Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 47713 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 47713 Anno 2024
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
COGNOME NOMECOGNOME nata a Prato il 13.5.1981,
COGNOME NOMECOGNOME nato a Carmignano il 16.7.1955, contro la sentenza della Corte d’appello di Firenze del 21.11.2022;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla posizione degli odierni ricorrenti.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13.7.2016, il Tribunale di Prato – giudicando su varie vicende – aveva assolto NOME COGNOME e NOME COGNOME (oltre che NOME COGNOME) dalle condotte di appropriazione indebita pluriaggravata loro in concorso ascritte al capo C) della rubrica, per insussistenza del fatto;
la Corte d’appello di Firenze ha riformato la sentenza di primo grado affermando la responsabilità civile di NOME COGNOME e di NOME COGNOME in relazione al reato di cui al capo C) della rubrica – comunque estinto per prescrizione – ed ha condannato i predetti imputati al risarcimento dei danni patiti dalla parte civile Banco di Lucca e del Tirreno spa rimettendone la liquidazione al giudice civile;
ricorrono per cassazione, tramite un unico difensore ed un unico atto, NOME e NOME COGNOME deducendo:
3.1 inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza: rileva, infatti, la erroneità e l incomprensibilità della motivazione con cui la Corte territoriale ha respinto l’eccezione di tardività dell’appello della parte civile proposto con atto depositato in data 17.2.2017 ormai tardivamente rispetto al termine ultimo del 15 o, semmai, del 16 di quel mese;
3.2 inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si debba tener conto nell’applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato: richiama la motivazione con cui il giudice di primo grado aveva evidenziato che si era in presenza di un mutuo fondiario e non di un mutuo di scopo, con la conseguente impossibilità di configurare il delitto di appropriazione indebita attraverso la distrazione della somma erogata dal mutuante dalla sua destinazione; segnala la erroneità della motivazione con cui la Corte d’appello, evocando la “causa concreta” del contratto, ha dissentito dalla conclusione cui era pervenuto il primo giudice; ribadisce, tuttavia, la irrilevanza degli elementi evidenziati dalla Corte fiorentina ai fini della individuazione di un interesse proprio della banca alla destinazione finale della somma erogata; ribadisce, quindi, la distinzione tra mutuo fondiario e mutuo di scopo non ravvisabile nella vicenda in esame:
3.3 mancanza di motivazione in ordine alla consapevolezza, in capo agli odierni ricorrenti, della distrazione del denaro quale condotta di appropriazione indebita: rileva come il dato della amministrazione, da parte dei due ricorrenti, delle società coinvolte, non era idoneo a fondarne una responsabilità dal punto di vista civilistico;
la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla posizione degli odierni ricorrenti.
la difesa della costituita parte civile ha trasmesso una corposa memoria in replica alle considerazioni sviluppate dalla Procura Generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza va annullata, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Brescia, per nuovo giudizio.
Il primo motivo del ricorso è tuttavia infondato: la verifica degli atti, consentita e, anzi, imposta alla Corte che, in presenza di un’eccezione di natura processuale, GLYPH è GLYPH giudice GLYPH anche GLYPH del GLYPH “fatto” GLYPH (cfr., GLYPH in GLYPH tal GLYPH senso, Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, F., Rv. 273525 – 01: Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Chahid, Rv. 255304 – 01; conf., anche, Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092 – 01), ha consentito di appurare che la sentenza di primo grado, emessa in data 13 luglio 2016, aveva riservato il termine di novanta giorni per la motivazione che, tuttavia, era stata depositata successivamente; in data 3 gennaio 2017 era perciò intervenuta la comunicazione dell’avviso di deposito sicché, ai sensi del combinato disposto degli artt. 546 e 585 cod. proc. pen., il termine per proporre ricorso per cassazione era quello del 18.2.2017, entro il quale era pacificamente intervenuto.
Il secondo motivo, invece, è di per sé fondato.
