorvegliato speciale); il secondo è la violazione di una specifica prescrizione. Pertanto, non sussiste alcuna duplicazione sanzionatoria e il principio del ne bis in idem non è violato.

La Decisione sulla Mancata Rivalutazione della Pericolosità

Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto, ma per una ragione di carattere processuale. La legge (art. 14, comma 2-ter, D.Lgs. 159/2011) prevede che la rivalutazione della pericolosità sociale sia obbligatoria solo se lo stato di detenzione precedente si è protratto per almeno due anni.

Il Tribunale del riesame aveva già rilevato che nel caso di specie questa condizione non era soddisfatta. Il ricorrente, nel suo atto di appello alla Cassazione, si è limitato a enunciare il principio di diritto senza però contestare specificamente l’accertamento del Tribunale sulla durata della sua detenzione. Il suo motivo è stato quindi giudicato ‘aspecifico’, ovvero troppo generico per poter essere esaminato, e quindi inammissibile.

Le Conclusioni

La sentenza della Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. Questa decisione ribadisce due importanti principi. Primo, la commissione di un reato durante la sorveglianza speciale e la violazione degli obblighi di quest’ultima sono condotte distinte che possono essere perseguite separatamente senza violare il ne bis in idem. Secondo, i motivi di ricorso in Cassazione devono essere specifici e puntuali, contestando nel dettaglio le argomentazioni della decisione impugnata, altrimenti rischiano di essere dichiarati inammissibili.

Commettere un reato durante la sorveglianza speciale viola il principio del ‘ne bis in idem’ se si viene processati sia per il reato aggravato che per la violazione della misura?
No. Secondo la Corte di Cassazione, si tratta di due ‘fatti’ giuridicamente distinti. L’aggravante punisce la commissione di un delitto nonostante lo status di sorvegliato, mentre il reato autonomo punisce la violazione degli obblighi specifici della misura. Non c’è quindi duplicazione di processo.

La pericolosità sociale di un soggetto in sorveglianza speciale deve essere sempre rivalutata dopo un periodo di detenzione?
No, non sempre. La legge (art. 14, comma 2-ter, D.Lgs. n. 159 del 2011) prevede che la verifica della persistenza della pericolosità sociale sia obbligatoria solo se lo stato di detenzione si è protratto per almeno due anni. In caso di detenzione più breve, tale rivalutazione non è imposta d’ufficio.

Cosa succede se un motivo di ricorso in Cassazione è considerato ‘aspecifico’?
Se un motivo di ricorso è ritenuto ‘aspecifico’, significa che è troppo generico e non contesta in modo puntuale e dettagliato le argomentazioni della decisione impugnata. In tal caso, la Corte di Cassazione dichiara il motivo inammissibile, senza entrare nel merito della questione sollevata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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