Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12457 Anno 2019
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12457 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/12/2018
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI CATANZARO nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a COSENZA il 08/06/1970
avverso la sentenza del 30/11/2016 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata
L’avv. COGNOME espone le argomentazioni difensive ed insiste per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Catanzaro, pronunciando sugli appelli proposti da numerosi imputati avverso quella del Tribunale di Castrovillari del 12/6/2008, in riforma della sentenza impugnata, per quanto in questa sede interessA , clichiarava non doversi procedere nei confronti di COGNOME NOME per il reato ascrittogli al capo 1 per precedente giudicato.
COGNOME NOME è imputato del delitto di cui all’art. 416 bis, commi da 1 a 4 cod. pen. per avere promosso, diretto ed organizzato l’associazione di stampo mafioso armata operante nel terreno di Cassano dello Jonio e territori limitrofi che agiva in accordo con le organizzazioni mafiose presenti nelle altre zone e dedita ad omicidi, estorsioni, furti, incendi, danneggiamenti e spaccio di sostanze stupefacenti. In Cassano allo Jonio e territori limitrofi al luglio 2002.
Il Tribunale di Castrovillari aveva condannato l’imputato alla pena di anni sette di reclusione. Con l’atto di appello, la difesa dell’imputato aveva contestato nel merito l’affermazione di responsabilità e, nel secondo motivo, aveva sostenuto la violazione del divieto di ne bis in idem, con riferimento alla condanna pronunciata nei suoi confronti dal Tribunale di Cosenza per l’appartenenza ad un’associazione per delinquere di stampo mafioso operante nel terreno della Sibaritide dal 1999 al 19/11/2002.
La Corte territoriale riteneva il motivo fondato.
Secondo il Tribunale, le due associazioni erano differenti, poiché quella giudicata dal Tribunale di Cosenza era un’associazione per delinquere sorta dalla confederazione di più gruppi criminali e destinata esclusivamente alla gestione e al riparto delle estorsioni da realizzare nei confronti delle imprese impegnate nei lavori di ammodernamento della Salerno – Reggio Calabria.
Al contrario, secondo la Corte territoriale, la sentenza emessa dal Tribunale di Cosenza aveva escluso la confederazione tra cosche e aveva ritenuto l’esistenza di un’associazione per delinquere di stampo mafioso operante in Cosenza e provincia, che aveva stretto alleanze con altre cosche operanti nella medesima provincia.
Due ulteriori elementi inducevano a ritenere sussistente il ne bis in idem eccepito dalla difesa: il dato temporale, in quanto le due cosche avevano in comune il periodo dal 2000 al marzo 2002 e la contestazione nel procedimento cd. COGNOME era più ampia (tra il 1999 al 18/11/2002), e lo stato di detenzione di Abbruzzese dal 2000, in ragione del quale egli avrebbe dovuto costituire l’associazione per delinquere oggetto del presente processo in carcere, fermo restando che, ovviamente, non risultavano fatti penalmente rilevanti successivi all’anno 2000.
Inoltre la sentenza rilevava che i collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME avevano riferito di fatti anteriori al 2000; ancora, il dat territoriale era identico ed esso era stato superato dal giudice di primo grado soltanto in conseguenza dell’erroneo convincimento dell’esistenza di una confederazione che, invece, era stata smentita dalla sentenza del Tribunale di Cosenza. Infine, vi era una coincidenza soggettiva dei compartecipi alle due cosche nelle persone di COGNOME, NOME e NOME, imputati anche nel procedimento cd. Tamburo.
Ricorre per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Catanzaro, deducendo violazione dell’art. 649 cod. proc. pen. e dell’art. 416 bis cod. pen. e vizio di motivazione.
Il ricorrente rileva che nella sentenza di appello emessa dalla stessa Corte di appello di Catanzaro il 13/7/2011 nell’ambito del processo cd. COGNOME era stata rimarcata la diversità di contestazione mossa ad Abbruzzese nei due processi. La sentenza aveva riconosciuto l’operatività di un gruppo di pregiudicati con sede a Cosenza intenzionato ad infiltrarsi, con metodologia mafiosa, nei lavori di ammodernamento dell’Autostrada A3, mediante estorsione ed imposizione di subappaltatori. Abbruzzese era coassociato a tale gruppo di Cosenza, cui garantiva la “sponda extraterritoriale e/o extraitaliana”; insieme a COGNOME, si trattava dell’unico interlocutore riconosciuto a nord della provincia mafiosa ed essendo cointeressato alle estorsioni e ai subappalti dell’autostrada e alla suddivisione dei proventi, era stato cooptato dal gruppo cosentino.
