Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 7824 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 7824 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CROTONE il 13/06/1986
avverso l’ordinanza del 5/09/2024 del GIP del TRIBUNALE di VIBO VALENTIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 5 settembre 2024, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vibo Valentia ha disposto, in accoglimento della richiesta del locale Pubblico ministero, l’archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. in relazione al contestato delitto di «minaccia aggravata» previsto dall’art. 612, secondo comma, cod. pen. Secondo il Giudice procedente, infatti, la minaccia risultava «connotata da debole carica intimidatrice, seppure in minima parte presente in quanto l’autore trattasi di militare in servizio con arma».
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale per violazione del principio di specialità e, al contempo, reitera l’eccezione di difetto di giurisdizione in capo all’autorità giudiziaria ordinaria, per essere stato il fatto commesso nell’ambito di un rapporto di servizio militare, essendosi al cospetto di una condotta posta in essere da un militare in danno di altro militare. Inoltre, si deduce che dal medesimo fatto storico sarebbe scaturita un’ulteriore e autonoma contestazione da parte della Procura militare di Napoli in relazione al reato di disobbedienza di cui all’art. 173 cod. pen. mil . pace e al reato di insubordinazione con minaccia di cui all’art. 189, comma primo, cod. pen. mil . pace; e il relativo giudizio sarebbe stato definito con sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste emessa dal Tribunale militare di Napoli del 26 ottobre 2023, irrevocabile 1’8 gennaio 2024, con conseguente violazione dell’art. 649 cod. proc. pen. Proprio in relazione al reato previsto dall’art. 189, primo comma, cod. pen. mil . pace, la difesa rileva l’esistenza del rapporto di specialità rispetto al delitto di minaccia di cui all’art. 612, comma secondo, cod. pen. contestato dalla Procura ordinaria di Vibo Valentia, considerato che i fatti contestati a Piro sarebbero «strettamente attinenti al rapporto di servizio» e costituirebbero, «quindi, atti di insubordinazione», sicché sarebbe ravvisabile il difetto di giurisdizione in favore dell’autorità giudiziaria militare. Pur non essendo il provvedimento di archiviazione impugnabile nel merito, la difesa ne afferma la ricorribilità per cassazione per violazione di legge ex art. 111, settimo comma, Cost., trattandosi di un provvedimento che incide sulla libertà personale e avendo esso, in concreto, natura di sentenza, generalmente riconosciuta ai provvedimenti decisori «per particolare tenuità del fatto».
2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 649 cod. proc. pen. per violazione del principio del ne bis in idem atteso che il provvedimento impugnato contrasterebbe con la sentenza assolutoria, irrevocabile 1’8 gennaio 2024, emessa «perché il fatto non sussiste» dal Tribunale militare di Napoli per gli stessi fatti, qualificati come «insubordinazione con minaccia pluriaggravata ex artt. 189, comma 1, 47, n. 2, cod. pen. mil . pace. Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, la locuzione «medesimo fatto» contenuta nell’art. 649 cod. proc. pen. il divieto agisce nel caso in cui vi sia una coincidenza di tutte le componenti della fattispecie concreta, sicché tale espressione fa riferimento all’identità storico-naturalistica del reato, in tutti i suoi elementi costitu identificati nella condotta, nell’evento e nel rapporto di causalità, in riferimento alle stesse condizioni di tempo, di luogo di persona. L’improcedibilità dell’azione potrebbe essere eccepita anche dall’interessato, che avrebbe l’onere di fornire la prova per consentire al giudice di verificarla oppure potrebbe essere rilevata anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio e, pertanto, anche dal giudice delle indagini preliminari. In ogni caso, la violazione del divieto di bis in idem sarebbe deducibile anche dinanzi al Giudice di legittimità, allorché non fosse stato possibile dedurla prima a causa del passaggio in giudicato della sentenza successivamente all’altro giudizio, come accaduto nel caso di specie.
In data 14 novembre 2024 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stata chiesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
In data 23 dicembre 2024, l’avv. NOME COGNOME ha fatto pervenire in Cancelleria via PEC la copia della sentenza n. 56 del 26 ottobre 2023 emessa dal Tribunale militare di Napoli (depositata il 16 novembre 2023 e divenuta irrevocabile 1’8 gennaio 2024) nonché la copia dell’ordinanza di archiviazione impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.
