Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 27861 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 27861 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Udine il 21/08/1980
avverso l’ordinanza del 16/12/2024 della Corte d’appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione del Consigliere, NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME con la quale ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata nella parte relativa alla violazione del divieto di bis in idem, la revoca della sentenza emessa il 6 ottobre 2011 dalla Corte di appello di Brescia e il rigetto del ricorso nel resto.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata la Corte di appello di Firenze in funzione di Giudice dell’esecuzione ha rigettato la richiesta di riconoscimento della continuazione tra reati giudicati con numerose sentenze definitive relative a reati contro il patrimonio (rapine e furti), commessi, anche con armi, dal 1999 al 2011, fatti per i quali è stata già riconosciuta la continuazione in relazione con riferimento a quelli commessi in Rovigo nel 2005 e in Prato nel 2011.
La Corte di appello ha escluso la sussistenza del medesimo disegno criminoso per l’ampio lasso temporale tra le condotte ( indicato come intercorso tra il 2005 e il 2022), per il concorso con soggetti diversi, pur trattandosi di fatti eseguiti in un contesto ambientale comune – dei cd. giostrai – nonché ha
rigettato anche la deduzione difensiva relativa all ‘ identità dei fatti giudicati con due sentenze (Corte di appello Brescia e Tribunale di Modena, la prima relativa a fatti commessi in Mantova, la seconda in Modena).
Propone tempestivo ricorso per cassazione il condannato, affidando il ricorso a quattro motivi, di seguito riassunti ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il ricorrente premette che i fatti sono stati commessi dal 1999 al 2005, con travisamento da parte del Giudice dell’esecuzione quanto al contenuto dell ‘ istanza e che la continuazione invocata attiene ai quindici titoli esecutivi specificati a p. 1 e ss. del ricorso.
2.1. Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 666, 671 cod. proc. pen.
La difesa evidenzia che non si fa alcun riferimento, nell’ istanza, al provvedimento di esecuzione di pene concorrenti emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Prato nel 2023, ma a quello della Procura generale presso la Corte di appello di Firenze e che, comunque, risulta allegato all’istanza certificato penale aggiornato al 2023.
Si precisa che alcuna affermazione relativa al corretto calcolo della pena è contenuto nell ‘ istanza.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 648 e 671 cod. proc. pen. con travisamento dei ‘fatti’.
Risulta trascurato, per il ricorrente, il contenuto della memoria depositata al Giudice dell’esecuzione il 30 ottobre 2014, nella quale si era dedotto che tutti i reati rientrano in un progetto delinquenziale consistito nel vicolo associativo, già riconosciuto dalla Corte di appello, in sede di cognizione, quanto ai legami del ricorrente alla famiglia dei cd. giostrai, di origine nomade, e all’esistenza di accordi per la copertura, attraverso l’ attività di gestione di lunapark , di condotte illecite.
Si richiamava, inoltre, nella citata memoria, la pronuncia della Corte di appello di Venezia che aveva riconosciuto la continuazione tra due delitti di rapina, commessi tra il 26 ottobre 2005 e il 2011 (una commessa in Rovigo). Si segnalava che da questa pronuncia emergerebbe l’esistenza di un’o rganizzazione composta da soggetti di etnia nomade, richiamando anche la sentenza della Corte di appello di Firenze che descriveva il condannato come esecutore di reati di stampo associativo e contro il patrimonio, in modo sistematico.
Si denuncia il travisamento per omissione di tali dati di fatto devoluti con la citata memoria.
Si rimarca che per il precedente riconoscimento del vincolo della continuazione la distanza geografica non aveva rivestito significativa rilevanza trattandosi anche di reati distanti tra loro dal punto di vista temporale, ma
ritenuti connessi dal medesimo disegno criminoso, e si segnala che alcune rapine (v. p. 9) di cui all ‘ istanza erano state commesse a distanza di pochi mesi l’una dall’altra e in concorso con il medesimo complice (COGNOME per tre rapine e COGNOME per altre due).
Si richiama, inoltre, la comunicazione di notizia di reato dei ROS di Udine che era stata allegata alla citata memoria e che non risulta oggetto di specifica motivazione.
