Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5153 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5153 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Visciano NOME nata a Boscotrecase il 24/12/1957
avverso la sentenza del 16/05/2024 della Corte d’appello di Napoli Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che, nel riportarsi alla requisitoria scritta già depositata, ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore presente, Avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 16 maggio 2024, la Corte d’appello di Napoli , in parziale riforma della sentenza del 28 settembre 2023 del Tribunale di Torre Annunziata, appellata da NOME COGNOME, revocava l’ordine di demolizione e di riduzione in pristino dello stato dei luoghi impartito in relazione ai manufatti relativi ai reati dichiarati estinti per prescrizione di cui ai punti 1 e 2 del capo a) della rubrica, confermando nel resto l’appellata sentenza che l’aveva riconosciuta colpevole dei reati edilizi (capo e),
antisismici (capo c), in materia di conglomerato cementizio armato (capo b), paesaggistici (capo d) nonché per la contravvenzione di distruzione od alterazione di bellezze naturali (capo e), in relazione a fatti accertati in data 5 agosto 2019.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia della ricorrente, articolando cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173, disp. att., cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 31, 44 e 6, d.P.R. n. 380 del 2001, per aver ritenuto l’opera, consistente nel solo movimento di terreno agricolo, in assenza di opere edilizie, tra cui opere di contenimento, eseguita in assenza di permesso di costruire, come costituente realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi, dovendosi ritenere che l’opera richieda un titolo autorizzativo non rafforzato.
In sintesi, si osserva che le emergenze istruttorie non autorizzerebbero a ritenere che le opere di movimento terra accertate configurino la realizzazione di un intervento edilizio sussumibile nell’articolo 31 del DPR n. 380 del 2001. L’attività in esame sarebbe costituita dal solo spostamento di terreno dalla zona sottostante verso quella apicale di una parte, pari a 270 mq., del più ampio fondo agricolo, ma, in totale assenza di opere edilizie, l’argomento utilizzato in sentenza (secondo cui l’entità dell’area interessata ai lavori indurrebbe a ritenere in maniera altamente verosimile che la stessa fosse propedeutica a un livellamento alla medesima quota delle unità abitative, così da rendere fruibile anche quella parte di terreno), affermazione non discendente da un’analisi fattuale ma dalle sole dichiarazioni del teste COGNOME in assenza di elementi ulteriori deponenti a favore della finalizzazione dell’opera, nulla consentirebbero di inferire a proposito delle intenzioni dell’imputata. Poiché l’osservazione fenomenica dei luoghi al momento dell’accertamento permetterebbe di riscontrare oggettivamente solo lo spostamento di una massa di terreno ma non certo opere edilizie, l’istituto giuridico che viene in rilievo sarebbe costituito dall’articolo 6 del DPR n. 380 del 2001. Si tratterebbe dunque di opere che, in quanto configuranti una manutenzione ordinaria non comportante l’alterazione permanente dello stato dei luoghi, non sarebbero soggette a permesso di costruire.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di illogicità della motivazione e travisamento dei fatti nella parte in cui la sentenza ha ritenuto, con giudizio di elevata verosimiglianza e omettendo di motivare su argomenti difensivi esposti in appello, che l’intervento di movimento terra, peraltro realizzato su fondo agricolo in assenza di opere
edilizie, fosse finalizzato a riportare parte del fondo alla medesima quota di altra parte dello stesso per renderlo maggiormente fruibile.