Preliminarmente deve osservarsi che l’ordinanza di archiviazione per particolare tenuità del fatto, istituto applicabile anche ai reati militari (così Sez. 1 n. 30694 del 05/06/2017, Corda, Rv. 270845 – 01), ha natura decisoria e, come tale, è assimilabile a una sentenza, sempre ricorribile per cassazione per violazione di legge ai sensi dell’art. 111, comma settimo, Cost. (Sez. 5, n. 36468 del
31/05/2023, COGNOME, Rv. 285076 – 01; Sez. 3, n. 5454 del 27/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284139 – 01). Come rilevato dal Procuratore generale in sede di requisitoria, la giurisprudenza di legittimità ha talvolta affermato che l’ordinanza di archiviazione per la particolare tenuità del fatto emessa, ai sensi dell’art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., a seguito di opposizione della persona offesa, è ricorribile per cassazione per violazione di legge ex art. 111, comma settimo, Cost., per effetto delle modifiche introdotte dal d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 122, a condizione che sia stato allegato un interesse concreto e attuale alla rimozione del provvedimento (così Sez. 6, n. 611 del 22/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285604 – 01). Un interesse che, nel caso di specie, deve ritenersi certamente ravvisabile. Premesso, infatti, che la presenza di una pronuncia pienamente assolutoria per insussistenza del fatto rappresenta una situazione giuridica più favorevole rispetto a una mera declaratoria di non punibilità, che, come detto, presuppone l’esistenza del reato in tutte le sue componenti, oggettive e soggettive, e che agisce, per così dire, dall’esterno rispetto alla fattispecie di reato, va, del resto, ricordato che secondo la giurisprudenza di legittimità sussiste l’interesse dell’imputato ad impugnare la sentenza che esclude la punibilità di un reato militare in applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., trattandosi di pronuncia che ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso; e tenuto conto che essa è soggetta ad iscrizione nel casellario giudiziale e può ostare alla futura applicazione della medesima causa di non punibilità ai sensi del comma 3 della medesima disposizione (Sez. 1, n. 459 del 02/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280226 – 01).
Tanto premesso, come detto, il ricorso prospetta una violazione di legge sotto un duplice versante, ovvero per difetto di giurisdizione, essendosi al cospetto di un reato militare rispetto al quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vibo Valentia non avrebbe potuto pronunciarsi; e per violazione del divieto di bis in idem, dal momento che, per il medesimo fatto, COGNOME sarebbe stato assolto, con sentenza irrevocabile, proprio dal giudice militare (e precisamente dal Tribunale militare di Napoli).
3.1. Ora, non vi è alcun dubbio sulla fondatezza, in primis, della questione di giurisdizione, deducibile o rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi dell’art. 20 cod. proc. pen. Ciò emerge per tabulas dal capo di imputazione dei due procedimenti, che richiamano l’episodio occorso in data 18 gennaio 2021, allorché durante l’espletamento di un turno della Squadra di vigilanza e servizio del Battaglione dei Carabinieri, COGNOME appuntato dei Carabinieri, aveva rivolto all’indirizzo del luogotenente dei Carabinieri NOME COGNOME suo superiore di grado, in presenza di altri militari, l’espressione «non alzi
la voce». Sul punto, va, infatti, rilevato che la condotta era stata tenuta da un carabiniere in servizio armato ai danni del superiore gerarchico, ciò che, appunto, giustificava, dal punto di vista della astratta qualificazione, la contestazione del reato militare di insubordinazione con minaccia pluriaggravata ai sensi degli artt. 189, comma 1 e 47, n. 2, cod. pen. mil pace, a mente del quale è punibile «il militare, che minaccia un ingiusto danno ad un superiore in sua presenza» e avendo la giurisprudenza escluso il reato, ai sensi dell’art. 199 cod. pen. mil pace soltanto quanto la minaccia o l’offesa all’onore di un superiore sia rivolta dal militare appartenente alle forze armate al di fuori dell’attività di servizio attivo e non sia obiettivamente correlata all’area degli interessi connessi alla tutela della disciplina (ex plurimis Sez. 1, n. 25353 del 15/01/2019, Ursino, Rv. 276484 – 01).
3.2. Tale questione, logicamente pregiudiziale, dovrebbe comportare l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato in quanto emesso in difetto di giurisdizione. E ciò anche tenuto conto del principio recentemente espresso dalle Sezioni unite di questa Corte in relazione ai rapporti tra la giurisdizione ordinaria e quella militare, essendo stato affermato che e il riparto di potestà tra giudice ordinario e giudice militare attiene alla giurisdizione e che, dunque, la sua violazione integra un difetto di giurisdizione (Sez. U, n. 8193 del 25/11/2021, dep. 2022, Bionda, Rv. 282847 – 01). Tuttavia, in occasione di tale arresto le Sezioni unite hanno anche ribadito il principio in passato espresso, stavolta dalle Sezioni semplici, secondo il quale l’eventuale rilievo del difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice militare, non preclude l’immediata declaratoria di una causa di non punibilità del reato militare, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen, poiché la Corte di legittimità ha giurisdizione anche in ordine ai reati militari (Sez. 1, n. 12943 del 29/01/2014, Bausone, Rv. 260132 01).
