Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 23110 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 23110 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Firenze il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/10/2024 della Corte di appello di Firenze
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso riportandosi alla memoria scritta ed insistendo per il rigetto del ricorso; udito per l’imputato l’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 22/10/2024, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza emessa in data 12/06/2019 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Firenze, assolveva l’imputato COGNOME NOME dal delitto di cui all’art. 648-bis cod.pen. perché il fatto non costituisce reato e, confermata l’affermazione di responsabilità per il residuo reato di cui agli artt. 48 cod.pen. e 2 d.lgs 74/2000, rideterminava la pena in mesi otto di reclusione e la misura della confisca in euro 4.193,00.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME, a mezzo del difensore di fiducia, articolando un unico motivo, con il quale deduce violazione dell’art. 585, quarto comma, cod.proc.pen. e vizio di motivazione.
Espone che la Corte di appello di Firenze aveva dichiarato inammissibile il motivo nuovo di appello presentato in data 03/11/2023, perché il tema relativo al difetto dell’elemento soggettivo del reato previsto dall’art. 2 d.lgs 74/2002 non era stato oggetto di impugnazione. Argomenta che la proposizione del motivo nuovo, pero, era stata determinata dal fenomeno dell’overrulling e, quindi, il motivo doveva considerarsi nuovo in base al disposto dell’art. 585, comma 4, cod.proc.pen, per la imprevedibilità della soluzione giurisprudenziale; evidenzia che, nonostante il fine specifico che caratterizza l’ipotesi delittuosa di cui all’art. d.lgs 74/200, la giurisprudenza di legittimità ha costantemente ritenuto la compatibilità del dolo specifico con quello eventuale, compatibilità che si è tradotta nell’impossibilità di escludere l’elemento soggettivo del reato quando la condotta sia stata posta in essere per un fine extrafiscale; solo recentemente con la sentenza n. 33433 del 7/7/2023 si è affermato che il perseguimento della finalità esclusivamente di tipo extrafiscale esclude l’elemento soggettivo del reato; ribadisce che il concetto di motivo nuovo deve estendersi anche a quelle situazioni processuali in cui il motivo, pur non essendo stato oggetto dell’impugnazione principale, acquista successivamente il carattere della novità a seguito di imprevedibili mutamenti dell’orientamento giurisprudenziale; in definitiva, il motivo nuovo presentato in data 03/11/2023 risulta ammissibile e, quindi, risulta evidente l’insussistenza, nella specie, dell’elemento soggettivo del reato contestato, perché le fatture furono utilizzate dal ricorrente per motivi extrafiscali come risulta dalle dichiarazioni rese dallo stesso COGNOME.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
Il difensore del ricorrente ha chiesto la trattazione orale del ricorso in pubblica udienza. Il PG ha depositato memoria ex art 611 cod.proc.pen., nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Va ricordato che i motivi “nuovi” presentati a sostegno dell’impugnazione devono avere ad oggetto, a pena di inammissibilità, solo i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati già enunciati nei motivi originariamente proposti a norma dell’art. 581, comma primo, lett. a), cod. proc. pen. Sez.3,n. 18293 del 20/11/2013,dep.05/05/2014, Rv.259740 – 01).
La facoltà dell’appellante di presentare motivi nuovi incontra il limite del necessario riferimento ai motivi principali, di cui i primi devono rappresentare mero sviluppo o migliore esposizione, ma sempre ricollegabili ai capi e ai punti già dedotti, sicché sono ammissibili soltanto motivi aggiunti con i quali si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, ma non anche motivi con i quali si intenda allargare l’ambito del predetto “petitunn”, introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l’impugnazione (Sez. 6, n. 36206 del 30/09/2020, Rv. 280294).
Costituisce, dunque, principio AVV_NOTAIO l’affermazione che i motivi nuovi possono investire soltanto i capi o i punti della decisione impugnata ai quali si riferisce l’impugnazione originaria, come si evince anche dall’art. 167 disp. att. cod.proc.pen., il quale prescrive che in ogni caso di presentazione di motivi nuovi vengano appunto “specificati i capi e i punti enunciati a norma dell’art. 581 cod.proc.pen., comma 1, lett. a), ai quali i motivi si riferiscono”.
Correttamente, pertanto, la Corte di appello ha dichiarato inammissibile il motivo nuovo, proposto nell’interesse dell’appellante, con il quale si chiedeva l’assoluzione per il reato di cui all’art. 2 dIgs 74/2000 per difetto dell’elemento soggettivo, non essendo stata oggetto di impugnazione la dichiarazione di responsabilità per il predetto delitto.
Manifestamente infondata è la deduzione difensiva secondo cui la sentenza n. 33433 del 7/7/2023 di questa Corte, pronunciata successivamente alla proposizione dell’appello, integrerebbe un’ipotesi di overruling giurisprudenziale e, quindi, avrebbe consentito la proposizione di un motivo nuovo di appello.