In sintesi, si censura il parametro di giudizio applicato dalla Corte d’appello in termini di elevata verosimiglianza , parametro che non solo non raggiunge i livelli di certezza, ma si mostra puramente ipotetico in quanto sganciato dagli elementi oggettivi emersi dall’istruttoria, quali l’assenza di opere strutturali destinate a conferire stabilità al presunto intervento edilizio abusivo, tenuto conto peraltro del significativo lasso temporale intercorrente tra la più risalente data accertata di completamento di opere presenti in altra zona del fondo che non permetterebbe di affermare alcun collegamento tra le stesse. Su tali temi la sentenza avrebbe del tutto omesso di confrontarsi, come anche sugli ulteriori fatti segnalati anche nella consulenza tecnica di parte, quali la non alterata destinazione agricola del fondo e la pressoché totale assenza di infrastrutture quali viottoli, strade anche interpoderali, ossia una configurazione complessiva che renderebbe praticamente incomprensibile in quanto assertiva l’affermazione contenuta in sentenza secondo cui l’opera avrebbe avuto l’obiettivo di rendere più servibile l’area alla zona oggetto di pregresse edificazioni.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 521 e 523 cod. proc. pen. e correlato vizio di carenza assoluta di motivazione per quanto attiene alla entità dell’opera di movimento terra oggetto di contestazione, per aver affermato la sentenza che il riempimento di terreno fosse di 900 m³, a fronte della contestazione che invece riferiva di un volume di 600 m³, tenuto conto peraltro dell’avvenuto ripristino.
In sintesi, si osserva come, in sede d’appello, residuava carico della ricorrente soltanto la contestazione di aver realizzato sul lato est del fondo un terrapieno di 600 metri cubi circa di terreno su una superficie di 300 metri quadri. Nonostante le censure dell’atto d’appello, la sentenza avrebbe continuato a sostenere che il riempimento di terreno fosse di 900 m³ confermando la sanzione accessoria del ripristino. Quanto sopra renderebbe evidente la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza con la contestazione, violazione enfatizzata dalla assoluta carenza motivazionale rispetto a quanto eccepito nell’atto di appello e dal plateale travisamento della puntuale ricostruzione dei luoghi da parte del consulente della difesa. La sentenza avrebbe omesso del tutto di confrontarsi con le censure espresse nell’atto d’appello, in cui si era richiamato testualmente il criterio di calcolo eseguito dal consulente Barba per determinare il volume di ripristino durante la fase delle indagini. L’affermazione contenuta nella sentenza, secondo cui il consulente avrebbe quantificato lo sversamento in 300 m³ senza offrire elementi adeguati a supporto di tale calcolo, non avrebbe tenuto conto della relazione e del contributo dichiarativo dell’esperto, limitandosi a riferire in maniera tautologica dell’assenza di adeguati elementi di calcolo pur in presenza di grafici e rilievi
affiliati alla relazione. Si aggiunga, peraltro, come, durante la fase delle indagini, l’imputato avrebbe provveduto al ripristino dell’opera, sicché non troverebbe alcun riscontro documentale l’affermazione secondo cui, essendo stato eseguito solo il ripristino parziale, sarebbero stati riapposti i sigilli, visto che il sequestro venne revocato il 19 giugno 2019 dal pubblico ministero e mai più applicato.
2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di violazione di legge per la mancata revoca dell’ordine di ripristino dello stato dei luoghi e correlata censura di indeterminatezza della misura del ripristino.
In sintesi, si sostiene che andrebbe revocato l’ordine di ripristino dello stato dei luoghi che, oltre ad essere stato già interamente eseguito, sarebbe caratterizzato da una assoluta genericità ed indeterminatezza, inattuabile anche in fase di esecuzione.
2.5. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di violazione di legge e correlato vizio di motivazione apparente in relazione all’articolo 164 cod. pen. nella parte in cui la sentenza ha subordinato la sospensione condizionale della pena al ripristino dell’opera, alla luce di una motivazione inadeguata e meramente assertiva.
In sintesi, premette la difesa che con l’atto d’appello si era richiesta la revoca della statuizione nel primo giudice con cui la sospensione condizionale della pena veniva subordinata al ripristino dello stato dei luoghi. Nonostante la premessa in diritto operata dai giudici d’appello, gli argomenti utilizzati sarebbero meramente apparenti, coincidenti con l’accertamento dell’omesso ripristino dell’opera anche dinanzi all’omologa ingiunzione adottata dall’autorità amministrativa e con l’osservazione dell’entità dell’opera abusiva. Tale tecnica motivazionale, oltre a confondere le differenti finalità e i presupposti della sanzione accessoria e della sospensione condizionale della pena, contrasterebbe con l’orientamento prevalente espresso dalla giurisprudenza di questa Corte, di cui vengono citati in ricorso alla pagina 14 i relativi estremi.
