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Ne bis in idem: Cassazione annulla per omessa pronuncia

La Corte di Cassazione ha parzialmente annullato un’ordinanza del Tribunale di Salerno. La corte ha respinto la richiesta di riconoscimento della continuazione tra reati fiscali e previdenziali a causa dell’ampio arco temporale e dell’eterogeneità delle condotte. Tuttavia, ha accolto il ricorso per la violazione del principio del ne bis in idem, poiché il giudice di merito aveva omesso di pronunciarsi su una specifica istanza della difesa, rinviando il caso per un nuovo esame su quel punto.

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Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ne bis in idem: Annullamento per Omessa Pronuncia

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 368 del 2024, affronta due questioni centrali nel diritto penale esecutivo: il riconoscimento della continuazione tra reati e la violazione del principio del ne bis in idem. La pronuncia chiarisce che l’omessa valutazione di un’istanza della difesa costituisce un vizio insanabile che impone l’annullamento della decisione, anche se parziale.

I Fatti del Caso

Un individuo, già condannato con sentenze definitive, presentava un’istanza al Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Salerno. La richiesta era duplice: in primo luogo, ottenere il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 c.p.p., tra diversi reati commessi in un arco temporale compreso tra il 2007 e il 2011. Si trattava di reati eterogenei, tra cui l’omesso versamento di ritenute previdenziali e la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi. In secondo luogo, durante un’udienza, la difesa aveva sollevato la questione del ne bis in idem tra un decreto penale e una sentenza successiva, chiedendone la declaratoria.

Il Tribunale rigettava la richiesta di continuazione, motivando il diniego sulla base dell’ampio lasso temporale e della diversità delle condotte illecite. Tuttavia, ometteva completamente di pronunciarsi sulla questione del ne bis in idem. Contro questa ordinanza, l’interessato proponeva ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato i due motivi di ricorso separatamente, giungendo a una decisione divisa.

1. Rigetto del motivo sulla continuazione: La Corte ha confermato la decisione del Tribunale, ritenendo infondata la richiesta di applicazione dell’art. 81 c.p. La distanza temporale di quattro anni tra i reati e le loro diverse modalità esecutive sono state considerate incompatibili con l’esistenza di un ‘medesimo disegno criminoso’ preordinato. La reiterazione delle condotte, secondo i giudici, non configura un programma unitario, ma piuttosto un’abitudine al crimine, disciplinata da istituti diversi e più severi (come la recidiva o la professionalità nel reato).

2. Accoglimento del motivo sul ne bis in idem: La Cassazione ha invece ritenuto fondata la censura relativa all’omessa pronuncia. Il Tribunale, non avendo esaminato né deciso sull’istanza relativa al divieto di un secondo giudizio per lo stesso fatto, ha commesso una palese violazione di legge. Di conseguenza, la Corte ha annullato l’ordinanza impugnata limitatamente a questo punto, con rinvio al Tribunale di Salerno per un nuovo giudizio.

Le motivazioni sulla continuazione e il principio del ne bis in idem

La sentenza distingue nettamente tra un ‘programma di vita improntato al crimine’ e un ‘medesimo disegno criminoso’. Il primo implica una scelta generica di delinquere, mentre il secondo richiede una pianificazione unitaria e specifica di più violazioni di legge. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che i reati fiscali e previdenziali, commessi a distanza di anni, non potessero essere ricondotti a un’unica deliberazione iniziale. Questo approccio restrittivo mira a evitare che l’istituto della continuazione, pensato come un beneficio, venga esteso a situazioni di criminalità abituale.

Le motivazioni sull’omessa pronuncia

Il cuore della decisione risiede però nel secondo motivo. L’omessa pronuncia sull’istanza di ne bis in idem è stata considerata un errore procedurale grave. Il giudice ha il dovere di rispondere a tutte le questioni sollevate dalle parti. Ignorare una richiesta, specialmente quando riguarda un principio fondamentale come il divieto di doppio processo, costituisce una violazione del diritto di difesa e del giusto processo. L’annullamento con rinvio è la conseguenza diretta di questo vizio, poiché spetta al giudice di merito, e non alla Cassazione, valutare nel dettaglio se i fatti oggetto dei due provvedimenti giudiziari siano effettivamente identici.

Conclusioni

Questa pronuncia della Corte di Cassazione offre due importanti insegnamenti. In primo luogo, ribadisce i rigorosi criteri per il riconoscimento della continuazione tra reati, escludendola quando le condotte sono temporalmente distanti e diverse tra loro. In secondo luogo, e con maggior forza, sancisce l’obbligo inderogabile per il giudice di pronunciarsi su ogni singola istanza della difesa. L’omessa pronuncia non è una mera dimenticanza, ma un vizio che inficia la validità della decisione e impone un nuovo esame della questione, a garanzia dei diritti dell’imputato.

Quando può essere negato il riconoscimento della continuazione tra reati?
Il riconoscimento della continuazione può essere negato quando manca un ‘medesimo disegno criminoso’. Nella sentenza, i fattori decisivi per il diniego sono stati l’ampiezza dell’arco temporale tra i reati (quattro anni) e l’eterogeneità delle condotte illecite, considerate incompatibili con un programma criminoso unitario e preordinato.

Cosa accade se un giudice omette di pronunciarsi su un’istanza della difesa?
Se un giudice omette di pronunciarsi su una specifica istanza, commette un vizio di ‘omessa pronuncia’. Tale vizio comporta l’annullamento del provvedimento, limitatamente al punto non deciso, con rinvio a un nuovo giudice per l’esame della questione ignorata. Questo garantisce il diritto della parte a ricevere una risposta giudiziaria su tutte le sue richieste.

La semplice reiterazione di condotte illecite è sufficiente per ottenere il beneficio della continuazione?
No. La Corte ha chiarito che la reiterazione di reati non è di per sé espressione di un unico disegno criminoso. Può invece indicare una tendenza a delinquere o un’abitudine al crimine, figure giuridiche disciplinate da istituti diversi e più severi rispetto alla continuazione, come la recidiva o la professionalità nel reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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