Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 32058 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 32058 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Roma il 18/11/1989 avverso l’ordinanza del 11/04/2025 del Tribunale di Roma visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito l’Avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia di COGNOME NOMECOGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe indicata il Tribunale di Roma ha respinto l’istanza di riesame avverso il provvedimento con cui il Giudice per le indagini preliminari aveva applicato a NOME COGNOME la misura della custodia cautelare in carcere per i reati di cui agli artt. 74, commi 1, 2, 3 e 4 d.P.R. n. 309 del 1990 (capo 1) e 81, 110 cod. pen., 73 d.P.R. n. 309 del 90 (capo 20).
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME deducendo i motivi di annullamento di seguito sintetizzati.
2.1. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 649 cod. proc. pen. in quanto, per il delitto contestato al capo n. 1, il ricorrente è già sta condannato in via definitiva.
Secondo l’incolpazione provvisoria, l’associazione dedita al narcotraffico costituirebbe la federazione delle piazze di spaccio già attive nel quartiere romano di INDIRIZZO e in altri limitati luoghi del comune di Roma; essa sarebbe costituita da due categorie di soggetti e, cioè, dai vertici, COGNOME e COGNOME, e dai partecipi, gestori delle singole “piazze di spaccio” e, dunque, delle rispettive associazioni.
A NOME COGNOME viene contestata la partecipazione all’associazione in qualità di gestore della “RAGIONE_SOCIALE” di Roma, INDIRIZZO
La difesa contesta che, in radice, sussista l’affectio societatis in capo ai gestori, addirittura costretti a pagare un pizzo agli apicali per rifornirsi di droga.
In ogni caso rileva che, per i medesimi fatti, ossia aver promosso, finanziato e organizzato un’associazione dedita al narcotraffico avente base in Roma INDIRIZZO il ricorrente è già stato condannato con sentenza irrevocabile nel procedimento penale n. 4597/2017 RG per il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990 (sentenza n. 383 del 10 febbraio 2022 emessa in esito a giudizio abbreviato dal Giudice per le indagini preliminari di Roma, divenuta definitiva, a seguito di concordato in appello, in data 7 marzo 2024).
Nella prospettazione difensiva, sotto il profilo temporale, la sentenza passata in giudicato, stante la natura aperta della contestazione, copre i fatti commessi fino all’emissione della sentenza di primo grado o, quanto meno, fino all’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare (4 maggio 2021).
I fatti oggetto della sentenza passata in giudicato sarebbero, dunque, del tutto sovrapponibili a quelli oggetto del presente procedimento dal punto di vista temporale, in quanto il delitto di cui al capo 1, quantunque contestato “in Roma dalla fine del 2017 e con condotte tuttora in atto”, deve considerarsi consumato, per quanto attiene la posizione di NOME COGNOME alla fine dell’anno 2020, data cui risale l’ultimo dei reati fine.
Identico sarebbe poi, il fatto materiale ascritto all’indagato, inteso nella sua dimensione storico-naturalistica, fattuale, in quanto l’elemento distintivo della associazione oggetto del presente procedimento consisterebbe unicamente nella contestualizzazione dell’attività illecita nell’ambito di una più ampia struttur associativa che comprenderebbe nel proprio organigramma tanto i fornitori dello stupefacente tanto i gestori delle “piazze di spaccio”.
Né varrebbe a differenziare la condotta la contestazione del ruolo di custode delle armi, in quanto tale presunto ruolo emerge solo dalle chat intercettate, non riscontrate da alcun altro elemento, e in quanto, comunque, difetta qualsivoglia indizio the le armi fossero eventualmente riferibili all’associazione nel suo complesso.
In ogni caso, anche se la detenzione illecita fosse accertata, non verrebbe alterato il nucleo storico-naturalistico e fattuale del reato, in quanto l’art. 649 co proc. pen. vieta la sottoposizione a un nuovo giudizio di chi sia già stato giudicato per il medesimo fatto, quantunque diversamente considerato per titolo, per grado o per circostanze.
La motivazione dell’ordinanza impugnata sul punto sarebbe erronea in quanto limitata al raffronto tra le due imputazioni e non tra la condotta per cui intervenuta condanna e quella valorizzata in termini di presunta rilevanza associativa nel presente procedimento.
2.2. Difetto di motivazione in relazione all’attualità delle esigenze cautelari e alla adeguatezza della misura cautelare in carcere.
Premesso che dall’accoglimento del primo motivo di ricorso deriverebbe l’inapplicabilità della presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., residuando solo il delitto di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 contestato al capo n. 20, risalente a settembre 2020, rileva la difesa che la motivazione dell’ordinanza impugnata è errata, sotto il profilo della valutazione delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia e del possesso di armi da parte del ricorrente, e che è carente, in relazione all’esistenza di rapporti con i presunti associati dopo l’arresto del maggio 2021.
CONSIDERATO IN DIRITTO
il primo motivo di ricorso è fondato e ha carattere assorbente.