In data 30/12/2024 sono state trasmesse le conclusioni scritte del Procuratore Generale, cui si è riportato nel corso dell’udienza di discussione oralmente svolta, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Secondo il P.G., i l primo ed il secondo motivo, con cui si deduce l’irrilevanza penale della condotta, consistita in un mero movimento terra, sono infondati. Oltre alla doglianze con le quali si sollecita una rivalutazione nel merito, contestando la finalizzazione del movimento terra, va ribadito che, in tema di violazioni edilizie, al fine di stabilire se i movimenti di terreno costituiscano o meno una trasformazione urbanistica del territorio, occorre valutare l’entità dell’opera che si intende realizzare, potendo gli stessi costituire sia spostamenti insignificanti sotto il profilo dell’insediamento abitativo per i quali non è necessario alcun titolo abilitativo, sia rilevanti trasformazioni del territorio, in quanto tali
necessitanti il preventivo rilascio del permesso di costruire, non essendo sufficiente la mera denuncia di inizio attività (Sez. 3, n. 14243 del 05/03/2008, Rv. 239663, con riferimento ad una fattispecie in materia di sequestro preventivo di un’area ove erano in corso movimenti terra con sbancamenti superiori ad un metro, eseguiti nelle vicinanze di un agriturismo di proprietà dagli indagati). Nel caso in esame, la finalizzazione del movimento terra è stata desunta non soltanto dai cospicui volumi di materiali sversati, consistenti non solo in terreno, ma anche in materiale di risulta, ma altresì dalla progressiva trasformazione dell’area, che, originariamente a vocazione agricola, era stata trasformata mediante abusiva realizzazione di due unità abitative, un vialetto e una piscina -oggetto di imputazione dichiarate estinte per prescrizione.
Il terzo motivo è infondato. In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051). Nella fattispecie il riempimento di terreno, indicato in 600 mc. nel l’imputazione, è stato determinato in 900 mc. nella sentenza, ma non vi è stata una trasformazione radicale del fatto, e la quantità è stata oggetto di contradditorio dibattimentale.
Il quarto motivo è inammissibile, in quanto sollecita una non consentita rilettura degli elementi di fatto, contestando appunto la quantificazione del movimento terra, e sollecitando una rivalutazione del merito.
Il quinto motivo, concernente la subordinazione della sospensione condizionale della pena al ripristino dello stato dei luoghi, è infine infondato, avendo la Corte territoriale fatto buon governo del principio secondo cui, in tema di reati edilizi, il giudice ha la facoltà, e non l’obbligo, di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena, concesso per la prima volta, alla demolizione dell’opera abusiva al fine di eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato, dovendo, conseguentemente, indicare le ragioni per le quali, nel formulare il giudizio prognostico di cui all’art. 164, comma primo, cod. pen., ritenga necessario porre l’esecuzione di tale ordine come condizione per la fruizione del beneficio (Sez. 3, n. 36548 del 14/09/2022, Rv. 283655, che, in motivazione, ha precisato che il giudizio prognostico può ricavarsi anche dai passaggi argomentativi relativi alla determinazione del trattamento sanzionatorio, ovvero alla valutazione del fatto ovvero ancora alla persistente inottemperanza all’ordine di
demolizione impartito dal Comune). Al riguardo, la Corte ha formulato il giudizio prognos tico, sulla base dell’entità dell’opera abusiva e dell’omesso ripristino integrale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, trattato in presenza a seguito della richiesta, accolta dal Presidente titolare, di trattazione orale, è inammissibile.
I primi due motivi, i quali meritano congiunto esame attesa l’omogeneità dei profili di doglianza ad essi sottesi, sono generici e manifestamente infondati.
