Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27067 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27067 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a COSENZA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/09/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che l’imputato COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza con cui la Corte di Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Cosenza di condanna del reato di diffamazione;
Rilevato che il motivo unico di ricorso – con cui il ricorrente denunzia inosservanza dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. in relazione alla qualificazione del fatto d reato – è manifestamente infondato in quanto non si ravvisa alcuna diversità tra l’addebito condensato nel capo di imputazione e quello concernente la condanna quale direttore responsabile del sito ove l’articolo era stato pubblicato;
A questo riguardo, giova precisare che la lettura del combinato disposto degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. non può prescindere dall’esegesi che ne ha offerto questa Corte, anche a Sezioni Unite. Secondo il Supremo consesso, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205619; in termini, cfr. Sez. 3, n. 7146 del 04/02/2021, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 281477; Sez. 2, n. 34969 del 10/05/2013, COGNOME e altri, Rv. 257782; Sez. 5, n. 9347 del 30/01/2013, COGNOME e altro, Rv. 255230; Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012, dep. 2013, COGNOME e altri, Rv. 254888; nonché le motivazioni di Sez. 5, n. 31680 del 22/05/2015, COGNOME, Rv. 264673).
Volendo schematizzare al massimo il principio enunciato, ciò che rileva, dunque, non è il dato “secco” dell’assenza, nella contestazione, del segmento fattuale per cui è intervenuta condanna, ma la concreta verifica se, rispetto a questo novum, l’imputato abbia potuto esercitare le proprie prerogative difensive, prerogativa di cui certamente il prevenuto ha goduto allorché ha posto la questione della riferibilità soggettiva della condotta.
Rilevato, inoltre, che il ricorso sarebbe comunque inammissibile perché non vi era motivo di appello sulla diversità del fatto, né l’eccezione risulta formulata nel corso del giudizio di appello, donde trova applicazione il principio, sedimentato nella giurisprudenza
di questa Corte, secondo cui tale nullità è di ordine generale a regime intermedio (ex multis, Sez. 4, n. 19043 del 29/03/2017, Privitera, Rv. 269886; Sez. 5, n. 572 del 30/09/2013, dep. 2014, Scafo e altro, Rv. 258709); da ciò ulteriormente consegue che essa, a norma dell’art. 180 cod. proc. pen., se si è verificata nel giudizio, può essere rilevata – o eccepita fino alla sentenza del grado successivo.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 25 giugno 2024.