Motivo Nuovo in Cassazione: La Via Stretta dell’Impugnazione
Introdurre un motivo nuovo in cassazione è una strategia processuale rischiosa che, come dimostra una recente ordinanza della Suprema Corte, conduce quasi sempre a una declaratoria di inammissibilità. Questo principio fondamentale della procedura penale stabilisce che non si possono sollevare davanti alla Cassazione questioni che non siano state precedentemente sottoposte all’esame del giudice d’appello. Analizziamo insieme un caso concreto per capire la logica di questa regola e le sue pesanti conseguenze.
I Fatti del Caso: Dal Furto Aggravato al Ricorso in Cassazione
Il caso ha origine dalla condanna di un individuo per il reato di furto aggravato. La sentenza, emessa in primo grado, era stata confermata dalla Corte d’Appello di Milano. L’imputato, non rassegnato, decideva di presentare ricorso alla Corte di Cassazione, affidando la sua difesa a un unico motivo: la presunta insussistenza dei presupposti per l’applicazione della recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale.
In sostanza, la difesa contestava l’aggravamento della pena legato al fatto che l’imputato avesse già commesso reati simili in passato. Tuttavia, questo specifico punto non era mai stato sollevato nell’atto di appello.
Il Principio del Motivo Nuovo in Cassazione e la Decisione
La Corte di Cassazione, esaminando il ricorso, lo ha immediatamente dichiarato inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del nostro sistema processuale: il cosiddetto ‘effetto devolutivo’ dell’appello. Con l’atto di appello, la parte ‘devolve’, cioè trasferisce, al giudice superiore solo le questioni specifiche che contesta della sentenza di primo grado. Il giudice d’appello si pronuncia solo su quelle.
La Regola Generale: Niente Nuove Questioni in Cassazione
Di conseguenza, le questioni non sollevate in appello non possono essere introdotte per la prima volta in Cassazione. La Suprema Corte non è un terzo grado di giudizio sul merito della vicenda, ma un giudice di legittimità, il cui compito è verificare la corretta applicazione della legge da parte dei giudici precedenti sui punti che sono stati oggetto di dibattito.
Presentare un motivo nuovo in Cassazione equivale a chiedere alla Corte di pronunciarsi su qualcosa su cui il giudice d’appello non ha potuto (e non ha dovuto) esprimersi, perché non gli era stato richiesto. Questo vizia la logica del processo e rende il motivo irricevibile.
Le Eccezioni alla Regola
L’unica eccezione a questa regola riguarda le questioni che la legge permette di rilevare d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento (ad esempio, la mancanza di una condizione di procedibilità). La contestazione sull’applicazione della recidiva, nel caso di specie, non rientrava in questa categoria.
Le Motivazioni
La Corte ha motivato la sua decisione richiamando una giurisprudenza consolidata e costante. Viene sottolineato che «non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare siccome non devolute con la dovuta specificità alla sua cognizione». Poiché la censura sulla recidiva era ‘inedita’, ovvero nuova, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
Conclusioni
La dichiarazione di inammissibilità ha avuto conseguenze economiche significative per il ricorrente. Ai sensi dell’articolo 616 del codice di procedura penale, è stato condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa sanzione aggiuntiva è stata giustificata dalla Corte sulla base della ‘colpa’ del ricorrente, ravvisata nell’evidente inammissibilità dell’impugnazione. La lezione è chiara: la strategia processuale deve essere definita fin dai primi gradi di giudizio. Tentare di introdurre un motivo nuovo in Cassazione non solo è inefficace, ma può anche risultare molto costoso.
È possibile presentare una nuova contestazione per la prima volta in Cassazione?
No, di regola non è possibile. La Corte di Cassazione ha stabilito che non possono essere sollevate questioni che non siano state specificamente presentate nell’atto di appello, a meno che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Secondo l’art. 616 del codice di procedura penale, la parte che ha proposto il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e, se si ravvisa una sua colpa nell’aver presentato un’impugnazione evidentemente inammissibile, anche al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende.
Perché in questo caso il ricorrente è stato condannato a pagare una somma alla Cassa delle ammende?
La condanna al pagamento di una somma alla Cassa delle ammende è scattata perché la Corte ha ravvisato una colpa del ricorrente nell’aver proposto il ricorso, data l’evidente inammissibilità del motivo presentato. Il motivo era ‘inedito’, cioè non sollevato in appello, una regola procedurale ben consolidata che il ricorrente avrebbe dovuto conoscere.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2930 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2930 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/10/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a GIFFONE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/12/2021 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Milano che ne ha confermato la condanna per il reato di cui agli artt. 624, 625, comma 1, n. 7, cod. pen.;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso – con cui si lamenta l’insussistenza dei presuppos applicativi della recidiva reiterata specifica e infraquinquennale – è inedito perché la censura n è stata sollevata con l’atto di appello («non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare siccome non devolute con la dovuta specificità alla sua cognizione, tranne che si tratti di questioni rile di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o che non sarebbe stato possibile dedurre precedenza»: Sez. 5, n. 37875 del 04/07/2019, COGNOME, Rv. 277637 – 01; cfr. pure Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, COGNOME, Rv. 269745 – 01; Sez. 2, n. 22362 del 19/04/2013, COGNOME; Sez. U, n. 40275 del 15/07/2021, COGNOME, Rv. Rv. 282095 – 01, non massimata sul punto);
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – ravvisandosi profili di colpa in ragione dell’evidente inammissibilità dell’impugnazione (c Corte cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, Failla, Rv. 267585 – 01) – al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 18 ottobre 2023
Il Consigliere estensore
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Il Presidente