2.1 NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati chiamati a rispondere, nelle qualità, la prima, di amministratore delegato della RAGIONE_SOCIALE (oltre che titolare del 50% della società RAGIONE_SOCIALE detentrice del capitale di RAGIONE_SOCIALE) e, il secondo, succeduto nella medesima carica a partire dal giugno del 2010, del delitto di appropriazione indebita; in particolare, secondo l’accusa, i due imputati avrebbero distratto la somma di euro 775.000 dalla disponibilità della medesima Immobiliare RAGIONE_SOCIALE – che tale somma aveva ricevuto quale parte del finanziamento erogato dal Banco Di Lucca e del Tirreno spa – con un meccanismo artatamente teso ad impossessarsi di quella somma; in particolare, la ricostruzione della vicenda restituita dalla lettura delle due sentenze di merito, era nel senso che la RAGIONE_SOCIALE aveva concluso un contratto preliminare di compravendita con RAGIONE_SOCIALE impegnandosi ad acquistare un immobile di proprietà della seconda cui aveva corrisposto una caparra
confirnnatoria pari ad euro 700.000 che era stata trattenuta dalla promissaria acquirente in conseguenza dell’inadempimento ingiustificato (e, invero, si assume preordinato) della controparte nel perfezionamento del contratto definitivo; in tal modo, RAGIONE_SOCIALE avrebbe acquisito l’importo sopraindicato di cui RAGIONE_SOCIALE era stata privata rendendo impossibile la restituzione alla banca mutuante (di parte) del finanziamento erogatole.
Il Tribunale di Prato aveva riconosciuto la natura sostanzialmente “fraudolenta” e “preordinata” dell’inadempimento della società promittente venditrice quale strumento per depauperare la RAGIONE_SOCIALE che, in tal modo, non sarebbe stata in grado di restituire il capitale mutuatole dalla Banca di Lucca e del Tirreno spa; ciò non di meno, aveva assolto gli imputati, odierni ricorrenti, dal delitto di appropriazione indebita sul rilievo – ritenuto assorbente secondo cui “… la somma erogata fosse riconducibile ad un mutuo fondiario non qualificabile quale mutuo di scopo …” atteso che “… la mancanza di tale finalizzazione della condotta e dunque l’impossibilità di ipotizzare, rispetto alla predetta somma di denaro, una vera e propria distrazione, non appare parimenti configurabile una condotta di appropriazione indebita che tale circostanza, ovvero la distrazione della somma dal suo originario scopo, presuppone quale elemento indefettibile” (cfr., pag. 26 della sentenza di primo grado).
Con affermazione risalente nel tempo ma ancora valida stante la medesinnezza del quadro normativo di riferimento, questa Corte ha affermato che la specifica indicazione del “denaro” (a fianco di quella, in forma alternativa, di “cosa mobile”), contenuta nell’art 646 cod. pen., consente di ritenere che il legislatore, allo scopo di evitare incertezze e di reprimere gli abusi e le violazioni del possesso del danaro, ha inteso chiaramente precisare che anche il denaro può costituire oggetto del reato di appropriazione indebita, atteso che anche il denaro, nonostante la sua “ontologica” fungibilità, può essere oggetto di trasferimento limitato al mero possesso, ovvero non accompagnato dal trasferimento della proprietà.
Ciò di norma si verifica, oltre che nei casi in cui sussista o si instauri un rapporto di deposito o un obbligo di custodia, nelle ipotesi di consegna del danaro con espressa limitazione del suo uso o con un preciso incarico di imprimere allo stesso una specifica destinazione o di impiegarlo per un determinato uso: in tutti questi casi il possesso del danaro non conferisce il potere di compiere atti di disposizione non autorizzati o, comunque, incompatibili con il diritto poziore del proprietario e, ove ciò avvenga, sussiste il delitto di appropriazione indebita (cfr., in tal senso, Sez. 2 , n. 56935 del 31/10/2018, COGNOME, Rv. 274257 – 01, in cui la Corte ha ritenuto ravvisabile il delitto di appropriazione indebita a carico del
mediatore di una compravendita immobiliare che, nonostante la mancata accettazione della proposta di acquisto, aveva trattenuto la somma di denaro consegnatagli dal proponente a garanzia della provvigione, spettante nel solo caso di conclusione dell’affare, perché tale condotta viola la specifica destinazione di scopo che alla somma hanno dato le parti; Sez. 5, n. 46475 del 26/05/2014, COGNOME, Rv. 260676 – 01, resa in un caso nel quale il consulente di una società si era appropriato di una somma di denaro destinata al soddisfacimento di un creditore sociale).