Appare opportuno effettuare in merito al concetto di overruling giurisprudenziale le seguenti considerazioni.
L’art. 7 della CEDU- così come conformemente interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU (sentenza 22 novembre 1995, s. W. c. Regno Unito, ric. n. 20166/92, Corte EDU, Grande Camera, sent. 21 ottobre 2013, COGNOME c. Spagna, ric. n. 42750/09) – non consente l’applicazione retroattiva dell’interpretazione giurisprudenziale di una norma penale nel caso in cui il risultato interpretativo non fosse ragionevolmente prevedibile nel momento in cui la violazione è stata commessa (Sez. 2, n. 21596 del 18/02/2016, P.G., P.C. e altro in proc. Tronchetti Provera, Rv. 26716401; Sez. F, n. 35729 del 01/08/2013 Rv. 256584). In altri termini, la Corte EDU non impedisce alla giurisprudenza nazionale di mutare il proprio orientamento nell’interpretazione di una norma legislativa, né in materia extrapenale né in materia penale. Si richiede, tuttavia, che tale mutamento sia ragionevolmente prevedibile dal destinatario della norma affinché lo Stato non incorra in una violazione dell’art. 6 (quanto alla materia extrapenale) e dell’art. 7 (in relazione alla materia penale).
La questione è stata affrontata dalle Sezioni Unite civili di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 15144 del 11/07/2011, Rv. 617905 – 01; Sez. U, Sentenza n. 24413 del 21/11/2011, Rv. 619591 – 01; Sez. U. civ. n. 4135 del 12/02/2019, Rv. 652852; Sez. U. civ., n. 28575 del 08/11/2018, Rv. 651358; Sez. U. civ., n. 15144 del 11/07/2011, Rv. 617905), che hanno affermato che il mutamento della propria precedente interpretazione della norma processuale da parte del giudice della nomofilachia (c.d. overruling), che porti a ritenere esistente, in danno di una parte del giudizio, una decadenza od una preclusione prima escluse, opera laddove il suo significato non trovi origine nelle dinamiche evolutive interne al sistema ordinamentale – come interpretazione correttiva che si salda alla relativa disposizione di legge processuale «ora per allora», nel senso di rendere irrituale l’atto compiuto o il comportamento tenuto dalla parte in base all’orientamento precedente. Infatti, il precetto fondamentale della soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101 Cost.) impedisce di attribuire all’interpretazione della giurisprudenza il valore di fonte del diritto, sicché essa, nella sua dimensione dichiarativa, non può rappresentare la lex temporis acti, ossia il parametro normativo immanente per la verifica di validità dell’atto compiuto in correlazione temporale con l’affermarsi dell’esegesi del giudice.
Ove, però, roverruling sia connotato dal carattere dell’imprevedibilità (per aver agito in modo inopinato e repentino sul consolidato orientamento pregresso), si giustifica una scissione tra il fatto (e cioè il comportamento della parte risultante ex post non conforme alla corretta regola del processo) e l’effetto, di preclusione o decadenza, che ne dovrebbe derivare. Ne consegue che – in considerazione del bilanciamento dei valori in gioco, tra i quali assume preminenza quello del giusto processo (art. 111 Cost.), volto a tutelare l’effettività dei mezzi di azione e difesa
anche attraverso la celebrazione di un giudizio che tenda, essenzialmente, alla decisione di merito – deve escludersi l’operatività della preclusione o della decadenza derivante dall’ overruling nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente (e cioè non oltre il momento di oggettiva conoscibilità dell’arresto nomofilattico correttivo, da verificarsi in concreto) nella consolidata precedente interpretazione della regola stessa, la quale, sebbene soltanto sul piano fattuale, aveva comunque creato l’apparenza di una regola conforme alla legge del tempo.
Si è, quindi, sottolineato la decisività della prevedibilità della decisione giudiziale, precisando che «affinché un orientamento del giudice della nomofilachia non sia retroattivo come, invece, dovrebbe essere in forza della natura formalmente dichiarativa degli enunciati giurisprudenziali, ovvero affinché si possa parlare di prospective overruling, devono ricorrere cumulativamente i seguenti presupposti: che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo; che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale, cioè, da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso.
E si è affermato che l’imprevedibilità non è ravvisabile in presenza di preesistenti contrasti interpretativi (Sez.1, n.27086 del 15/12/2011, Rv.620751 01) o di incertezza interpretativa delle norme processuali ad opera della Corte di cassazione in assenza di un orientamento consolidato della stessa Corte (Sez.6-2, n.3782 del 15/02/2018, Rv.647980 – 01) o nel caso in cui la parte abbia confidato nell’orientamento che non è prevalso (Sez.L, n.14214 del 05/06/2013, Rv.626802 – 01).