2.1. Sono anzitutto generici in quanto mostrano di non confrontarsi con la motivazione dell’impugnata sentenza che, nel soffermarsi proprio sui rilievi mossi con gli identici motivi di appello, replicati in sede di legittimità senza alcun apprezzabile elemento di novità critica, ha chiarito le ragioni per le quali il movimento terra di cui si discute avesse una finalizzazione edificatoria, necessitante, in quanto tale, del permesso di costruire. Si legge in particolare nella sentenza impugnata che il fondo della Visciano, pur avendo in origine vocazione agricola e non essendo servito da infrastrutture stradali, aveva subito negli anni una sostanziale trasformazione. In particolare, nel corso del sopralluogo del 5.08.2019 era stata rilevata l’abusiva realizzazione di due unità abitative, di un vialetto e di una piccola piscina realizzati tra il 2014 ed il 2017 (come da contestazione contenuta al capo A) della rubrica, prima parte, oggetto di proscioglimento per prescrizione. Sulla scorta della puntuale deposizione del teste COGNOME, tecnico del Comune di Trecase, estraneo a qualsiasi interesse nel processo in corso, era emerso che all’atto dell’accertamento la Visciano aveva in corso di realizzazione sul lato est del fondo (dove era presente un avvallamento del fondo) un consistente sversamento di materiali (quantificato in circa 900 mc) costituiti da terreno e materiali di risulta, il tutto per ripianare l’area e portarla al medesimo livello dell’abitazione. Tali emergenze istruttorie, avevano condotto i giudici di merito, con motivazione non manifestamente illogica ed immune dai denunciati vizi, ad affermare che l’attività in corso di realizzazione necessitasse di un titolo abilitativo rafforzato, in quanto non rientrante tra gli interventi di mera movimentazione di terreno agricolo di cui all’art. 6 D.P.R. 380/2001. Invero, specificano i giudici di appello così facendosi carico di confutare l’identico argomento sollevato davanti a questa Corte nel primo motivo -, diversamente da quanto dedotto dalla difesa, gli elementi acquisiti al dibattimento escludevano che il cospicuo sversamento effettuato sul fondo della Visciano fosse destinato ad uso agricolo, laddove si consideri che tale versamento ha avuto ad oggetto non solo terreno, ma anche materiali di risulta, come agevolmente desumibile non solo dall’affidabile deposizione del teste COGNOME, ma anche dai rilievi fotografici in atti. E, piuttosto, specifica la sentenza d’appello , è ‘altamente verosimile’ che la Visciano volesse effettuare un livellamento del
fondo alla medesima altezza delle unità abitative così da rendere fruibile anche quella parte di terreno. Si aggiunga, poi, la notevole consistenza del terrapieno (riguardante circa 300 mc di terreno, aventi un dislivello di alcuni metri rispetto alla parte di terreno non avvallata), peraltro ancora di corso di realizzazione (il tecnico ha chiarito che oltre ai materiali sversati erano necessari ancora molti altri sversamenti per raggiungere il detto livellamento), con evidente attività di modificazione permanente dello stato materiale e della conformazione del suolo per un impiego diverso da quello che è gli proprio, come tale effettuabile solamente mediante permesso a costruire (e, stante il vincolo ambientale, l’autorizzazione paesaggistica), richiamando a tal proposito, del tutto correttamente, giurisprudenza di questa stessa Sezione (il riferimento è a Sez. 3, n. 7538 del 11/01/2024, Rv. 285956 -01).
A tal proposito, poi, i giudici di appello svolgono ulteriori considerazioni del tutto pertinenti rispetto alla questione sollevata. Osservano, infatti: a) come nessun rilievo assume la circostanza che in sede di ripristino dello stato dei luoghi, l’attività sia stata espletata a mezzo CILA senza che il Comune di Trecase abbia eccepito nulla in merito, tanto più se si considera che l’intervento era finalizzato (previa autorizzazione dell’A.G.) a rimuovere le modificazioni dello stato del suolo illecitamente realizzate e, dunque, a ripristinare lo status quo ante ; b) come del tutto indimostrata è la dedotta franosità dell’area e la necessità di interventi di ripristino del terreno caduto a valle, avendo il tecnico escusso in dibattimento dichiarato che il Comune di Trecase non ha mai ricevuto richieste di intervento per verificare frane (pag. 7 del verbale stenotipico del dell’11.05.2023), laddove, nella missiva dell’avv.to COGNOME acquisita agli atti, il curatore, lungi dal lamentare uno sconfinamento dovuto a frane del terreno della Visciano, lamenta un’occupazione di una parte della particella n. 528, parallela ai due fondi confinanti, per l’apposizione di cancello da parte della Visciano.