Con specifico riguardo alla acquisizione di somme di denaro in forza di un contratto di mutuo, si è allora affermato che, ai fini della configurabilità del delitt di appropriazione indebita, qualora oggetto della condotta sia il denaro, è necessario che l’agente violi, attraverso l’utilizzo personale, la specifica destinazione di scopo ad esso impressa dal proprietario al momento della consegna, non essendo sufficiente il semplice inadempimento all’obbligo di restituire somme in qualunque forma ricevute in prestito (cfr., così, Sez. 2, n. 24857 del 21/04/2017, Forte, Rv. 270092 – 01 in cui la Corte ha osservato che è proprio la peculiarità del contratto di mutuo a far sì che il denaro, per definizione, ed in forza dell’inequivocabile portata dell’art. 1814 cod. civ., transita in proprietà del mutuatario, il quale è libero di disporne secondo i propri voleri, con la conseguenza che la mancata restituzione, da parte sua, di quanto ricevuto non comporta alcuna interversione nel possesso idonea ad integrare l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 646 cod. pen.).
2.2 Proprio partendo da queste premesse, e tornando al caso di specie, la Corte d’appello ha riformato la sentenza di primo grado in punto di responsabilità civile degli odierni ricorrenti; ha in primo luogo ravvisato gli estremi del delitto d appropriazione indebita – di cui ha dichiarato la intervenuta estinzione per prescrizione – ma ha nel contempo affermato la responsabilità civile degli odierni ricorrenti giungendo a tale conclusione in forza di una diversa interpretazione del contratto di mutuo intercorso tra la RAGIONE_SOCIALE e la Banca di Lucca e del Tirreno RAGIONE_SOCIALE.
Più in particolare, la Corte d’appello ha spiegato che quello intercorso tra le parti (ovvero Banco Di Lucca RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) doveva qualificarsi, semmai, come un mutuo c.d. “di scopo” ovvero “… preordinato alla realizzazione di una finalità convenzionale, tale che la disponibilità finanziaria concessa al mutuatario è in vista della sua utilizzazione esclusiva allo scopo convenuto, sicché è esclusa ogni diversa volontaria destinazione delle somme” (cfr., pag. 12 della sentenza di secondo grado); con la conseguenza per cui, laddove al denaro venga data una destinazione diversa da quella convenuta, sussiste la possibilità di configurare, a carico del responsabile, il del
appropriazione indebita secondo le direttive ermeneutiche di cui si è dato conto in precedenza.
La pratica contrattuale conosce il mutuo di scopo convenzionale che, si è osservato, rappresenta una deviazione rispetto al tipo contrattuale dell’art. 1813 cod. civ., e che tuttavia può essere così definito solo allorché contenga una clausola con cui il mutuatario abbia assunto un obbligo specifico nei confronti del mutuante, in ragione dell’interesse di quest’ultimo – diretto o indiretto – ad una specifica modalità di utilizzazione delle somme per un determinato scopo, rivelandosi insufficiente a tal fine la mera indicazione dei motivi per i quali il finanziamento viene erogato; conseguentemente, solo nel primo caso la clausola di destinazione della somma mutuata incide sulla causa del contratto e la sua mancata realizzazione può dare luogo a nullità negoziale (cfr., Sez. 1 , Ord. n. 15695 del 05/06/2024, GLYPH Rv. 671533 GLYPH 01; Sez. 1 , Ord. n. 24699 del 19/10/2017, Rv. 647740 – 01).
Più in particolare, si è chiarito che il mutuo di scopo risponde alla funzione di procurare al mutuatario i mezzi economici destinati al raggiungimento di una determinata finalità, comune al finanziatore, la quale, integrando la struttura del negozio, ne amplia la causa rispetto alla sua normale consistenza, sia in relazione al profilo strutturale, perché il mutuatario non si obbliga solo a restituire la somma mutuata e a corrispondere gli interessi, ma anche a realizzare lo scopo concordato, mediante l’attuazione in concreto del programma negoziale, sia in relazione al profilo funzionale, perché nel sinallagma assume rilievo essenziale proprio l’impegno del mutuatario a realizzare la prestazione attuativa. La destinazione delle somme mutuate alla finalità programmata assurge pertanto a componente imprescindibile del regolamento di interessi concordato, incidendo sulla causa del contratto fino a coinvolgere direttamente l’interesse dell’istituto finanziatore, ed è perciò l’impegno del mutuatario a realizzare tale destinazione che assume rilevanza corrispettiva, non essendo invece indispensabile che il richiamato interesse del finanziatore sia bilanciato in termini sinallagmatici, oltre che con la corresponsione della somma mutuata, anche mediante il riconoscimento di un tasso di interesse agevolato al mutuatario (cfr., così, Sez. 1 , Ord. n. 15929 del 18/06/2018, Rv. 649529 – 01).
