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Mutamento del fatto: quando è legittimo negarlo?

Un imputato, condannato per detenzione di stupefacenti in concorso con un minorenne, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando un presunto mutamento del fatto nell’imputazione che gli avrebbe precluso l’accesso al rito abbreviato. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, chiarendo che la semplice correzione di un errore materiale nel capo d’imputazione, che non altera la sostanza dell’accusa e non pregiudica il diritto di difesa, non costituisce un mutamento del fatto rilevante ai fini processuali.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Mutamento del Fatto: Quando una Modifica dell’Imputazione è Solo una Correzione?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19636/2024, offre un’importante lezione sulla distinzione tra una mera correzione dell’imputazione e un vero e proprio mutamento del fatto. Questo principio è cruciale per i diritti della difesa, poiché solo una modifica sostanziale dell’accusa può riaprire i termini per la scelta di riti alternativi, come il giudizio abbreviato. La vicenda riguarda un caso di detenzione di stupefacenti aggravata dalla partecipazione di un minorenne.

I Fatti del Caso: Detenzione di Stupefacenti e Concorso con un Minore

Un individuo veniva condannato in primo e secondo grado per aver detenuto, in concorso con una persona minorenne, 75 grammi di marijuana destinati a un uso non esclusivamente personale. La Corte d’Appello aveva riformato parzialmente la pena, rideterminandola in due anni e otto mesi di reclusione e 8.000 euro di multa, sostituendo la detenzione carceraria con quella domiciliare.
L’imputato decideva di ricorrere in Cassazione, affidando la sua difesa a quattro distinti motivi.

I Motivi del Ricorso e l’Analisi del mutamento del fatto

Il ricorrente lamentava diversi vizi della sentenza impugnata, ma il fulcro della questione ruotava attorno al primo motivo, relativo al presunto mutamento del fatto.

La questione del rito abbreviato

L’imputato sosteneva che una modifica del capo di imputazione, avvenuta nel corso del processo, avrebbe dovuto consentirgli di richiedere il rito abbreviato, richiesta che gli era stata invece negata. La difesa argomentava che tale modifica avesse alterato l’accusa in modo sostanziale.

I poteri del giudice e le altre contestazioni

Gli altri motivi di ricorso riguardavano:
1. Il presunto malgoverno dell’art. 507 c.p.p., per aver il giudice ammesso d’ufficio delle prove a cui il Pubblico Ministero aveva rinunciato.
2. L’erronea qualificazione giuridica del fatto, che a dire della difesa doveva essere inquadrato come favoreggiamento (art. 378 c.p.) e non come concorso in detenzione di stupefacenti.
3. L’erronea applicazione dell’aggravante della partecipazione di un minore, sostenendo che l’imputato non fosse a conoscenza della minore età del correo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, smontando punto per punto le argomentazioni della difesa e fornendo chiarimenti di grande rilevanza processuale.

Il Collegio ha spiegato che per aversi un mutamento del fatto ai sensi dell’art. 521 c.p.p., è necessaria una “trasformazione radicale” della fattispecie concreta. Non basta un semplice confronto letterale tra la vecchia e la nuova imputazione. La violazione sussiste solo se l’imputato si trova concretamente impossibilitato a difendersi a causa di un’incertezza sull’oggetto dell’accusa.

Nel caso specifico, la modifica apportata dal Pubblico Ministero non era sostanziale. Si trattava di una mera correzione di un errore materiale: era stato indicato il numero di dosi estraibili (25,9) invece del quantitativo complessivo della sostanza (311), un dato peraltro già presente e conoscibile negli atti del fascicolo. Questa rettifica, secondo la Corte, non ha alterato il nucleo essenziale della condotta contestata né ha pregiudicato in alcun modo le possibilità di difesa dell’imputato. Pertanto, la decisione di non rimetterlo in termini per la richiesta di rito abbreviato è stata ritenuta corretta.

Per quanto riguarda gli altri motivi, la Corte li ha liquidati come manifestamente infondati o come mera riproposizione di argomenti già disattesi in appello. Ha ribadito il consolidato principio secondo cui il giudice ha il potere di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova (art. 507 c.p.p.) per garantire la completezza dell’accertamento, anche se le parti non lo hanno richiesto. Infine, le questioni sulla qualificazione del reato e sulla conoscenza della minore età del correo sono state giudicate come tentativi di rimettere in discussione l’accertamento dei fatti, operazione preclusa in sede di legittimità.

Conclusioni

La sentenza n. 19636/2024 ribadisce un principio fondamentale: non ogni modifica all’imputazione costituisce un “mutamento del fatto” idoneo a ledere il diritto di difesa. Una semplice emendatio libelli, ovvero una correzione di errori materiali o di dettagli che non intaccano il cuore dell’accusa, non giustifica la riapertura di termini processuali. Per la difesa, ciò significa che è necessario dimostrare un pregiudizio concreto e specifico derivante dalla modifica, non potendosi limitare a una contestazione formale. Per l’accusa e per il giudice, la pronuncia conferma la possibilità di precisare e adeguare la contestazione ai dati emersi, purché l’identità storica del fatto contestato rimanga invariata.

Quando una modifica del capo d’imputazione costituisce un “mutamento del fatto”?
Secondo la Corte, si ha un “mutamento del fatto” solo quando avviene una trasformazione radicale degli elementi essenziali della contestazione, tale da generare un’incertezza sull’oggetto dell’accusa e un reale pregiudizio per i diritti della difesa. Una mera correzione di un errore materiale, come la precisazione di un quantitativo già risultante dagli atti, non costituisce mutamento del fatto.

Il giudice può assumere nuove prove se le parti non lo hanno chiesto o vi hanno rinunciato?
Sì. La sentenza ribadisce il principio consolidato secondo cui il potere del giudice di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova, ai sensi dell’art. 507 c.p.p., sussiste per garantire la completezza dell’istruttoria e non è subordinato né a una precedente attività istruttoria né alle richieste delle parti.

È sufficiente riproporre in Cassazione gli stessi motivi dell’appello per ottenere un annullamento della sentenza?
No. Il ricorso per cassazione basato sulla pedissequa reiterazione di motivi già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito è considerato inammissibile. Il ricorso deve contenere una critica argomentata e specifica contro la sentenza impugnata, non una semplice ripetizione delle stesse doglianze.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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