2.2. Al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze della ricorrente si appalesano dunque prive di pregio, in quanto si risolvono nel ‘dissenso’ sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di legittimità, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per presunte violazioni di legge e per vizi motivazionali con cui, in realtà, si propone una doglianza non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 3416 del 26/10/2022 -dep. 26/01/2023, Lembo, n.m.; Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 – dep. 31/01/2000, COGNOME, Rv. 215745; Sez. 5, n. 11910 del 22/01/2010, COGNOME, Rv. 246552).
2.3. La circostanza, poi, che i giudici di merito si siano espressi con un giudizio di ‘alta verosimiglianza’, non è idonea ad inficiare la sentenza impugna ta, posto che, come più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di valutazione della prova, il ricorso al criterio di verosimiglianza (oltre che alle massime d’esperienza) conferisce al dato preso in esame valore di prova se può escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l’ipotesi all’apparenza più verosimile, ponendosi, in caso contrario, tale dato come mero indizio da valutare insieme con gli altri elementi risultanti dagli atti (Sez. 6, n. 5905 del 29/11/2011, Rv. 252066 -01).
E, nel caso di specie, il ricorso a tale criterio assume indubbio valore di prova alla luce degli elementi oggettivi valorizzati dai giudici di merito, in assenza di una spiegazione alternativa difensiva idonea ad invalidare l’ipotesi all’apparenza più verosimile.
2.4. A ciò, peraltro, va aggiunto che in sede di motivazione della sentenza di condanna la prospettazione di ipotesi deve ritenersi certamente vietata quando il giudice intenda trarre da esse, e non da fatti obiettivamente accertati, la prova della colpevolezza dell’imputato. Un tale divieto, però, non sussiste né potrebbe logicamente sussistere quando, in presenza di altri elementi non ipotetici atti a dimostrare la detta colpevolezza, il giudice debba affrontare l’esame delle risultanze che si assumano come potenzialmente idonee a vanificare la loro valenza. In tal caso, infatti, il giudice altro non potrà né dovrà fare se non verificare, ricorrendo necessariamente a delle ipotesi, se le dette risultanze siano in effetti compatibili o meno con la ricostruzione dei fatti in chiave accusatoria, la quale, peraltro, anche in caso di esito positivo di detta verifica, rimarrà comunque basata esclusivamente sulle prove acquisite e non sulle ipotesi formulate in funzione della verifica stessa (Sez. 1, n. 3754 del 13/03/1992, Rv. 189724 -01).
Nella specie i giudici di merito hanno formulato l’ipotesi fondandola su fatti obiettivamente accertati (all’atto dell’accertamento la Visciano aveva in corso di realizzazione sul lato est del fondo, dove era presente un avvallamento del fondo, un consistente sversamento di materiali, quantificato in circa 900 mc, costituiti da terreno e materiali di risulta), per giungere alla conclusione che detto materiale, in presenza del consistente movimento terra eseguito, fosse destinato ad essere impiegato per ripianare l’area e portarla al medesimo livello dell’abitazione.
I l terzo ed il quarto motivo, anch’essi da esaminare congiuntamente attesa l’omogeneità dei profili di doglianza ad essi sottesi, sono parimenti inammissibili per le stesse ragioni già illustrate con riferimento ai primi due motivi.