Sarebbe stata, infine, trascurata anche la comunicazione di notizia di reato della polizia giudiziaria d i Trieste che aveva acclarato l’esistenza di un vero e proprio programma di rapine, da compiersi ai danni di esercizi commerciali, in un vasto periodo temporale, dal 2003-2004 e fino al 2011, come accertato, poi, dalla Corte di appello di Venezia.
In definitiva, si contesta la violazione del giudicato per quei fatti di rapina commessi nel periodo in cui già un altro giudice (tra il 2005 e il 2011) aveva riconosciuto la sussistenza della continuazione.
Il G iudice dell’esecuzione avrebbe , poi, dovuto prendere in esame, per il ricorrente, anche la sussistenza del vincolo della continuazione tra i fatti posti in essere tra il 2003 e il 2005 e verificare se questi fatti rientrassero nel disegno criminoso già ritenuto per le due rapine, commesse tra il 2005 e il 2011, nonché esaminare l’incidenza , rispetto all’invocato riconoscimento della continuazione, dell’esistenza dell’associazione criminale operante in Toscana nel 2007.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 666 cod. proc. pen.
Il G iudice dell’esecuzione , a fronte di allegazioni reputate non sufficienti, avrebbe dovuto attivare i suoi poteri istruttori ex art. 666, comma 5, cod. proc. pen. acquisendo, anche, se necessario, gli atti dei procedimenti di cognizione.
2.4. Con il quarto motivo si denuncia violazione degli artt. 649 e 669 cod. proc. pen. con vizio di motivazione perché quella resa è apparente.
Il semplice confronto tra i capi di imputazione delle due sentenze rispetto alle quali si denuncia la violazione del divieto di bis in idem avrebbe condotto a rilevare il denunciato vizio.
Si giudica, in entrambi i casi, la rapina commessa in Cerese di Virgilio, in data 24 ottobre 2005, con due sentenze che ritengono la condotta, in un caso, tentata, nell’altro , consumata nei confronti della medesima filiale dell’Istituto bancario Unicredit. Secondo la difesa non è possibile ipotizzare che la stessa filiale, nello stesso giorno, è stata destinataria prima di un tentativo di rapina e, poi, di una rapina consumata . Dunque, sarebbe senz’altro integrata la denunciata violazione del divieto di bis in idem .
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso con requisitoria scritta chiedendo l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata nella
parte relativa alla violazione del divieto di bis in idem , e la revoca della sentenza emessa il 6 ottobre 2011 dalla Corte di appello di Brescia, con rigetto del ricorso nel resto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il quarto motivo di ricorso è fondato; nel resto il ricorso deve essere rigettato
1.1. Il primo motivo è inammissibile.
La deduzione si limita ad una specificazione del contenuto dell’istanza piuttosto che devolvere una censura specifica, seppure indica dei travisamenti in cui sarebbe incorso il Giudice dell’esecuzione (in particolare, quanto alla indicazione del provvedimento di determinazione di pene concorrenti citato) per i quali, comunque, non è specificata la decisività. Infatti, si fa riferimento a una mera indicazione, contenuta nel provvedimento impugnato, di tipo soltanto incidentale e, comunque, non significativa rispetto alla decisione adottata.
1.2. Il secondo motivo è infondato.
La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, in tema di reato continuato, l’unicità del disegno criminoso presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già presenti nella mente dell’agente nella loro specificità e che la prova di tale congiunta previsione deve essere ricavata, di regola, da indici esteriori che siano significativi, alla luce dell’esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere (tra le altre, Sez. 4, n. 16066 del 17/12/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 243632).
Il Giudice dell’esecuzione, nel valutare l’unicità del disegno criminoso, non può attribuire rilievo a un programma di attività delinquenziale che sia meramente generico, essendo invece necessaria l ‘ individuazione, fin dalla commissione del primo episodio, di tutti i successivi, almeno nelle loro connotazioni fondamentali, con deliberazione, dunque, di carattere non generico, ma generale (tra le altre, Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267596).
Secondo tale pacifico orientamento, l’esistenza di un medesimo disegno criminoso va desunta da elementi indizianti quali l’unitarietà del contesto e della spinta a delinquere, la brevità del lasso temporale che separa i diversi episodi, l’identica natura dei reati, l’analogia del modus operandi e la costante compartecipazione dei medesimi soggetti (Sez. 5, n. 1766 del 06/07/2015, dep. 2016, Esposti, Rv. 266413).
