Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 19636 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 19636 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/02/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Ricorso trattato ai sensi dell’art. 23 comma 8 D.L. 137/2020.
RITENUTO IN FATTO
1.11 sig. NOME COGNOME ricorre per l’annullamento della sentenza del 22 febbraio 2023 della Corte di appello di Catania che, in riforma della sentenza del 10 dicembre 2020 del Tribunale di Catania’ pronunciata a seguito di giudizio ordinario e da lui impugnata, ha rideterminato la pena nella misura di due anni e otto mesi di reclusione e 8.000,00 euro di multa, pena detentiva sostituita con quella della detenzione domiciliare, confermando nel resto la condanna per il reato di cui agli artt. 110, 112, comma primo, n. 4), cod. pen., 73, comma 4, 80, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 309 del 1990, a lui ascritto perché, in concorso con persona minorenne, deteneva 75 grammi di sostanza stupefacente del tipo marijuana destinati ad uso non esclusivamente personale; fatto contestato come commesso in Catania il 24 ottobre 2012.
1.1.Con il primo motivo deduce la violazione di legge in relazione al rigetto della richiesta di definizione del processo con rito abbreviato avanzata a seguito della modifica del capo di imputazione e della notifica del verbale dell’udienza nella quale il Pubblico ministero aveva proceduto alla modifica stessa.
1.2.Con il secondo motivo deduce il malgoverno dell’art. 507 cod. proc. pen. in quanto norma non applicabile per supplire le carenze e le inerzie delle parti e, segnatamente, del Pubblico ministero che aveva rinunciato ai testimoni della propria lista perché indicati per errore.
1.3.Con il terzo motivo deduce l’erronea applicazione e l’inosservanza della norma incriminatrice sussistendo, al più, il reato di favoreggiamento di cui all’art. 378 cod. pen.
1.4.Con il quarto motivo deduce l’erronea applicazione dell’art. 80, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 309 del 1990, non emergendo dagli atti che egli fosse a conoscenza della minore età del concorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2.11 ricorso è inammissibile.
3.Per aversi mutamento del fatto ai sensi dell’art. 521 cod. proc. pen., occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. Ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel
pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso I”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205619).
3.1.Se la modifica del capo di imputazione è finalizzata a rendere coerente il fatto che già risulta agli atti, ed è perciò già noto all’imputato (o comunque a lui conoscibile), con quello descritto dalla rubrica, non si determina alcuna mutazione del fatto rilevante ai sensi dell’art. 516 cod. proc. pen., poiché non muta il fatto contestato sul quale si è radicato il contraddittorio. Sicché occorre tenere ben distinta la mutazione della descrizione del fatto, identico nella sua storicità, rispetto alla mutazione del fatto in sé. Solo quando si verifica quest’ultima modifica è necessario verificare se ed in che modo essa possa determinare una lesione del contraddittorio e del diritto di difesa; non altrettanto quando si tratta di emendare un errore materiale (nel senso che integra una mera correzione dell’errore materiale contenuto nel capo di imputazione ex art. 130 cod. proc. pen., e non una modifica dello stesso rilevante ai sensi dell’art. 516 cod. proc. pen., la precisazione nel corso del processo della data di commissione del reato e del nominativo dell’acquirente delle sostanze, non comportando la stessa un significativo cambiamento dei tratti essenziali della contestazione tale da incidere sulla possibilità di individuazione del fatto da parte dell’imputato e sul conseguente esercizio del diritto di difesa, Sez. 3, n. 29405 del 04/04/2019, Cordaro, Rv. 276547 – 01, che ha aggiunto che il difensore che, nell’atto d’impugnazione, deduca l’avvenuta modifica del fatto contestato, ha comunque l’onere di allegare specificamente il concreto pregiudizio subito).
3.2.Nel caso di specie, la Corte di appello ha escluso la mutazione del fatto rilevando che le informazioni contenute nella rubrica e quelle rilevabili dagli atti (in particolare dalla relazione di analisi della sostanza stupefacente) erano più che sufficienti per far comprendere all’imputato l’oggetto dell’accusa e l’errore materiale nel quale era incorso il PM che, nella rubrica, aveva indicato il numero di dosi estraibili dal campione di analisi della sostanza sequestrata (25,9) invece che dal quantitativo complessivo della sostanza stessa (311) (nel senso che il mutamento, ritenuto in sentenza, del dato qualitativo e quantitativo della sostanza stupefacente oggetto di contestazione, a fronte dell’identità del nucleo essenziale della condotta – nella specie, trasporto di ovuli di sostanza stupefacente occultati nell’intestino dall’imputato – non viola il principio di cui all’art. 521 cod. proc. pen., non incidendo tale diversità in modo significativo sul fatto e non pregiudicando le possibilità di difesa dell’imputato, ove lo stesso ne
sia stato a conoscenza sulla base degli atti di indagine, cfr. Sez. 3, n. 7146 del 04/02/2021, Ogbeifun, Rv. 281477 – 01).
3.3.Non viola, dunque, il principio di correlazione tra imputazione e sentenza la correzione, nel capo di imputazione, del numero di dosi estraibili dall’immutato quantitativo della medesima sostanza stupefacente e risultante dagli atti di indagine contenuti nel fascicolo del Pubblico ministero. Correttamente, di conseguenza, è stata esclusa la possibilità dell’imputato di essere rimesso in termini per chiedere il giudizio abbreviato sol perché il pubblico ministero aveva corretto il capo di imputazione adeguandone un aspetto accessorio a quel che già risultava dal proprio fascicolo.
4.11 secondo motivo è manifestamente infondato.