3.1. Anche con riferimento al tema della quantificazione del movimento terra, infatti, la Corte territoriale, nel rispondere ad analoga censura svolta nei motivi di appello, ancora una volta replicata dinanzi a questa Corte di legittimità senza alcun apprezzabile elemento di novità critica, afferma che le dimensioni dello sversamento erano certamente superiori ai 300 mc. (poi eliminati in sede di ripristino) ipotizzati dalla difesa sulla scorta
della consulenza redatta dall’Arch. COGNOME Invero, si legge in sentenza, il teste COGNOME all’esito del sopralluogo realizzato in data 5.08.2019, ha quantificato in circa 900 mc l’entità dello sversamento effettuato dalla Visciano, tenuto conto dell’ampiezza dell’area (circa 300 mc) e del dislivello da colmare (pari ad alcuni metri, almeno tre stando alle misurazioni fatte dallo stesso arch. COGNOME). Per contro, il consulente di parte ha quantificato lo sversamento in mc. 300 senza, tuttavia, offrire elementi adeguati a supporto di tale calcolo (invero, specifica la motivazione della sentenza impugnata, il tecnico, nel grafico allegato alla relazione, muove dall’indicazione di uno stato pregresso del terreno e di un calcolo del dislivello privo di specifici riscontri documentali ed indica lo stato attuale del terreno come se il livellamento già fosse completo, mentre il tecnico COGNOME e i rilievi fotografici, mostrano un livellamento ancora in fase di realizzazione). A riprova di tanto, aggiunge la Corte d’appello, ancora una volta svolgendo argomentazioni immuni da vizi logici, milita la circostanza che lo stesso Comune di Trecase, dopo “il tentativo” di ripristino operato dalla Visciano (nella misura indicata dall’Arch. COGNOME ha redatto verbale di inottemperanza all’ordinanza di demolizione precedente emessa e disposto l’acquisizione al Comune dell’opera e dell’area di sedime (cfr. deposizione teste COGNOME).
Tali ultime considerazioni (entità dello sversamento ed omesso ripristino integrale), peraltro, hanno indotto la Corte d’appello a ritenere infondati gli ulteriori motivi di impugnazione, con i quali si chiede di ridimensionare l’entità dello sversamento (in 300 mc) e, di conseguenza, la revoca dell’ordine di demolizione relativo all’opera in esame essendovi già stato ripristino, oggetto della censura svolta con il quarto motivo di ricorso dinanzi a questa Corte.
3.2. E’, dunque, evidente che la difesa della ricorrente tenta di trascinare questa Corte, sotto l’apparente deduzione di vizi di violazione di legge o motivazionali, sul terreno del fatto, chiedendo in sostanza ai giudici di legittimità di procedere ad una rivalutazione degli elementi valutativi su cui i giudici di merito hanno proceduto alla determinazione del quantitativo di terreno oggetto dell’abusiva movimentazione attraverso il richiamo alle differenti valutazioni della consulenza tecnica di parte, operazione, questa, del tutto incompatibile con il giudizio di legittimità.
L’unico spazio per l’intervento di questa Corte è rappresentato dal vizio motivazionale nel ragionamento seguito dal giudice del merito nella valutazione degli elementi di prova. Tuttavia, alla luce dell’apparato argomentativo, le censure della difesa sono smentite dalla linearità del percorso logico seguito dai giudici di merito nella sentenza impugnata. Deve essere, pertanto, in questa sede ribadito che l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del
legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074 -01). Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME e altri, Rv. 207944 -01).
Non sfugge, infine, al giudizio di inammissibilità anche il quinto ed ultimo motivo.
4.1. La Corte d’appello ha infatti, con motivazione del tutto adeguata ed immune dai denunciati vizi, ritenuto infondata anche la richiesta di revocare la condizione cui è stato subordinato il beneficio della pena sospesa. Invero, si legge in sentenza, posto, per quanto sopra rappresentato, che non vi è stato ripristino totale, si osserva che in tema di reati edilizi, il giudice ha la facoltà di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena, concesso per la prima volta, alla demolizione dell’opera abusiva al fine di eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato, dovendo, conseguentemente, indicare le ragioni per le quali, nel formulare il giudizio prognostico di cui all’art. 164, comma primo, cod. pen., ritenga necessario porre l’esecuzione di tale ordine come condizione per la fruizione del beneficio (richiamando, correttamente, Sez. 3, n. 36548 del 14/09/2022, Rv. 283655 – 01).
Nel caso di specie, specificano i giudici territoriali, il giudizio prognostico può ricavarsi dall’entità dell’opera abusiva come sopra delineata, dall’omesso ripristino integrale pur a fronte di un’autorizzazione richiesta ed ottenuta dall’A.G., ancora, dalla persistente inottemperanza all’ordine di demolizione impartito dal Comune.
Argomentazioni, queste, assolutamente logiche che, in quanto tali, sfuggono al sindacato di legittimità.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella sua proposizione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, il 16/01/2025