Il momento perfezionativo del mutuo (contratto reale ad efficacia obbligatoria) coincide, di regola, con la cd. “traditio” – con la consegna, cioè, del denaro al mutuatario che ne acquista la proprietà -, ovvero con il conseguimento della disponibilità giuridica della “res” da parte di quest’ultimo, per effetto della creazione, da parte del mutuante, di un autonomo titolo di disponibilità, tale da determinare l’uscita della somma dal proprio patrimonio e l’acquisizione della
medesima al patrimonio della controparte, a prescindere da ogni successiva manifestazione di volontà del mutuante; viceversa, il cd. “contratto di finanziamento” (o mutuo di scopo, legale o convenzionale) rappresenta una fattispecie negoziale consensuale, onerosa ed atipica, che (al pari dell’apertura di credito) assolve essenzialmente ad una funzione creditizia, con la conseguenza che, specie nella ipotesi di finanziamento legale (nel quale sono già individuati i soggetti erogatori ed i beneficiari del finanziamento), la consegna della somma rappresenta l’esecuzione dell’obbligazione principale, anziché (come nel mutuo) l’elemento costitutivo del contratto, onde “l’appartenenza della intera somma, salvo i ratei già materialmente riconosciuti e corrisposti, è riferibile non al soggetto finanziato ma all’ente finanziatore (cfr., così, Sez. 1, n. 7116 del 21/07/1998, Rv. 517363 – 01).
In definitiva, il mutuo di scopo si differenzia dallo schema tipico del contratto di mutuo dal punto di vista strutturale, considerato che colui che la riceve si obbliga non solo a restituire la somma mutuata e a corrispondere gli interessi, ma anche a realizzare lo scopo previsto con l’attuazione in concreto dell’attività programmata; è importante sottolineare che dal punto di vista funzionale, nel sinallagma assume rilievo essenziale anche quest’ultima prestazione, in termini corrispettivo dell’ottenimento della somma erogata (cfr., Cass. n. 5805-94; Cass. n. 7116-98), dovendosi escludere ogni diversa volontaria destinazione delle somme, ivi compresa, in particolare, quella della estinzione di pregresse passività del mutuatario.
Nel mutuo “di scopo” convenzionale è insomma sempre necessario che la clausola di destinazione della somma mutuata, incidendo sulla causa del contratto, finisca per coinvolgere direttamente anche l’interesse dell’istituto finanziatore; non è sufficiente, cioè, che il contratto indichi la destinazione delle somme erogate nell’interesse del mutuatario, che finirebbe per dar rilievo ai “motivi” del negozio, di per sé non incidente e non idonea a modificare il tipo contrattuale.
Si è invece in presenza di un mutuo “di scopo” quando sia rinvenibile un obbligo specifico del mutuatario nei confronti del mutuante, in funzione di uno effettivo interesse di quest’ultimo – diretto o indiretto – alla specifica modalità di utilizzazione delle somme per un determinato scopo; l’elemento caratterizzante è dato dal fatto che una somma di danaro viene concessa al mutuatario esclusivamente per raggiungere una determinata finalità, condivisa dal mutuante, la quale in tal modo entra a far parte del sinallagma contrattuale (cfr. Cass. n. 317-01 e prima ancora Cass. n. 2876-88).
