Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26988 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26988 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME COGNOME nato a San Severo il 05/03/1984, avverso l’ordinanza del 07/11/2024 del Tribunale di Potenza; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 7 novembre 2024, il Tribunale di Potenza ha parzialmente accolto la richiesta di riesame proposta da NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Potenza di convalida del sequestro preventivo di urgenza finalizzato alla confisca diretta delle somme di denaro nella disponibilità del ricorrente fino al valore di euro 37.834,91 (capo 27), di euro 75.067,40 (capo 32), di euro 213.596,86 (capo 33), di euro 1.886,00 (capo 48), nonché il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni mobili, immobili e partecipazioni societarie nella disponibilità del ricorrente pari alla differenza tra le somme di denaro rinvenute nella disponibilità del ricorrente e quelle suindicate rappresentanti il profitto dirett del delitto ex art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, contestato nei menzionati capi di incolpazione, di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti nelle dichiarazioni fiscali della “RAGIONE_SOCIALE” e della “RAGIONE_SOCIALE“, d ricorrente era legale rappresentante, relative agli anni di imposta 2019, 2020, 2021, con evasione di IVA e di IRES. L’accoglimento parziale riguardava le somme imputate a titolo di evasione IRES per erronea individuazione della base di calcolo della predetta imposta, con conseguente riduzione della confisca fino all’ammontare di euro 18.072,78 in relazione al reato di cui al capo 27, di euro 35.901,80 in relazione al reato di cui al capo 32, di euro 102.155,02 in relazione al reato di cui al capo 33, di euro 902,00 in relazione al reato di cui al capo 48.
Avverso l’indicata ordinanza, NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidandosi a tre motivi.
2.1 Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge, ai sensi dell’art. 606, lett. b) e c), cod. proc. pen., in relazione all’art. 50 C fondamentale dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), agli artt. 117 Cost. e 4, prot. aggiuntivo CEDU, in riferimento all’art. 649 cod. proc. pen., nonché in relazione all’art. 324 cod. proc. pen., avuto riguardo alla violazione del principio del ne bis in idem cautelare.
Espone la difesa che, a fronte dell’annullamento del primo decreto di sequestro preventivo con ordinanza del 10/10/2024 emessa dal Tribunale di Potenza, il pubblico ministero aveva disposto sequestro preventivo d’urgenza in data 17/10/2024, convalidato dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Potenza con provvedimento del 24/10/2024, durante la permanenza del precedente vincolo cautelare, non avendo il ricorrente proposto riesame avverso il primo decreto di sequestro preventivo e non essendo stata ancora depositata la motivazione dell’ordinanza di annullamento.
La difesa lamenta, conseguentemente, la violazione del ne bis in idem cautelare, non essendosi il Tribunale pronunciato su aspetti formali o meramente procedurali ed avendo così aggirato la decisione di annullamento del Tribunale del riesame: doveva, infatti, ritenersi preclusa l’emissione di un nuovo titolo cautelare a carico del ricorrente, essendo il fatto storico contestato il medesimo e non essendo nelle more intervenuto alcun titolo modificativo, né tanto meno vicende aggravanti del quadro cautelare.
2.2 Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge, ai sensi dell’art. 606, lett. c), cod. proc. pen., in riferimento all’art. 125, comma 3, co proc. pen., nonché vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc pen., avuto riguardo al difetto di motivazione in relazione alla censura involgente il principio del ne bis in idem cautelare.
Deduce la difesa che l’ordinanza impugnata non ha affrontato il tema della perdurante operatività, a carico del ricorrente, sui medesimi beni oggetto del secondo sequestro per il medesimo fatto storico, del precedente titolo cautelare, non essendo stato revocato il primo sequestro.
Deduce, inoltre, la difesa che la preclusione del giudicato cautelare, derivante da una precedente pronuncia del Tribunale del riesame sul disposto sequestro preventivo, concerne non soltanto le questioni trattate, ma anche quelle con queste ultime inscindibilmente connesse, con la conseguenza che, pur essendo stato annullato il primo sequestro per carenza motivazionale sul requisito del periculum in mora, il provvedimento di annullamento aveva fatto riferimento all’errato calcolo delle imposte evase ed a questioni involgenti l’omesso deposito di taluni atti acquisiti dalla polizia giudiziaria addotti dal giudice per le inda preliminari a supporto del primo sequestro, sicchè la motivazione sulla non operatività del principio di preclusione appariva manifestamente illogica e, dunque, apparente.