Anche la giurisprudenza penale di legittimità si è pronunciata nello stesso senso, precisando che l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale esclude l’imprevedibilità della decisione giudiziale che adotti una delle soluzioni in contrasto, ancorché minoritaria, e correlativamente esclude l’operatività del divieto di retroattività della relativa regola giurisprudenziale (Sez. 5, n. 37857 del 24/04/2018, Rv. 273876; Sez.5, n.41846 del 17/05/2018, Rv.275105 – 01; COGNOME, Rv. 274406; Sez. 5, n. 31648 del 17/06/2016, Falzone; Sez. 5, n. 47510 del 09/07/2018, Rv. 27440;Sez.5, n.13178 del 12/12/2018, dep.26/03/2019, Rv.275623 – 01;Sez.5, n.12747 del 03/03/2020, Rv.278864 – 01).
Tali decisioni hanno affermato, in maniera condivisibile, che l’overruling non consentito, perché non prevedibile per l’imputato, sia ravvisabile nei soli casi di radicale innovazione della soluzione giurisprudenziale, inconciliabile con le precedenti decisioni, mentre debba essere esclusa qualora la soluzione offerta si collochi nel solco di interventi già noti e risalenti, di cui costituisca uno svilup prefigurabile pur nel contrasto di opinioni, che di per sé rende l’esito conseguito comunque presente e possibile, anche se non accolto dall’indirizzo maggioritario.
Affinché possa invocarsi il principio della irretroattività dell’orientamento del giudice della nomofilachia, in deroga alla natura formalmente dichiarativa degli enunciati giurisprudenziali, devono ricorrere cumulativamente i seguenti presupposti: che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo; che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale, cioè, da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso; che il suddetto “overruling” comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte. Deve, cioè, verificarsi l’affidamento qualificato in un consolidato indirizzo interpretativo di norme processuali, come tale meritevole di tutela con il “prospective overruling” situazione riconoscibile solo in presenza di stabili approdi interpretativi della Suprema Corte, i quali assumono valore di “communis opinio” tra gli operatori (Sez.6, n. 23060 del 19/04/2023,Rv.285640 – 01).
E con riferimento al mutamento giurisprudenziale relativo all’interpretazione di una norma di natura sostanziale, questa Corte ha precisato che costituisce causa di esclusione della colpevolezza il mutamento di giurisprudenza “in malam partem”, nel caso in cui l’imputato, al momento del fatto, poteva fare affidamento su una regola stabilizzata, enunciata dalle Sezioni Unite, che escludeva la rilevanza penale della condotta e non vi erano segnali, concreti e specifici, che inducessero a prevedere che, in futuro, le Sezioni Unite avrebbero attribuito rilievo a quella condotta, rivedendo il precedente orientamento in senso peggiorativo (Sez.6, n.28594 del 26/03/2024, Rv.286770 – 01).
Per la natura dichiarativa degli orientamenti giurisprudenziali, il principio dell’overruling non è applicabile, dunque, in caso di contrasto o di mutamento giurisprudenziale sull’interpretazione di una norma sostanziale per la presenza di soluzioni ermeneutiche non sempre omogenee, come quello, prospettato in ricorso, concernente la natura del dolo integrante la fattispecie di cui all’art. 2 de d.lgs. n. 74 del 2000.
Va, comunque, evidenziato, che la sentenza citata in ricorso, diversamente da quanto dedotto dal ricorrente, non ha affatto affermato che il perseguimento della finalità esclusivamente di tipo extrafiscale esclude l’elemento soggettivo del reato, ma ha solo rilevato che, nel caso in esame, difettava la prova della finalità, anche solo concorrente, di natura fiscale, connotante la condotta di emissione di fatture di cui ali’art.8 d.lgs. n.74 del 2000 (cfr pp 10 e 11 , ove si è “ribadit principio, affermato da Sez. 6, n. 16465 del 06/04/2011, COGNOME, Rv. 250007, secondo cui, in tema di dolo, la prova della volontà della commissione del reato è prevalentemente affidata, in mancanza di confessione, alla ricerca delle concrete circostanze che abbiano connotato l’azione e delle quali deve essere verificata la oggettiva idoneità a cagionare l’evento in base ad elementi di sicuro valore
sintomatico, valutati sia singolarmente sia nella loro coordinazione. La prova del dolo si ricava essenzialmente dagli elementi obiettivi del fatto, dalle concrete
manifestazioni della condotta” e rilevato che, “la Corte di appello ha correttamente interpretato la norma spiegando perché sia mancata la prova della necessaria
finalità, anche solo concorrente, di natura fiscale, connotante la condotta di emissione di fatture di cui all’art.8 d.lgs. n.74 del 2000).
Risulta, quindi, manifestamente infondato anche il dedotto mutamento giurisprudenziale.
4. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
5. Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell’art. 616 cod.
proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in
dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29/04/2025