In una fattispecie di mutuo fondiario la giurisprudenza civile di questa Corte ha affermato che, ai fini della corretta qualificazione del contratto e, in particolare, della individuazione di uno diretto interesse del mutuante alla specifica
destinazione della somma erogata non è di per sé dirimente l’elemento che, invece, è stato considerato nella sentenza qui impugnata, ovvero il fatto che la erogazione della somma mutuata dovesse avvenire in diverse “tranche” corrispondenti agli stati di avanzamento dei lavori “… giacché l’interesse dell’azienda di credito era semmai esclusivamente quello di ottenere la restituzione della somma erogata ed il controllo dell’oggetto della garanzia ipotecaria prestata dalla debitrice”; si è chiarito che “quanto alla corresponsione delle ulteriori quote dei mutui a stati di avanzamento lavori, è evidente che la previsione contrattuale venne fatta nell’esclusivo interesse della Banca, al fine di conservare un adeguato scarto tra il valore del cespite sottoposto ad ipoteca e le somme prestate alla mutuataria» atteso che il mutuo fondiario presuppone la erogazione di un finanziamento a medio-lungo termine con prestazione di garanzia ipotecaria, in cui l’interesse precipuo della banca, ove l’immobile non sia ancora costruito, e precipuamente quello di non vedere svalorizzata la garanzia reale ricevuta in relazione al finanziamento concesso” (cfr., Sez. III, 14.4.2021 n. 9838).
2.3 Come accennato la Corte d’appello di Firenze ha valorizzato, ai fini della qualificazione come mutuo “di scopo”, il dato “… costituito dal programma contrattuale in cui erano previsti tempi e modi per le singole rate di mutuo, da erogare in base ai vari stati di avanzamento dei lavori” indice, secondo i giudici fiorentini, “… dell’interesse dell’istituto bancario a realizzare l’opera che aveva sovvenzionato …” (cfr., pag. 12 della sentenza).
Si tratta, tuttavia, come si è visto, di un elemento non necessariamente dirimente, di per sé, ad evidenziare un interesse diretto dell’istituto alla realizzazione dell’opera tale da riflettersi sulla causa concreta del negozio modificandone la tipicità delineata dagli artt. 1813 e ssgg. cod. civ. nei termini in cui si è detto in precedenza.
La sentenza impugnata va dunque annullata con rinvio al giudice civile competente in grado di appello per nuovo giudizio sul punto, dovendosi verificare, con una indagine tipicamente “di merito”, quale sia stato l’effettivo regolamento degli interessi dedotto nel contratto alla luce del complesso delle clausole in cui si è articolato l’accordo delle parti e, in particolare, se la destinazione del finanziamento erogato alla società mutuataria fosse individuata anche nell’interesse dell’istituto mutuante.
Detto questo, il giudice del rinvio dovrà anche verificare l’effettiva e concreta incidenza della questione sul piano degli interessi civili dell’istituto di credito.
E’ vero che – come puntualmente evidenziato nelle due sentenze di merito (cfr., pagg. 25-26 della sentenza di primo grado e pag. 12 della sentenza d’appello e, invero, diffusamente evidenziato dalla difesa della parte civile nella memoria da
ultimo trasmessa) – la condotta distrattiva descritta al capo C) è direttamente e funzionalmente collegata a quella truffaldina di cui al capo A); ma è pur vero che l’imputazione di cui i due odierni ricorrenti erano stati chiamati a rispondere era quella di appropriazione indebita in danno non già del Banco di Lucca e del Tirreno spa ma della RAGIONE_SOCIALE dal cui patrimonio, con la condotta ivi descritta, sarebbe stata “distratta” la somma di 775.000 euro in favore di RAGIONE_SOCIALE; il pregiudizio patrimoniale dell’istituto mutuante, in definitiva, secondo la ricostruzione operata dal PM e condivisa dai giudici di merito, sarebbe conseguente alla ritenuta impossibilità, per la RAGIONE_SOCIALE una volta privata delle risorse sopra indicate, di far fronte alla restituzione del mutuo che le era stato concesso.
In altri termini, la condotta di appropriazione indebita contestata al capo C) avrebbe finito per determinare un pregiudizio “riflesso” e, per altro verso, condizionato dalla effettiva e concreta verifica della definitiva impossibilità, per la società predetta, di far fronte ai propri obblighi nei confronti della banca costituitasi parte civile.
Si tratterà, allora, di verificare il tenore della domanda risarcitoria avanzata dall’istituto di credito saggiandone la eventuale fondatezza alla luce delle suesposte considerazioni.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo giudizio, al giudice civile competente per valore in grado d’appello, cui rimette anche la regolamentazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.
Così deciso in Roma, il 14.11.2024