Consegue alle considerazioni che precedono che ove, come nel caso in esame, venga in rilievo una causa di proscioglimento ai sensi dell’art. 649 cod. proc. pen., la stessa Corte di cassazione, avendo giurisdizione anche sui reati militari, possa pronunciarsi direttamente sulla relativa questione.
4.1. Sul tema della deducibilità del difetto di giurisdizione in sede di legittimità si registrano, in sintesi, due opinioni principali.
La prima, più risalente, sostiene che essendo la violazione del divieto di bis in idem una questione di fatto, riservata alla valutazione del giudice di merito, essa non possa essere dedotta, per la prima volta, davanti al Giudice di legittimità (Sez. 2, n. 6179 del 15/01/2021, COGNOME, Rv. 280648 – 01; Sez. 2, n. 18559 del 13/03/2019, COGNOME, Rv. 276122 – 02; Sez. 7, n. 41572 del 13/09/2016, COGNOME, Rv. 268282 – 01; Sez. 3, n. 20885 del 15/04/2015, COGNOME, Rv. 264096 – 01; Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015, Aumenta, Rv. 263407 – 01; Sez. 5, n. 43485 del
07/04/2014, Bandu, Rv. 260828 – 01; Sez. 2, n. 2662 del 15/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258593 – 01; Sez. 4, n. 4958 del 08/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258611 – 01; Sez. 4, n. 35831 del 27/06/2013, COGNOME, Rv. 256883 01; Sez. 5, n. 9825 del 10/01/2013, COGNOME, Rv. 255219 – 01; Sez. 5, n. 5099 del 11/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254654 – 01; Sez. 5, n. 24954 del 06/05/2011, COGNOME, Rv. 250920 – 01; Sez. 4, n. 48575 del 03/12/2009, COGNOME, Rv. 245740 – 01; Sez. 5, n. 9180 del 29/01/2007, COGNOME Rv. 236259 01; Sez. 2, n. 41069 del 24/09/2004, COGNOME, Rv. 230708 – 01; Sez. 6, n. 34955 del 05/06/2003, COGNOME, Rv. 226365 – 01; Sez. 5, n. 10076 del 24/09/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 213979 – 01; Sez. 6, n. 9301 del 19/04/1995, COGNOME, Rv. 203081 – 01).
La seconda opinione, invece, ritiene che la preclusione del giudicato formatosi sul medesimo fatto sia sempre deducibile nel giudizio di cassazione, atteso che la violazione del divieto del bis in idem si risolve in un error in procedendo che, in quanto tale, consente al giudice di legittimità l’accertamento di fatto dei relativi presupposti (Sez. 5, n. 30845 del 07/04/2017, COGNOME, Rv. 270871 – 01; Sez. 2, n. 33720 del 08/07/2014, COGNOME, Rv. 260346 – 01; Sez. 6, n. 44632 del 31/10/2013, COGNOME, Rv. 257809 – 01; Sez. 6, n. 14991 del 30/01/2013, COGNOME, Rv. 256221 – 01; Sez. 6, n. 47983 del 27/11/2012, COGNOME, Rv. 254279 01; Sez. 1, n. 26827 del 05/05/2011, COGNOME, Rv. 250796 – 01; Sez. 6, n. 44484 del 30/09/2009, P., Rv. 244856 – 01).
All’interno, del primo orientamento, poi, si è anche sostenuto che la violazione del divieto di bis in idem possa essere, comunque, dedotta per la prima volta in sede di legittimità ove non fosse stato possibile dedurla in grado di appello perché la sentenza di riferimento non era ancora passata in giudicato e fosse divenuta irrevocabile dopo quel giudizio (Sez. 1, n. 31123 del 14/05/2004, COGNOME, Rv. 229283 – 01; Sez. 5, n. 7953 del 30/03/1998, COGNOME, Rv. 211535 – 01).