4.1.Costituisce principio di diritto consolidato da oltre un trentennio quello secondo il quale il potere del giudice di disporre anche di ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. sussiste anche nel caso in cui non vi sia stata in precedenza alcuna “acquisizione delle prove” (Sez. U, n. 11227 del 06/11/1992, Martin, Rv. 191607 – 01, che ha evidenziato che le parole “terminata l’acquisizione delle prove”, con le quali esordisce l’art. 507 cod. proc. pen., indicano il momento dell’istruzione dibattimentale in cui può avvenire l’ammissione delle nuove prove e non invece il presupposto per l’esercizio del potere del giudice).
4.2.Si tratta di principio ribadito da Sez. U, n. 41281 del 17/10/2006, Rv. 234907, secondo cui il giudice può esercitare il potere di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova, previsto dall’art. 507 cod. proc. pen., anche con riferimento a quelle prove che le parti avrebbero potuto richiedere e non hanno richiesto.
4.3.Spiega la Corte in motivazione che «il nuovo codice, pur richiamandosi ad un modello processuale che fa riferimento al c.d. “processo di parti” non abbia peraltro inteso accogliere integralmente il principio dispositivo che pur caratterizza questo tipo di processo. Del resto questo principio neppure è integralmente accolto nel processo civile – tipico processo di parti nel quale il principio dispositivo trova la sua più ampia applicazione – nel quale il giudice è dotato (art. 115 c.p.c.) di ampi poteri officiosi nella disponibilità delle prove, sia pure nei soli casi previsti dalla legge, peraltro numerosi ed incisivi (interrogatorio non formale delle parti: art. 117; ispezione di persone e di cose: art. 118; nomina di consulente tecnico: art. 191; richiesta d’informazioni alla p.a.: art. 213; assunzione di testi de relato: art. 257 ecc.). Coerentemente quindi l’art. 507 c.p.p. conferma come questa opzione nel processo penale non sia stata piena e incondizionata (…) sull’assetto codicistico non ha influito la recente riforma dell’art. 111 della Costituzione che ha accentuato esclusivamente quello
che costituisce il principio fondante del processo accusatorio – la formazione della prova nel contraddittorio delle parti – ma nulla ha innovato sul principio dispositivo che, pur essendo uno dei principi cui si ispirano i sistemi accusatori, non li caratterizza in modo così decisivo come i criteri che riguardano la formazione della prova (…) questo assetto si inserisce in un sistema caratterizzato dall’obbligatorietà dell’azione penale che impone una costante verifica dell’esercizio dei poteri di iniziativa del pubblico ministero, e quindi anche delle sue carenze od omissioni. Una limitazione dei poteri probatori officiosi del giudice sarebbe idonea a vanificare il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale e si porrebbe in palese contraddizione con l’esistenza degli amplissimi poteri del giudice in tema di richiesta di archiviazione del pubblico ministero. E ciò spiega anche la differenza con quanto avviene nei sistemi accusatori di common law – nei quali le deroghe al principio dispositivo sono inesistenti (o assolutamente eccezionali) – essendo, questa disciplina processuale, ricollegata alla disponibilità dell’azione penale da parte del pubblico ministero che può rinunziare ad essa, di fatto, anche con la mancata richiesta di ammissione delle prove» (nel senso che il processo penale costituisce strumento, non disponibile dalle parti, destinato all’accertamento giudiziale dei fatti di reato e delle relative responsabilità, cfr. Corte cost. sent. n. 361 del 1998)» (nel senso che il giudice ha pur sempre il potere di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova ex art. 507 cod. proc. pen. anche con riferimento a prove testimoniali indicate in liste depositate tardivamente, trattandosi di potere funzionale a garantire il controllo giudiziale sull’esercizio dell’azione penale e sul suo sviluppo processuale, ovvero sulla completezza del compendio probatorio su cui deve fondarsi la decisione, Sez. 2, n. 46147 del 10/10/2019, Rv. 277591, secondo cui l’assegnazione al giudice di tale potere non è in contrasto con le indicazioni della Costituzione e della Corte EDU, che si limitano a garantire il contraddittorio nella formazione della prova, ma non inibiscono il controllo sulla completezza del compendio probatorio, necessario correlato della indisponibilità dell’azione penale, conseguente al riconoscimento della natura ultraindividuale degli interessi tutelati dalla giurisdizione penale; in senso conforme, Sez. 4, n. 22033 del 12/04/2018, Rv. 273267; Sez. 5, n. 32017 del 16/03/2018, Rv. 273643; Sez. 3, n. 38222 del 25/05/2017, Rv. 270802). Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
5.11 terzo motivo costituisce riedizione letterale del corrispondente motivo di appello ed è dunque inammissibile, tale essendo il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di
ricorso (Sez. 2, n. 42406 del 17/07/2019, Rv. 277710 – 01; Sez. 6, n. 20377 dell’11/03/2009, Rv. 243838 – 01; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Rv. 231708 – 01; Sez. 6, n. 12 del 29/10(1996, dep. 1997, Rv. 206507 – 01).
La questione di diritto posta dal ricorrente prescinde completamente dalla ricostruzione del fatto operata dalla Corte di appello (e prima ancora il Tribunale) che ha escluso la sussistenza del favoreggiamento sul rilievo che l’attività illecita posta in essere dal concorrente minore d’età costituiva attuazione di un accordo preso in precedenza con l’odierno ricorrente che a tal fine gli aveva messo a disposizione il proprio motociclo utilizzato per svolgere l’attività in questione.
6.A non diversi rilievi si espone l’ultimo motivo che ripropone il tema della ignoranza della minore età del correo, tesi cilisattesa dalla Corte di appello con argomenti (il rapporto di amicizia tra i due, datato nel tempo) nemmeno sfiorati dal ricorrente.
7.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 01/02/2024.