2.3 Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge, ai sensi dell’art. 606, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all’art. 125, comma 3, cod. pro pen., nonché vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. avuto riguardo al difetto di motivazione in relazione al periculum in mora.
La difesa contesta, innanzitutto, l’esigenza anticipatoria rispetto a beni del ricorrente che erano già sotto sequestro. Lamenta, inoltre, il riferimento alla esistenza di una organizzazione criminale inesistente, perché mai contestata e perché il periculum era stato fatto discendere dal fumus di un reato. Lamenta, ancora, il riferimento alla vicinanza dei legali rappresentanti delle presunte società cartiere al clan mafioso “COGNOME“, attivo nella provincia di Potenza, non avendo il ricorrente mai intrattenuto rapporti di alcun tipo con soggetti facenti parte della criminalità organizzata.
Deduce, in conclusione, che, sotto il profilo soggettivo, non vi era alcun cenno a peculiari modalità del fatto, a rapporti o a collegamenti tra i soggetti coinvolt nell’attività di indagine, ai singoli importi delle imposte evase dalle varie società alla personalità degli indagati o alla realizzazione di condotte distrattive, mentre, sotto il profilo oggettivo, non era stata palesata alcuna condotta dissipativa ad opera del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo e il secondo motivo di ricorso, congiuntamente esaminati perché incentrati sulla violazione del principio del ne bis in idem cautelare, sono infondati.
1.1 Risulta dal provvedimento impugnato che la nuova ordinanza impositiva del vincolo cautelare è stata emessa quando ancora non era stata depositata la motivazione del precedente annullamento da parte del Tribunale del riesame.
Al riguardo, va ribadito il principio secondo cui, in tema di misure cautelari reali, il principio del ne bis in idem non preclude l’emissione di un nuovo provvedimento di sequestro preventivo sui medesimi beni rispetto ai quali il vincolo, precedentemente disposto, sia stato annullato a seguito di impugnazione, nel caso in cui non sia stata ancora depositata la motivazione dell’ordinanza di annullamento (Sez. 3, n. 33988 del 16/06/2023, COGNOME, Rv. 285206), e ciò perché, finché non sono conoscibili le argomentazioni della decisione di annullamento del provvedimento impositivo, non sussistono preclusioni derivanti dal cd. “giudicato cautelare”.
E’ così garantita l’esigenza di evitare “vuoti” di tutela a fronte della necessità di provvedere con urgenza, come accade, ad esempio, nella ipotesi disciplinata dall’art. 27 cod. proc. pen., che prevede la possibilità di adozione di misure cautelari anche da parte del giudice che, «contestualmente o successivamente», si dichiara incompetente. <11,
Del tutto coerentemente, si è precisato, inoltre, che il principio del ne bis in idem non preclude al pubblico ministero, in pendenza dei termini per proporre ricorso per cassazione avverso il provvedimento di annullamento di un decreto di sequestro preventivo e prima del deposito della relativa motivazione, di richiedere l'adozione di un nuovo vincolo cautelare sui medesimi beni, a condizione che lo stesso si determini a non coltivare il rimedio impugnatorio, in quanto la contemporanea pendenza delle due iniziative cautelari contrasta con il divieto di bis in idem (Sez. 3, n. 20245 del 14/02/2024, COGNOME, Rv. 286326), condizione riscontrabile nella vicenda qui al vaglio, non avendo il pubblico ministero impugnato la precedente ordinanza di annullamento.
1.2. In secondo luogo, da quanto si apprende dall'ordinanza impugnata (p. 13), il precedente decreto di sequestro preventivo era stato annullato per totale carenza motivazionale in ordine alla sussistenza del periculum in mora.