Mentre all’interno del secondo indirizzo, nella evidente prospettiva di tenere conto del primo orientamento, si è precisato che la possibilità di dedurre la violazione del divieto del ne bis in idem deve, comunque, essere esclusa quando la decisione della relativa questione comporti la necessità di accertamenti di fatto, nel qual caso la stessa deve essere proposta davanti al giudice dell’esecuzione (Sez. 6, n. 29188 del 15/05/2024, B., Rv. 286759 – 01; Sez. 1, n. 37282 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282044 – 01; Sez. 2, n. 21462 del 20/03/2019, Manco, Rv. 276532 – 01; Sez. 2, n. 5772 del 10/01/2019, Percontra, Rv. 276319 – 01; Sez. 6, n. 598 del 05/12/2017, dep. 2018, B., Rv. 271764 – 01; Sez. 3, n. 35394 del 07/04/2016, Caligara, Rv. 267997 – 01; Sez. 5, n. 2807 del 06/11/2014, dep. 2015, Verde, Rv. 262586 – 01; Sez. 5, n. 44854 del 23/09/2014, Gentile, Rv. 261311 – 01; Sez. 5, n. 1131 del 29/11/2012, dep. 2013, Siano, Rv. 254837 01). Di modo che si reputa necessaria, al fine di potersi ritenere ammissibile la
relativa deduzione, una chiara rappresentazione della corrispondenza storiconaturalistica dei fatti, che debbono risultare di evidente constatazione alla stregua della lettura degli atti, non potendo trovare ingresso riletture dei fatti, sia pure mediate dall’esame delle contestazioni.
4.2. Tanto osservato, deve innanzitutto rilevarsi che, nel caso di specie, la questione di giurisdizione non è stata proposta per la prima volta in sede di legittimità, atteso che essa, come documentato dalla Difesa del ricorrente, era già stata dedotta davanti al Giudice per le indagini preliminari in sede di opposizione alla richiesta di archiviazione, senza che vi fosse stata alcuna decisione sul punto. Inoltre, anche a voler ritenere che il silenzio sulla questione fosse legittimo in ragione del mancato passaggio in giudicato della sentenza di proscioglimento da parte del Tribunale militare, la questione sarebbe comunque deducibile per la prima volta in sede di legittimità, alla luce del già richiamato indirizzo secondo cui il limite alla deducibilità in tale sede viene meno quando la questione non avrebbe potuto essere dedotta prima in ragione del mancato passaggio in giudicato dell’altra sentenza. Né la verifica dei presupposti per la declaratoria di non doversi procedere per ne bis in idem impone, nel caso di specie, accertamenti fattuali, essendo all’uopo sufficiente, come si dirà, il mero raffronto dei capi di imputazione.
5. Venendo, quindi, al merito della questione dedotta, deve premettersi che la verifica della dedotta violazione del divieto di bis in idem è finalizzata a verificare se i due procedimenti in rilievo abbiano riguardato il «medesimo fatto» e che, a tal fine, deve verificarsi «la corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona» (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, COGNOME, Rv. 231799 – 01).
Ora, nel caso in esame, la Difesa ha provveduto a trasmettere, come anticipato (v. supra § 4. del «ritenuto in fatto») copia della sentenza di proscioglimento, adempiendo all’onere sulla stessa incombente di fornire la prova della propria asserzione, in modo da porre il giudice nella condizione di verificare la sussistenza delle condizioni necessarie per l’accoglimento dell’eccezione (così Sez. 2, n. 31542 del 30/05/2017, COGNOME, Rv. 270552 – 01; Sez. 3, n. 3217 del 23/10/2014, dep. 2015, Nsib, Rv. 262012 – 01; Sez. 4, n. 10097 del 3/05/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 236092 – 01; Sez. 4, n. 1789 del 15/01/1990, COGNOME, Rv. 183263 01). E dalla piana lettura delle due imputazioni emerge che l’episodio oggetto dei due procedimenti era il medesimo, facendosi in entrambi i casi riferimento a quanto avvenuto in data 18 gennaio 2021, allorché durante l’espletamento di un turno della Squadra di vigilanza e servizio del Battaglione dei Carabinieri, NOME COGNOME appuntato dell’Arma dei Carabinieri, aveva rivolto all’indirizzo del luogotenente, NOME COGNOME anch’egli in forza all’Arma dei
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Carabinieri e suo superiore di grado, l’espressione «non alzi la voce», proferita alla presenza di altri militari e dopo essersi avvicinato alla persona offesa sino a sfiorargli il viso e sollevando entrambi i pugni. Ciò che, pertanto, consente di ravvisare la dedotta violazione del divieto di secondo giudizio e, conseguentemente, di pervenire alla declaratoria di non doversi procedere ai sensi dell’art. 649 cod. proc. pen.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto, sicché la sentenza impugnata deve essere annullata, senza rinvio, per identità del fatto oggetto del presente giudizio con quello già giudicato con sentenza del Tribunale militare di Napoli n. 56 del 26 ottobre 2023, irrevocabile in data 8 gennaio 2024.
PER QUESTI MOTIVI
Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato per identità del fatto oggetto del presente giudizio con quello già giudicato con sentenza del Tribunale militare di Napoli n. 56 del 26.10.2023 irrev. 1’8.1.2024.
Così deciso in data 9 gennaio 2025
Il Consigliere estensore
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