L’identità del disegno criminoso deve essere negata qualora, malgrado la contiguità spazio-temporale ed il nesso funzionale tra le diverse fattispecie incriminatrici, la successione degli episodi sia tale da escludere la preventiva programmazione dei reati ed emerga, invece, l’occasionalità di quelli compiuti
successivamente rispetto a quello cronologicamente anteriori (Sez. 6, n. 44214 del 24/10/2012, Natali, Rv. 254793). La ricaduta nel reato e l’abitualità a delinquere non integrano di per sé il caratteristico elemento intellettivo (unità di ideazione che abbraccia i diversi reati commessi) che caratterizza il reato continuato (tra le molte altre, Sez. 2, n. 10033 del 07/12/2022, dep. 2023, Rv. 284420 -01; Sez. 2, n. 40123 del 22/10/2010, Marigliano, Rv. 248862).
Anche le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito che il riconoscimento della continuazione necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino, comunque, frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074).
Con riferimento alla continuazione tra il reato associativo e i reati fine, si è poi sostenuto che seppure questi rientrano nelle attività del sodalizio criminoso, in quanto finalizzati al suo rafforzamento, non è configurabile il medesimo disegno criminoso quando i singoli reati non erano programmabili ab origine , a momento dell’adesione all’associazione perché legati a circostanze ed eventi contingenti e occasionali (Sez. 5, n. 54509 del 08/10/2018, Lo Giudice, Rv. 275334 -02; Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259481 -01; Sez. 1, n. 13609 del 22/03/2011, COGNOME, Rv. 249930 -01; Sez. 1, n. 13611 del 22/03/2011, Aversano, Rv. 249931).
Tali essendo i principi cui il Collegio intende dare continuità, si osserva che la motivazione è del tutto coerente con i precedenti richiamati, laddove rileva che i delitti (rapine, furti commessi con uso di armi, minacce) sono stati eseguiti a notevole distanza temporale gli uni dagli altri, in concorso con persone diverse, oltre che in luoghi geografici distanti tra loro (Slovenia, Friuli, Veneto, Toscana), reputando non significativa l’appartenenza degli esecutori all’ambiente d ei cd. giostrai. Tanto, peraltro, in assenza di elementi atti a dimostrare che i delitti, in relazione ai quali si richiede l’applicazione della continuazione , fossero previsti, con la sufficiente specificità, al momento dell ‘adesione del ricorrente al sodalizio.
Peraltro, l’esame dell’ istanza ex art. 671 cod. proc. pen. evidenzia che questa aveva fatto riferimento, nel richiedere il riconoscimento della continuazione in sede esecutiva, in maniera del tutto generica, ai provvedimenti citati nell’ordine di esecuzione notificato al condannato il 14 marzo 2024, senza alcuna allegazione ulteriore. Ogni specificazione è contenuta nella memoria del
30 ottobre 2024 a firma del difensore del condannato, atto al quale è evidente che si rapporta, nel suo complesso, la motivazione del provvedimento censurato.
Del resto, è nota la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, in tema di ricorso per cassazione, l’omesso esame, da parte del giudice di merito, di una memoria difensiva può essere dedotto in sede di legittimità come vizio di motivazione purché, in virtù del dovere di specificità dei motivi di ricorso, si rappresenti puntualmente la concreta idoneità scardinante dei temi della memoria pretermessa rispetto alla pronunzia avversata, evidenziando il collegamento tra le difese della memoria e gli specifici profili di carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità argomentativa del provvedimento (Sez. 5, 17798 del 22/03/2019, C., Rv. 276766 -01).
I denunciati travisamenti di atti istruttori provenienti dalla polizia giudiziaria, allegati alla memoria depositata in sede di merito, sono soltanto enunciati, senza la specifica indicazione della decisività dei dati che si assumono travisati per omissione.
Infine, si osserva che è noto il costante principio ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte secondo il quale il giudice che ritenga di non accogliere l’istanza di riconoscimento della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen., anche solo con riguardo a taluni illeciti commessi in un contesto di prossimità temporale e di medesimezza spaziale con altri per i quali è stato già riconosciuto il medesimo disegno criminoso, è tenuto a motivare la decisione di disattendere la pregressa valutazione effettuata dal giudice di merito (tra le molte altre, Sez. 1, n. 2867 del 08/11/2023, dep. 2024, Rv. 285809 -01).