Ciò chiarito, va richiamato il principio – correttamente indicato dal Tribunale – secondo cui l'annullamento di un decreto di sequestro preventivo per totale assenza di motivazione in ordine al periculum in mora non osta all'emissione, nei confronti della medesima persona, di un nuovo vincolo avente ad oggetto lo stesso bene, posto che il giudicato cautelare non si forma nel caso in cui, in sede di annullamento, non sia stata espressa alcuna valutazione, pur se solo incidentale o implicita, circa i presupposti richiesti per l'emissione della misura (Sez. 3, n. 15125 del 28/03/2024, COGNOME, Rv. 286171), a condizione, anche in tal caso, che il pubblico ministero non abbia impugnato l'ordinanza di annullamento, ciò che determinerebbe una litispendenza cautelare, che – questa sì – contrasta con il divieto di bis in idem, operante tra procedimenti prinn'ancora che tra provvedimenti (Sez. 3, n. 43365 del 08/10/2024, Carta, Rv. 287142).
In altri termini, in un caso del genere, il pubblico ministero è tenuto a decidere se coltivare la precedente azione mercé l'impugnazione dell'ordinanza di annullamento o reiterare la domanda, dovendo, in tal caso, esimersi dall'impugnare o rinunciare alla proposta impugnazione al più tardi coevamente alla richiesta del nuovo titolo cautelare.
Nel caso di specie, ribadito che, come anticipato, il pubblico ministero si è limitato a proporre una nuova domanda cautelare, il Tribunale ha correttamente ritenuto che il precedente annullamento fosse intervenuto per un motivo "di tipo formale", vale a dire la mancanza della motivazione sul presupposto del periculum.
1.3. Infine, vi è un ulteriore elemento, pacificamente ammesso dallo stesso ricorrente – laddove, nell'illustrazione del terzo motivo, rappresenta che il secondo decreto richiama un novum investigativo, ovverosia l'annotazione di P.G. n. 76699/2024 del 24 ottobre 2024 – e che emerge dalla motivazione, ossia che il pubblico ministero, nella nuova richiesta di misura cautelare reale, aveva indicato elementi di novità, desumibili dalla citata annotazione di P.G., quali la costituzione di due nuove società, aventi lo stesso oggetto sociale di quelle oggetto di indagine, da parte di altri due indagati, dopo essere venuti a conoscenza dell'attività investigativa svolta nei loro confronti, al verosimile scopo di svuotare il patrimonio, ciò che conforta la legittimità del provvedimento impugnato, in quanto il principio del ne bis in idem non preclude l'emissione di un nuovo sequestro preventivo sui medesimi beni in relazione ai quali il vincolo reale sia stato già disposto e successivamente annullato a seguito di impugnazione, allorquando nel secondo provvedimento siano stati valutati dall'autorità giudiziaria elementi precedentemente non esaminati perché non disponibili (Sez. 3, n. 16616 del
18/11/2019, dep. 2020, Iuvinale, Rv. 278947; Sez. 3, n. 24963 del 18/02/2015, Aprovitola, Rv. 264095).
1.4 Quanto alla persistente operatività del primo sequestro sui beni del ricorrente oggetto del secondo sequestro, la doglianza non è stata prospettata in sede di riesame; in ogni caso, tale circostanza non si pone come preclusiva per l'emissione di un nuovo provvedimento cautelare, poiché, in ragione dell'effetto estensivo del provvedimento di annullamento – evidenziato peraltro nella parte iniziale del ricorso -, l'annullamento del primo sequestro si estende anche nei confronti degli indagati non impugnanti, avendo il pubblico ministero ritenuto di non proporre impugnazione contro il provvedimento di annullamento, ma di emettere un nuovo decreto di sequestro preventivo d'urgenza, peraltro eseguito contestualmente al dispositivo di annullamento del primo decreto di sequestro preventivo.
2. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
2.1 La giurisprudenza di legittimità ha fissato i criteri di riferimento per ravvisare la sussistenza delle esigenze cautelari necessarie per il mantenimento del sequestro preventivo a fini di confisca.
Come precisato dalle Sezioni Unite, il provvedimento di sequestro preventivo di cui all'art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca di cui all'art 240 cod. pen., deve contenere la concisa motivazione anche del "periculum in mora", da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l'anticipazione dell'effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, ad eccezione delle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, per le quali è sufficiente la mera indicazione della appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili "ex lege" (Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848).
Le Sezioni Unite hanno chiarito che la motivazione deve soffermarsi sulle ragioni per le quali il bene potrebbe, nelle more del giudizio, essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato; un'esigenza, questa, rapportata appunto alla ratio della misura cautelare, volta a preservare, anticipandone i tempi, gli effetti di una misura che, ove si attendesse l'esito del processo, potrebbero essere vanificati dal trascorrere del tempo.