L’art. 649 cod. proc. pen. vieta che l’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili sia sottoposto a un nuovo procedimento penale per il medesimo fatto, anche se «diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze».
Il divieto di bis in idem trova esplicita tutela nell’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, a norma del quale nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per una infrazione per cui è già stato condannato o scagionato a seguito di una sentenza definitiva conforme alla legge e alla procedura penale di tale Stato.
Benché non riconosciuto espressamente dalla lettera della Costituzione, tale principio è «immanente alla funzione ordinante cui la Carta ha dato vita, perché non è compatibile con tale funzione dell’ordinamento giuridico una normativa nel cui ambito la medesima situazione giuridica possa divenire oggetto di statuizioni giurisdizionali in perpetuo divenire» (C. cost. 21/07/2016, n. 200) ed è stato ritenuto collegato, in via generale, con gli artt. 24 e 111 Cost. (C. cost. ord. n 501 del 2000).
Nel diritto penale, secondo la Corte costituzionale, la forza del divieto va al di là della dimensione correlata al valore obiettivo del giudicato e investe la sfera dei diritti dell’individuo, in quanto «principio di civiltà giuridica».
Più di recente la Corte costituzionale ha precisato che il divieto di bis in idem mira a tutelare l’imputato non solo contro la prospettiva dell’inflizione di una seconda pena, ma ancor prima contro la prospettiva di subire un secondo processo per il medesimo fatto: e ciò a prescindere dall’esito del primo processo, che potrebbe anche essersi concluso con un’assoluzione.
«La ratio primaria della garanzia – declinata qui non quale principio “ordinamentale” a valenza oggettiva, funzionale alla certezza dei rapporti giuridici, ma quale diritto fondamentale della persona – è dunque quella di evitare l’ulteriore sofferenza, e i costi economici, determinati da un nuovo processo in relazione a fatti per i quali quella persona sia già stata giudicata» (C. cost. 16/06/2022 n. 149).
Quanto alla nozione di “medesimo fatto”, questa Corte ha da tempo affermato che «l’identità del “fatto” sussiste quando vi sia corrispondenza storiconaturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Cass. Sez. un. 28/06/2005, COGNOME, n. 34655, Rv. 231800 – 01).
La scelta interpretativa, che ha privilegiato l’idem factum inteso in senso storico-naturalistico rispetto all’idem legale, è stata avallata dalla Corte costituzionale «perché solo un giudizio obiettivo sulla medesimezza dell’accadimento storico scongiura il rischio che la proliferazione delle figure di reato, alle quali in astratto si potrebbe ricondurre lo stesso fatto, offra l’occasio per iniziative punitive, se non pretestuose, comunque tali da porre perennemente in soggezione l’individuo di fronte a una tra le più penetranti e invasive manifestazioni del potere sovrano dello Stato-apparato» (sent. n. 200 del 2016 cit.).
La stessa Corte costituzionale ha sottolineato che il fatto storico deve, poi, essere scomposto nella triade di condotta, nesso di causalità, ed evento
naturalistico, valutati con esclusivo riferimento alla loro dimensione empirica -così, per evento si deve intendere la modificazione della realtà prodotta per effetto della condotta-.
GLYPH La verifica in merito alla configurabilità della preclusione processuale deve essere condotta avendo di mira la tutela di tale diritto fondamentale e optando per la soluzione che risulta più idonea a scongiurarne la violazione, cioè quella che, in presenza di eventuali margini di incertezza, risulta più favorevole all’imputato. Il divieto di bis in idem impone, in particolare, una comparazione tra il fatto in senso storico-naturalistico, che ha formato oggetto di decisione irrevocabile e quello per il quale il processo è stato promosso e risulta ancora pendente (Sez. 6, n. 19486 del 01/02/2018, COGNOME, Rv. 273077 – 01).
Nel caso di reati associativi, viene in considerazione un accordo tra più persone che si correla ad un assetto organizzativo e a un programma criminale destinato a protrarsi nel tempo.
L’associazione può, nel tempo, modificare parzialmente la propria struttura o il proprio programma, ponendo problemi applicativi di non poco momento per l’individuazione dell’idem factum.
Al fine di escludere la medesimezza del fatto, nella sua dimensione empirica, allora, non rilevano né, dal punto di vista del soggetto, eventuali mutamenti nelle modalità di partecipazione (attività e ruoli), né, dal punto di vist dell’organizzazione, eventuali mutamenti in ordine ai suoi equilibri interni in relazione al numero dei componenti, ma è necessario accertare che il soggetto sia passato ad una diversa organizzazione criminale ovvero che si sia verificata una successione nelle attività criminali tra organismi diversi, sia pure con lo stesso nome ed operanti nello stesso territorio (Sez. 6, n. 28116 del 26/03/2015 Nucera Rv. 263928 – 01).
Trattandosi, poi, di reato permanente, in relazione al protrarsi dell’attività associativa e del contributo del partecipe, assume specifico rilievo il periodo cui la contestazione è riferita.
