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Ne bis in idem: due clan mafiosi, un solo reato?

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di proscioglimento per un imputato di associazione mafiosa. La Corte d’Appello aveva erroneamente applicato il principio del ‘ne bis in idem’, ritenendo che l’imputato fosse già stato giudicato per lo stesso fatto. La Cassazione ha chiarito che le due associazioni criminali in questione erano distinte per struttura, finalità e attività, non potendosi quindi parlare di medesimo fatto. Di conseguenza, il processo deve proseguire.

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Pubblicato il 17 agosto 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ne bis in idem e reati associativi: quando due processi non violano la legge

Il principio del ne bis in idem, sancito dall’articolo 649 del codice di procedura penale, è un pilastro del nostro ordinamento: nessuno può essere processato due volte per lo stesso fatto. Ma cosa accade quando le accuse, pur sembrando simili, riguardano contesti criminali differenti? Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 12457 del 2019, offre un chiarimento cruciale su come applicare questo principio ai complessi reati associativi, come quello di stampo mafioso.

I Fatti del Processo

La vicenda giudiziaria riguarda un soggetto accusato di aver promosso, diretto e organizzato un’associazione mafiosa armata, operante in uno specifico territorio della Calabria e dedita a gravi reati come omicidi, estorsioni e spaccio. In primo grado, il Tribunale lo aveva condannato a sette anni di reclusione.

In appello, però, la difesa aveva sollevato un’eccezione basata sul principio del ne bis in idem. L’imputato, infatti, era già stato processato (e assolto in appello) in un altro procedimento per un reato di associazione mafiosa operante nella stessa area geografica e in un periodo parzialmente coincidente. La Corte d’Appello aveva accolto questa tesi, dichiarando il non doversi procedere per precedente giudicato, ritenendo che le due associazioni fossero sostanzialmente la stessa entità.

La Decisione della Corte di Cassazione

Il Procuratore Generale ha impugnato la decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse commesso un errore di valutazione. Secondo il ricorrente, le due associazioni criminali erano nettamente distinte.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando la sentenza di proscioglimento e rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio. Gli Ermellini hanno stabilito che i due procedimenti riguardavano fatti storici e giuridici diversi, rendendo quindi inapplicabile il divieto di un secondo processo.

Le Motivazioni: perché non si applica il ne bis in idem?

La chiave della decisione della Cassazione risiede nell’analisi dettagliata della natura e degli scopi delle due associazioni criminali. Le motivazioni della sentenza chiariscono che:

1. La prima associazione (processo ‘Tamburo’): Era stata descritta come una sorta di “associazione temporanea di imprese criminali”, con sede in una città specifica (Cosenza), il cui obiettivo primario era infiltrarsi nei lavori di ammodernamento di un’importante autostrada (la A3) attraverso estorsioni e imposizione di subappalti. Il ruolo dell’imputato in quel contesto era stato qualificato come quello di un alleato esterno, un “rappresentante” del suo clan territoriale che cercava, peraltro senza successo, di collaborare con il gruppo principale.

2. La seconda associazione (processo attuale): L’accusa in questo caso riguardava invece il ruolo apicale dell’imputato all’interno del proprio clan, il cosiddetto “clan degli zingari”, radicato in un altro territorio (Cassano dello Jonio). Questa organizzazione aveva un programma criminale molto più vasto e diversificato, che non si limitava alle sole attività legate ai lavori autostradali, ma includeva omicidi, estorsioni generalizzate, furti e spaccio.

La Corte ha evidenziato che nel primo processo non si era mai giudicata la struttura e l’operatività del clan di Cassano. Il riferimento a tale clan era stato solo incidentale, utile a qualificare la posizione dell’imputato nel suo tentativo di alleanza con il gruppo di Cosenza. Non vi era, quindi, una sovrapposizione del “fatto storico” oggetto di giudizio.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: per invocare il ne bis in idem, non basta una generica somiglianza delle accuse o una parziale coincidenza di tempo e luogo. È necessario che il “fatto” storico, inteso come condotta, evento e nesso causale, sia esattamente lo stesso. Nel caso di reati associativi, due sodalizi criminali, pur potendo avere contatti o alleanze, rimangono entità distinte se differiscono per struttura, composizione, programma criminale e area di influenza. La decisione della Cassazione assicura che condotte criminali diverse possano essere perseguite e giudicate autonomamente, senza che cavilli procedurali possano ostacolare l’accertamento della verità.

Quando non si applica il principio del ne bis in idem in casi di reati associativi?
Non si applica quando il nuovo processo riguarda un’associazione criminale che, sebbene con parziali sovrapposizioni temporali o geografiche, è distinta dalla prima per struttura, finalità criminali e partecipanti. Il ‘fatto’ giudicato deve essere identico in tutti i suoi elementi essenziali.

Qual era la differenza fondamentale tra le due associazioni criminali nel caso esaminato?
La prima era una sorta di ‘cartello’ temporaneo focalizzato sull’infiltrazione in specifici lavori pubblici (autostrada A3), con sede in una determinata città. La seconda era un clan mafioso territoriale stabile, con un programma criminale più ampio e variegato (omicidi, estorsioni diffuse, spaccio) e guidato dall’imputato nel proprio territorio.

Qual è stata la decisione finale della Corte di Cassazione?
La Corte ha annullato la sentenza di proscioglimento della Corte d’Appello, stabilendo che i due fatti erano diversi e che il principio del ne bis in idem era stato applicato erroneamente. Ha quindi rinviato il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello per celebrare un nuovo giudizio di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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