In definitiva, è dunque il parametro della "esigenza anticipatoria" della confisca a dovere fungere da criterio generale cui rapportare il contenut motivazionale del provvedimento, con la conseguenza che, ogniqualvolta la confisca sia dalla legge condizionata alla sentenza di condanna o di applicazio della pena, il giudice sarà tenuto a spiegare, in termini che, naturalme potranno essere diversamente modulati a seconda delle caratteristiche del bene da sottrarre, e che in ogni caso non potranno non tenere conto dello st
interlocutorio del provvedimento, e, dunque, della sufficienza di elementi di plausibile indicazione del periculum, le ragioni della impossibilità di attendere il provvedimento definitorio del giudizio, dovendosi escludere ogni automatismo decisorio che colleghi il pericolo di dispersione, utilizzazione o alienazione del bene al generico riferimento alla natura fungibile del denaro (Sez. 3, n. 23936 del 11/04/2024, Rossi, Rv. 286671), e potendo il giudice valutare ogni elemento presente nel caso concreto, ivi comprese le modalità di realizzazione degli illeciti oggetto di provvisoria contestazione, purché indicativo del pericolo di dispersione del bene.
2.2. Ciò posto, richiamati gli stringenti limiti stabiliti dall'art. 325 cod. pr pen. relativi al sindacato della Cassazione avente ad oggetto le ordinanze relative a provvedimenti cautelari reali – che è circoscritto alla possibilità di rilevare la sol violazione di legge, così come dispone testualmente l'art. 325, comma 1, cod. proc. pen., in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269296; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656) -, nel caso di specie non può affermarsi che la motivazione resa dal provvedimento impugnato, quanto ai dati di fatto valorizzati e alle conclusioni da essi tratte, sia omessa o ovvero apparente, in quanto il Tribunale ha desunto il periculum da specifici comportamenti tenuti dagli indagati, in particolare il collegamento con esponenti di criminalità organizzata lucana, essendosi appurato che le tre società RAGIONE_SOCIALE "sono amministrate e/o partecipate rispettivamente da COGNOME Domenico, COGNOME e COGNOME Adrian che oltre ad essere meri prestanome, in quanto privi di competenze specifiche, per la gestione e l'amministrazione delle citate imprese, sono gravati da numerosi precedenti penali e di polizia per associazione ex art,. 416-bis cod. pen. e per estorsione aggravata in concorso, essendo collegati all'associazione per delinquere di stampo mafioso denominata clan COGNOME, attiva in Pignola (PZ) e comuni limitrofi con proiezione in tutta la provincia di Potenza" (p. 32 dell'ordinanza impugnata), secondo quanto emerso nella integrazione di P.G. del 21/10/2024, collegamenti che inducono a ritenere "agevole l'occultamento e la dispersione del patrimonio nelle more del giudizio" (p. 33 dell'ordinanza impugnata). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il Tribunale ha, pertanto, affermato la sussistenza di plurimi indici oggettivi e soggettivi del periculum in mora, denotanti, in via di prognosi, il possibile depauperamento nel tempo della garanzia di attuazione della misura ablativa e che nessun elemento dimostrativo ha riguardato la capienza patrimoniale del
ricorrente, sicchè la deduzione difensiva secondo la quale vi sarebbe capienza patrimoniale, nonostante siano trascorsi anni dai fatti, non sarebbe accoglibile,
sottolineando al contrario la incapienza del patrimonio delle società coinvolte e del patrimonio del ricorrente, non essendo stati sequestrati beni di valore pari
all'entità dei tributi evasi.
2.3. A fronte di tale apparato argomentativo, che certamente non può dirsi mancante o apparente, i motivi in esame, laddove censurano la capacità
dimostrativa degli elementi addotti a sostegno della sussistenza del periculum,
si risolvono, a ben vedere, in una critica alla congruità della motivazione, che esula
dal perimetro segnato dall'art. 325 cod. proc. pen.
3. In conclusione, stante la infondatezza delle doglianze formulate, il ricorso proposto nell'interesse del ricorrente deve essere rigettato, con conseguente
onere per il ricorrente medesimo, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso nella camera di consiglio del 21/05/2025.