La sentenza precisava che l’imputazione non aveva ad oggetto il ruolo di responsabile o di capo del gruppo mafioso degli “zingari di Cassano”, accusa che era oggetto del processo pendente davanti al Tribunale di Castrovillari (vale a dire, nel presente processo), ma solo il “supporto esterno”, l’alleanza di Abbruzzese con il gruppo di Cosenza, finalizzato a dare ausilio concreto nelle attività delinquenziali da svolgersi in relazione ai lavori autostradali.
Le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia COGNOME con riferimento a questa alleanza, peraltro, erano state smentite dal collaboratore COGNOME che aveva sostenuto che il gruppo di Cosenza aveva in sostanza rifiutato la collaborazione offerta e la proposta di condividere i proventi delle estorsioni compiute per i lavori autostradali in un’unica “bacinella”. La Corte di appello di Catanzaro nel processo cd. COGNOME, di conseguenza, aveva assolto COGNOME NOME, sottolineando che, in quella sede, ciò che rilevava non era la qualità di capo cosca di Abbruzzese, ma quella di affiliato, o federato, al gruppo delinquenziale cosentino di cui NOME (già condannato in via definitiva) costituiva il vertice.
In definitiva, quella sentenza aveva tenuto distinti i due gruppi criminali e non si era occupata dell’associazione mafiosa di Cassano dello Jonio oggetto del presente processo.
Con riferimento a quest’ultima associazione, COGNOME è già stato condannato in via definitiva per l’omicidio di NOME e per quello di COGNOME NOME, commessi nell’ambito della “locale di Cassano” da lui capeggiata ed al fine di agevolarne l’attività. Inoltre, altra sentenza emessa nel processo cd. COGNOME aveva dato atto dell’esistenza dell’associazione mafiosa facente capo alla famiglia COGNOME operante a Cassano dello Jonio, della quale si occupava anche la sentenza della Corte di assise di appello di Catanzaro dell’11/7/2014 nel processo cd. COGNOME.
In definitiva, secondo il ricorrente, dal 1999 al 2002 COGNOME NOME aveva rivestito una posizione apicale all’interno del sodalizio di stampo ‘ndranghetistico denominato “locale di Cassano’ o “clan degli zingari”.
Il ricorrente conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRMO
1. Il ricorso è fondato.
Nell’imputazione associativa oggetto del procedimento cd. Tamburo oggetto della sentenza del 16/11/2005 del Tribunale di Cosenza e di quella del 13/7/2011 della Corte di appello di Catanzaro, COGNOME NOME condannato in primo grado ed assolto in appello – era indicato come “rappresentante dell’associazione mafiosa già attiva e da lui capeggiata per il territorio di Cassano”; il suo ruolo nell’associazione contestata era così descritta: “responsabile” (insieme ai defunti NOME e COGNOME NOME) del clan dei nomadi di Cassano e dintorni, partecipe alla fase delle trattative ed alla spartizione dei guadagni illeciti attorno ai lavori dell’A3, con Acri NOME e COGNOME NOME partecipi in prima persona alle riunioni di pianificazione della strategia criminale”.
Si è già riportata l’imputazione mossa ad Abbruzzese nel presente processo, tutta concentrata sulla operatività dell’associazione di tipo criminale operante a Cassano dello Jonio e in zone limitrofe e dedita a diverse attività criminali e non solo alle estorsioni ai danni delle imprese impegnate nei lavori di ammodernamento dell’A3, come si evince facilmente dalle ulteriori imputazioni elevate nei confronti degli altri associati.
In sostanza, risulta evidente che quella giudicata nel processo cd. COGNOME
era – per usare un termine in uso in sede lecita – un’associazione temporanea di imprese criminali, finalizzata ad operare con riferimento alle attività relative a lavori autostradali, avente “sede centrale” a Cosenza e alla quale, secondo la ricostruzione del giudice di appello, COGNOME, quale rappresentante del gruppo di Cassano dello Jonio da lui capeggiato, cercava di far parte, peraltro senza successo, non intendendo il nucleo originario di Cosenza collaborare con lui e con il suo gruppo.
Quindi, in nessun modo si poteva ravvisare una sovrapposizione di imputazioni: non solo per la differente struttura delle due associazioni, ma anche perché, come si è visto, COGNOME non era riuscito ad entrare in quella promossa dal gruppo di Cosenza; il riferimento all’associazione di Cassano dello Jonio era soltanto incidentale e serviva per qualificare la figura di COGNOME e attribuirgli il “titolo” in base al quale egli chiedeva di collaborare con il gruppo Cosenza: ma in nessun modo la struttura e le attività criminali dell’associazione di Cassano dello Jonio erano oggetto dell’imputazione.
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro per nuovo giudizio. Così deciso il 14 dicembre 2018