Sotto questo profilo si deve dare rilievo al tenore della contestazione, che, se “aperta”, con indicazione del protrarsi nell’attualità della condotta contestata, impone di individuare un limite temporale cui ancorare l’accertamento effettuato con la prima sentenza e coperto dal giudicato, cui corrisponde la preclusione di nuovo di giudizio.
In tali casi, in cui la data indicata nella contestazione può non assumere rilievo decisivo, ciò che conta è l’effettivo contenuto dell’accertamento. Infatti, la regola processuale secondo cui permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado (art. 158 cod. pen.), non equivale a presunzione di
colpevolezza fino a quella data, spettando all’accusa l’onere di fornire la prova a carico dell’imputato in ordine al protrarsi della condotta criminosa fino all’indicato ultimo limite processuale e all’imputato l’onere di allegazione di eventuali fatti interruttivi della partecipazione al sodalizio. (Sez. 2, n. 37104 del 13/06/2023, Aligi, Rv. 285414 – 01).
4. Il Tribunale non ha fatto corretta applicazione di tali principi.
Ciò che viene in considerazione nel presente processo è una nuova “federazione” tra associazioni già esistenti. La contestazione, cioè, attiene alla creazione di una associazione, che si assume essere nuova e diversa, tra i gestori delle singole “piazze di spaccio” e i fornitori.
Astrattamente, tale costruzione non è incompatibile con il divieto di bis in idem anche nel caso in cui taluno dei gestori sia già stato condannato in via definitiva per aver promosso e diretto il sodalizio che si occupa della singola “piazza di spaccio”. Occorre, però, che le due associazioni siano distinte, conservando entrambe autonomia decisionale ed operativa (Sez. 2, n. 27116 del 22/05/2014, COGNOME e altri, Rv. 259810 – 01).
Tuttavia, nel caso di specie tale tema non è stato sufficientemente esplorato. NOME COGNOME è già stato condannato in via definitiva per aver promosso e gestito la piazza di spaccio di INDIRIZZO. L’ordinanza impugnata ha respinto l’eccezione di violazione di divieto di bis in idem, perché: a) le due associazioni sono differenti tra di loro quanto a composizione soggettiva: quella oggetto della sentenza divenuta definitiva è costituita tra COGNOME, in qualità di vertice, e partecipi, che collaborano nella sua piazza di spaccio, mentre quella oggetto del presente procedimento è costituita dai fornitori, COGNOME e COGNOME, e dai capi di tutte le “piazze di spaccio”, che nessuna ingerenza diretta esercitano nei confronti della piazza diretta dal ricorrente; b) diverso, poi, è anche l’oggetto del patto associativo che, nella seconda associazione, è volto a ottenere sicurezza e stabilità di guadagni mediante un’organizzazione che realizza l’approvvigionamento di quasi tutte le piazze di spaccio di Tor Bella Monaca, approvvigionamento accompagnato da garanzie nei confronti di interferenze di terzi.
Ma l’asserita diversità è stata desunta primariamente dal tipo di contestazione e dunque sul piano formale senza una penetrante analisi del tema fattuale e strutturale.
In definitiva è mancata la concreta illustrazione delle ragioni per le quali è stata ravvisata l’operatività di una diversa associazione ed è stata sussistente l’affectio societatis implicante la coscienza e la volontà di fornire un contributo a quel diverso sodalizio e di concorrere in vista di tale obiettivo con gli altri gesto delle “piazze di spaccio” oltre che con i soggetti indicati in posizione apicale.
In assenza di tale analisi non può escludersi che, in presenza di condotte rappresentative di modalità di gestione della “piazza di spaccio”, se del caso rafforzate dalla posizione di altri soggetti, ricorra pur sempre l’idem factum, come sopra delineato.
Per affermare la diversità del fatto non è invero sufficiente che il nuovo procedimento si limiti a comprendere i fornitori stabili dell’associazione – fornitor che nel precedente procedimento non erano stati coinvolti-, perché, se così fosse, sarebbe semplicemente cambiato l’angolo prospettico di osservazione del medesimo fenomeno e non il fatto commesso dall’imputato, che avrebbe sempre, semplicemente gestito una “piazza di spaccio,” interfacciandosi con i propri fornitori, oltre che con gli spacciatori da lui dipendenti.
Sotto questo profilo l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio, essendo necessario un supplemento di motivazione nei termini indicati, onde chiarire se e in che misura possa realmente parlarsi di gravità indiziaria in ordine ad un fatto associativo diverso, connotato da un diverso programma criminoso e da nuove e diverse condotte, ulteriori rispetto a quelle già coperte da giudicato (organizzazione e promozione, nel medesimo lasso temporale di una associazione dedita al narcotraffico in INDIRIZZO Roma).
La pregiudiziale ragione di annullamento assorbe le ulteriori doglianze, dovendosi rilevare che il tema specificamente cautelare assume una diversa fisionomia a seconda che sia confermata o meno la gravità indiziaria per il reato associativo.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Roma competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 11/09/2025.