Nel caso di specie, il provvedimento motiva, sia pure in modo sintetico, comunque adeguatamente quanto alle condotte accertate con tutte le altre sentenze, diverse dalle due condanne per rapina per le quali la Corte di appello di Venezia, in sede di cognizione, ha riconosciuto la continuazione, escludendo visti i diversi complici di COGNOME i luoghi geografici di esecuzione delle condotte, l ‘ amplissimo lasso temporale intercorso tra tutti i reati -che potesse ravvisarsi un programma delinquenziale predeterminato che, a monte, avesse delineato sia pure in via generale, il compimento delle numerosissime e variegate condotte oggetto dell ‘ istanza.
1.3. Il terzo motivo è infondato.
Non ignora il Collegio l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, ai fini del riconoscimento del vincolo della continuazione in sede esecutiva, l ‘ istante non ha un onere di allegazione ma solo un interesse a delineare gli indici rivelatori dell’identità del disegno criminoso (Sez. 1, n. 14188 del 30/03/2010, Russo, Rv. 246840 – 01). Secondo tale indirizzo, infatti, l’onere di allegazione gravante sul condannato deve ritenersi soddisfatto anche con la semplice indicazione o produzione delle sentenze, relative ai reati di cui si richiede l’unificazione, senza
che egli debba adempiere l’ulteriore onere di specificare le ragioni da cui è desumibile l’esistenza di un medesimo disegno criminoso.
Tuttavia, si rileva che, nel caso al vaglio, dal provvedimento censurato risultano svolte anche delle integrazioni istruttorie a istanza di parte.
Né si sottolineano, ai fini dell ‘ adottata decisione, da parte del Giudice dell ‘ esecuzione, carenze istruttorie o di allegazione alle quali il Giudice dell ‘ esecuzione avrebbe potuto porre rimedio attraverso i suoi poteri di cui all ‘ art. 666, comma 5, cod. proc. pen.
1.4. Il quarto motivo è fondato.
La costante giurisprudenza di legittimità, cui il Collegio intende dare continuità, afferma che, per avere identità del fatto, ai fini della preclusione connessa al rispetto del principio del ne bis in idem, deve esserci corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Sez. U, 8 n. 34655 del 28/06/2005, Rv. 231799 – 01; Sez. 5, n. 28548 del 01/07/2010, Rv. 247895; Sez. 4, n. 15578 del 20/02/2006, Rv. 233959).
La motivazione (v. ultima pagina dell’ordinanza) si limita a rilevare che i fatti di cui alle due sentenze segnalate, per le quali si deduce la violazione del divieto di bis in idem, giudicano fatti commessi in luoghi diversi, trascurando ogni altra necessaria valutazione.
L ‘esame delle sentenze indicate , dunque, appare parziale e non consente di comprendere se, come dedotto, i fatti di cui alla sentenza emessa il 6 ottobre 2011 dalla Corte di appello di Brescia sono compresi tra quelli già costituenti oggetto della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, emessa il 20 aprile 2011 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena.
Dunque, va rimesso al Giudice dell’esecuzione, in sede di rinvio, ogni esame di merito circa la dedotta identità dei fatti-reato oggetto delle sentenze indicate, restando escluso nella presente sede di legittimità l’accertamento, necessario per verificare la preclusione derivante dalla coesistenza di provvedimenti per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona, trattandosi di accertamento di fatto (Sez. 5, n. 43485 del 07/04/2014, Bandu, Rv. 260828 -01).
Segue l’annullamento del provvedimento impugnato, limitatamente alla dedotta medesimezza dei fatti di cui alle sentenze di condanna pronunciate dalla Corte di appello di Brescia il 6 ottobre 2011 e dal Tribunale di Modena, Ufficio Gip, il 20 aprile 2011, con rinvio per nuovo giudizio su tale punto alla Corte di appello di Firenze.
Il ricorso, nel resto, va rigettato.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla medesimezza dei fatti di cui alle sentenze di condanna pronunciate dalla Corte di appello di Brescia il 6 ottobre 2011 e dal Tribunale di Modena, Ufficio Gip, il 20 aprile 2011, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Firenze. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso, il 6 giugno 2025