Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 18769 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 18769 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 21/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a TORRI DI QUARTESOLO il 24/02/1954 avverso la sentenza del 31/05/2024 della CORTE APPELLO di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di pronunciare il non doversi procedere; udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME per il ricorrente, che ha chiesto di dichiarare l’improcedibilità, ai sensi dell’art. 649 cod. proc. pen.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 31 maggio 2024 dalla Corte di appello di Milano, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano, che
aveva condannato NOME NOME per il reato di bancarotta fraudolenta, in relazione alla società “RAGIONE_SOCIALE“, fallita il 20 ottobre 2016.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputato – in qualità di amministratore di fatto – avrebbe cagionato, per effetto di operazioni dolose, il fallimento della società, omettendo sistematicamente il versamento di imposte e contributi, accumulando negli anni dal 2013 al 2016 un rilevante debito nei confronti dell’erario, degli enti locali e degli enti previdenzia
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce il vizio di motivazione.
Contesta la valutazione effettuata dalla Corte di appello di attendibilità delle dichiarazioni rese dai testi COGNOME COGNOME e dal coimputato COGNOME COGNOME
Sostiene, inoltre, che la Corte di appello non avrebbe adeguatamente valutato la versione alternativa dei fatti fornita dalla difesa.
2.2. Con un secondo motivo, deduce il vizio di motivazione.
Contesta la valutazione effettuata dalla Corte di appello delle dichiarazioni rese dal coimputato COGNOME Sostiene, inoltre, che la Corte di appello avrebbe illegittimamente tratto elementi di rilievo a carico dell’imputato dal contenuto dell’impugnazione proposta dal coimputato COGNOME.
2.3. Con un terzo motivo, deduce il vizio di motivazione.
Sostiene che la Corte di appello avrebbe solo parzialmente valutato le dichiarazioni rese dall’imputato. In particolare, avrebbe trascurato le dichiarazioni dalle quali emergerebbero elementi di contrasto con la tesi accusatoria.
2.4. Con un quarto motivo, deduce il vizio di motivazione.
Rappresenta che la Corte di appello ha ritenuto che l’imputato fosse coinvolto nella gestione della società nel periodo 2013-2015.
Tanto premesso, il ricorrente lamenta la mancata valutazione da parte della Corte di appello del documento richiamato dalla difesa, dal quale emergerebbe che l’imputato, nel 2013 e per una parte del 2014, era stato dipendente della “RAGIONE_SOCIALE” per poi fare ingresso, come dipendente, nella “RAGIONE_SOCIALE” solo nel 2014.
2.5. Con un quinto motivo, deduce il vizio di motivazione.
Sostiene che la Corte di appello non avrebbe preso alcuna posizione sulla questione posta dalla difesa, relativa alla mancata prova di un contributo concorsuale fornito dall’imputato, rispetto alla scelta strategica di non pagare le imposte.
2.6. Con un sesto motivo, deduce il vizio di motivazione.
Contesta la sussistenza del dolo, sostenendo che la Corte di appello si sarebbe limitata a trarre la prova dell’esistenza dell’elemento soggettivo del delitto dalla «ricostruzione fattuale, relativa al profilo oggettivo del reato».
2.7. Con un settimo motivo, deduce il vizio di motivazione.
Contesta il trattamento sanzionatorio, sostenendo che la Corte di appello avrebbe trascurato il documento dal quale emergeva che la presenza dell’imputato in seno alla società fallita si riduceva al periodo di tempo compreso tra la metà del 2014 e la fine del 2015.
L’avv. COGNOME ha depositato una nota difensiva (alla quale ha allegato anche la sentenza emessa, il 22 gennaio 2025, dal Tribunale di Vicenza nei confronti del Majan) con la quale ha rappresentato che, per i medesimi fatti oggetto di processo, era intervenuta sentenza del Tribunale di Vicenza, passata in giudicato solo il 20 febbraio 2025 e, pertanto, non producibile in precedenza. Tanto premesso il ricorrente chiede emettersi sentenza di non doversi procedere, ai sensi dell’art. 649 cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, per divieto di un secondo giudizio.
1.1. La difesa, invero, ha prodotto la sentenza emessa, il 22 gennaio 2025 (passata in giudicato il 20 febbraio 2025), dal Tribunale di Vicenza nei confronti del COGNOME, avente a oggetto anche il reato di bancarotta fraudolenta per operazioni dolose, relativo al fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE. In particolare, co quella sentenza, il COGNOME è stato condannato per «aver cagionato con dolo o comunque per effetto di operazioni dolose il fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE», omettendo in maniera sistematica il versamento delle imposte.
1.2. Come noto, secondo l’oramai consolidato insegnamento di questa Corte, ai fini della configurabilità della preclusione connessa al divieto di un secondo giudizio, è necessaria la corrispondenza tra il fatto storico – considerato in tutti suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona – sul quale si è formato il giudicato e quello per cui si procede (cfr. Sez. Un., n. 34655 del 28 giugno 2005, COGNOME, Rv. 23179901; Sez. 5, n. 47683 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268502). Principi che «appaiono sostanzialmente in linea con l’orientamento espresso dalla CEDU (cfr. sentenza del 10 febbraio 2009, Zolotoukhine c. Russia; sentenza del 4 marzo 2014, Grande RAGIONE_SOCIALE c. Italia), per cui il principio del ne bis in idem impone una
valutazione ancorata ai fatti e non alla qualificazione giuridica degli stessi, dal momento che quest’ultima è da ritenersi troppo restrittiva in vista della tutela dei
diritti della persona» (Sez. 5, n. 47683 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268502).
Va, poi, rilevato che «la preclusione derivante dal giudicato formatosi sul medesimo fatto, risolvendosi in un
“error in procedendo”,
è deducibile nel giudizio di cassazione a condizione che la decisione della relativa questione non comporti
la necessità di accertamenti di fatto, nel qual caso la stessa deve essere proposta al giudice dell’esecuzione» (Sez. 6, n. 29188 del 15/05/2024, B., Rv. 286759).
1.3. Ebbene, nel caso in esame, risulta evidente che: vi sia la corrispondenza tra il fatto storico sul quale si è formato il giudicato e quello per cui si proced
non vi sia la necessità di espletare alcun accertamento di fatto.
Quanto al primo profilo, va rilevato che, in entrambi i processi, viene contestato al COGNOME di avere cagionato il fallimento della società “Aldomatica
RAGIONE_SOCIALE.r.RAGIONE_SOCIALE“, mediante operazioni dolose, consistite nella sistematica omissione del versamento delle imposte. Vi è, dunque, coincidenza del fatto storico, in relazione
a tutti gli elementi costitutivi del reato e con riguardo anche alle circostanze di tempo, di luogo e di persona.
Quanto al secondo profilo, va rilevato che non vi è bisogno di effettuare alcun accertamento di fatto, atteso che l’identità dei reati emerge dalla lettura dei capi di imputazione dei due procedimenti.
Consegue l’assorbimento di tutti i motivi di ricorso e l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per divieto di un secondo giudizio, ai sensi dell’art. 649 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per divieto di un secondo giudizio. Così deciso, 21 febbraio 2025.