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Ne bis in idem abuso edilizio: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha stabilito che il principio del ‘ne bis in idem’ non impedisce una nuova condanna per abuso edilizio se l’imputato prosegue i lavori di costruzione dopo una precedente sentenza, anche di assoluzione. La prosecuzione dell’attività illecita su un manufatto costituisce un fatto storico nuovo e distinto, non coperto dal precedente giudicato. In questo caso, la continuazione dei lavori su un gazebo, con l’aggiunta di nuovi elementi strutturali, ha giustificato un nuovo procedimento e una nuova condanna per il reato permanente di abuso edilizio.

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Pubblicato il 9 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ne bis in idem e abuso edilizio: la Cassazione traccia i confini

Il principio del ne bis in idem, che vieta di processare una persona due volte per lo stesso fatto, è un caposaldo del nostro ordinamento. Ma come si applica ai reati che si protraggono nel tempo, come l’abuso edilizio? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30934 del 2024, offre un chiarimento fondamentale: la prosecuzione dei lavori abusivi dopo una sentenza definitiva costituisce un nuovo reato, non coperto dal precedente giudicato. Questa pronuncia è cruciale per comprendere i limiti del ne bis in idem abuso edilizio.

I fatti del caso: da un’assoluzione a una nuova condanna

La vicenda processuale ha origine dalla costruzione di un manufatto da parte di un cittadino. Un primo procedimento penale si era concluso con una sentenza di assoluzione, divenuta irrevocabile. Successivamente, l’imputato aveva ripreso i lavori sullo stesso manufatto, portando a termine l’opera. Questo ha dato il via a un nuovo procedimento, nel quale l’uomo è stato condannato per il reato di cui all’art. 44 lett. b) del DPR 380/01. La condanna è stata confermata in appello.

L’imputato ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo la violazione del principio del ne bis in idem. A suo avviso, essendo già stato giudicato per la realizzazione di quel manufatto, la nuova azione penale doveva essere considerata improcedibile.

La questione giuridica e i limiti del ne bis in idem abuso edilizio

Il cuore della questione risiede nella natura del reato di abuso edilizio, qualificato come ‘reato permanente’. A differenza dei reati istantanei, che si esauriscono in un solo momento, la condotta illecita nel reato permanente si protrae nel tempo. La costruzione abusiva inizia con i primi lavori e cessa solo con l’ultimazione dell’opera o con la sospensione (volontaria o imposta, ad esempio tramite sequestro).

La difesa sosteneva che il fatto fosse ‘naturalisticamente unico’ e che, pertanto, il primo giudizio avesse ‘consumato’ l’azione penale. La Corte di Cassazione è stata chiamata a stabilire se la prosecuzione dei lavori dopo una sentenza definitiva costituisse una mera continuazione del fatto già giudicato o un fatto nuovo, autonomamente perseguibile.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, fornendo una motivazione dettagliata e in linea con il suo consolidato orientamento. I giudici hanno chiarito che, ai fini del principio del ne bis in idem, l’identità del fatto deve essere valutata considerando tutti gli elementi costitutivi: condotta, evento, nesso causale e circostanze di tempo e luogo.

Nel caso dei reati permanenti, il divieto di un secondo giudizio riguarda esclusivamente la condotta posta in essere e accertata fino al momento della sentenza irrevocabile. Qualsiasi prosecuzione o ripresa dell’attività illecita in un periodo successivo costituisce un fatto storico diverso, non coperto dal giudicato. In sostanza, la prima sentenza ‘fotografa’ la situazione fino a una certa data; ciò che accade dopo è una nuova vicenda giuridica.

La Corte ha inoltre osservato che il nuovo giudizio aveva messo in luce caratteristiche dell’opera diverse e più complesse rispetto a quelle valutate nel primo processo (una struttura con base in calcestruzzo e pannelli in alluminio, non solo in legno). Questo elemento ha ulteriormente rafforzato la conclusione che si trattasse di una vicenda distinta, superando anche le ragioni, peraltro errate, che avevano portato alla prima assoluzione.

Conclusioni: le implicazioni della sentenza

La sentenza in commento ribadisce un principio cruciale: una sentenza definitiva per abuso edilizio, sia essa di condanna o di assoluzione, non costituisce una ‘sanatoria’ che autorizza a proseguire impunemente la costruzione. Il principio del ne bis in idem abuso edilizio protegge l’imputato dall’essere processato due volte per la condotta commessa fino al primo giudicato, ma non offre alcuna immunità per le azioni illecite future, anche se relative allo stesso immobile. Chi prosegue o riprende un’attività edilizia abusiva dopo una sentenza definitiva commette un nuovo reato e può essere legittimamente sottoposto a un nuovo processo.

Una persona può essere processata di nuovo per abuso edilizio dopo essere stata assolta?
Sì, può essere processata di nuovo se la nuova accusa riguarda la prosecuzione o la ripresa dei lavori di costruzione avvenuta dopo che la precedente sentenza di assoluzione è diventata definitiva. Questa nuova attività costituisce un fatto diverso e non è coperta dal precedente giudicato.

Cosa si intende per reato permanente nel contesto dell’abuso edilizio?
Il reato di abuso edilizio è ‘permanente’ perché la condotta illecita non si esaurisce in un solo istante, ma continua per tutto il tempo in cui si svolge l’attività di costruzione abusiva. La permanenza cessa solo con l’ultimazione completa dei lavori o con la loro interruzione definitiva, volontaria o imposta.

Il principio del ‘ne bis in idem’ si applica se i nuovi lavori vengono eseguiti sulla stessa identica struttura edilizia?
No, non si applica. Secondo la Cassazione, il divieto di doppio processo riguarda il ‘fatto storico’ già giudicato. La prosecuzione dei lavori dopo una sentenza definitiva, anche sulla medesima struttura, costituisce un nuovo fatto storico, distinto dal precedente e quindi autonomamente perseguibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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