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Ne bis in idem cautelare: quando è inapplicabile?

Un individuo, posto agli arresti domiciliari per associazione a delinquere finalizzata al traffico di beni archeologici, ha presentato ricorso in Cassazione. L’imputato sosteneva la violazione del principio del ‘ne bis in idem cautelare’, poiché una precedente richiesta di misura era stata respinta. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, specificando che un diniego basato su vizi formali della prima richiesta non impedisce l’emissione di una nuova misura cautelare correttamente formulata. Anche le altre censure sono state ritenute infondate.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ne bis in idem cautelare: la Cassazione traccia il confine tra rigetto formale e di merito

La recente sentenza n. 32503/2025 della Corte di Cassazione offre un’importante chiave di lettura sul principio del ne bis in idem cautelare. Questo principio, che vieta di processare due volte una persona per lo stesso fatto, trova un’applicazione particolare nel campo delle misure cautelari. La Corte chiarisce quando il rigetto di una prima richiesta di arresto non impedisce al giudice di emettere una nuova ordinanza, delineando la cruciale differenza tra un rigetto per motivi formali e uno nel merito.

I fatti di causa

Il caso riguarda un soggetto sottoposto alla misura degli arresti domiciliari dal G.i.p. del Tribunale di Bari. Le accuse a suo carico erano di particolare gravità: associazione a delinquere finalizzata alla ricettazione di beni archeologici e culturali e autoriciclaggio, con l’aggravante della transnazionalità. L’indagato, ritenendo ingiusta la misura, presentava istanza di riesame, che veniva però rigettata dal Tribunale di Bari. A questo punto, decideva di proporre ricorso per cassazione, affidandosi a tre specifici motivi di doglianza.

I motivi del ricorso

La difesa dell’indagato si articolava su tre punti principali:

1. Violazione del ne bis in idem cautelare: Il ricorrente sosteneva che una precedente richiesta di misura cautelare per gli stessi fatti era già stata rigettata, e che quindi non se ne potesse emettere una nuova.
2. Indeterminatezza delle accuse: Si lamentava una violazione dell’art. 292 c.p.p., a causa della presunta genericità dei capi d’incolpazione e della mancata chiara individuazione del locus commissi delicti (luogo del reato).
3. Disparità di trattamento: Infine, si eccepiva un trattamento deteriore rispetto a quello riservato ad altri coindagati, senza una motivazione logica e adeguata.

La decisione della Cassazione sul ne bis in idem cautelare

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato in ogni suo punto, concentrando la propria analisi sul primo e più rilevante motivo. Gli Ermellini hanno stabilito che il principio del ne bis in idem cautelare non era stato violato. La ragione di tale decisione risiede nella natura del primo rigetto. La Corte ha infatti evidenziato come la prima richiesta di misura cautelare fosse stata respinta per ragioni puramente formali, ovvero per ‘mancata enunciazione e inadeguato sviluppo dei singoli capi di incolpazione’.

Le motivazioni

Analisi del principio ‘ne bis in idem cautelare’

La Suprema Corte ha ribadito un concetto fondamentale della procedura penale: la preclusione processuale legata al ne bis in idem scatta solo quando la precedente decisione è stata una valutazione nel merito, cioè basata sull’analisi della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari. Un rigetto per motivi formali, come in questo caso, non entra nel ‘cuore’ della questione e, pertanto, non preclude la possibilità per l’accusa di ripresentare una richiesta, a patto che questa sia stata corretta e riformulata.

Rigetto per motivi formali vs. rigetto nel merito

Nel caso specifico, la seconda ordinanza cautelare, quella impugnata, si basava su capi d’incolpazione riformulati e su una richiesta di applicazione delle misure rimodulata. Questo dettaglio è stato decisivo. La Corte ha precisato che il primo provvedimento non aveva negato l’esistenza degli indizi, ma si era limitato a constatare un difetto nella loro esposizione da parte del Pubblico Ministero. Di conseguenza, una volta sanato tale vizio, il giudice era pienamente legittimato a riesaminare la questione e ad applicare la misura.

Le altre censure e la loro infondatezza

Anche gli altri due motivi di ricorso sono stati respinti. Riguardo all’indeterminatezza delle accuse, la Cassazione ha osservato che l’ordinanza impugnata descriveva in modo esauriente i reperti oggetto del traffico illecito, il funzionamento del sodalizio criminale e il ruolo apicale del ricorrente, tanto da consentirgli di articolare una difesa specifica. La censura sulla disparità di trattamento è stata invece giudicata ‘nuova’ e non supportata da elementi concreti di comparazione con le posizioni degli altri coindagati.

Le conclusioni

Questa sentenza rafforza un principio cardine del sistema cautelare: la forma è al servizio della sostanza, ma non può paralizzare l’azione della giustizia. Il rigetto di una misura per un vizio di forma non crea un ‘diritto all’impunità’ per l’indagato. Al contrario, consente all’accusa di correggere i propri errori e di ripresentare una richiesta fondata e completa. Per gli operatori del diritto, ciò significa prestare la massima attenzione alla redazione degli atti, ma anche avere la consapevolezza che un errore formale non chiude definitivamente la porta all’adozione di misure necessarie per la tutela della collettività e delle esigenze processuali.

Quando non si applica il principio del ‘ne bis in idem cautelare’?
Il principio non si applica se una precedente richiesta di misura cautelare è stata rigettata per motivi puramente formali (come una carente formulazione dei capi d’accusa) e non a seguito di una valutazione nel merito sull’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

Perché la Corte ha ritenuto le accuse sufficientemente determinate?
La Corte ha ritenuto le accuse sufficientemente determinate perché l’ordinanza impugnata spiegava con precisione quali fossero i reperti archeologici oggetto dei traffici e descriveva in modo esauriente il funzionamento dell’associazione, i ruoli dei vari membri e le condotte illecite dell’indagato, permettendogli di esercitare pienamente il suo diritto di difesa.

Come ha valutato la Corte la censura sulla disparità di trattamento rispetto ai coindagati?
La Corte ha considerato questa censura come ‘nuova’ e, in ogni caso, non supportata da elementi concreti di valutazione e comparazione con le posizioni degli altri coindagati. Inoltre, il ricorrente non aveva specificato per quali ragioni la misura degli arresti domiciliari fosse sproporzionata o eccessivamente gravosa nel suo caso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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