Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 11391 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 11391 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/03/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza del 10 marzo 2023 la Corte di appello di L’Aquila, in parziale riforma di quella del Tribunale di Avezzano del 14 luglio 2022, ritenuto il comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n.309 del 1990, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestate circostanze aggravanti anche nei confronti di COGNOME NOME, ha rideterminato la pena inflitta in 3 anni, 6 mesi di reclusione ed euro 3.600 di multa a tale imputato ed a NOME per le cessioni di sostanze stupefacenti di cui ai capi a) – in Tagliacozzo dal 2019 – e b), dal giugno 2020.
Avverso tal sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore degli imputati.
2.1. In relazione alla posizione di NOME COGNOME, si deduce il travisamento della prova: la Corte di appello avrebbe indicato che tutti gli acquirenti avrebbero riconosciuto in aula gli imputati, mentre ciò sarebbe avvenuto solo per gli acquirenti indicati ai capi a10) e a14). Il travisamento della prova sarebbe stato compiuto anche dal Tribunale ed eccepito con l’appello.
Sussisterebbe, quindi, la contraddittorietà della motivazione perché nessuno dei testimoni escussi avrebbe riconosciuto il ricorrente, ad esclusione di due acquirenti. A partire da pag. 7 del ricorso si descrivono le dichiarazioni rese da ciascun acquirente, che escluderebbero la responsabilità dell’imputato.
La Corte di appello non avrebbe valutato le prove indicate nel ricorso, già oggetto dei motivi di appello, da cui emergerebbe che il ricorrente non avrebbe mai ceduto le sostanze stupefacenti o, comunque, non avrebbe mai avuto un ruolo attivo nelle cessioni, e non sarebbe stato riconosciuto in altri casi.
2.2. La Corte territoriale avrebbe omesso di rispondere ai motivi aggiunti depositati il 27 dicembre 2022, relativi alla posizione di NOME, con cui si dedusse che in primo grado non si era tenuto conto che dal passaporto risulterebbe che il ricorrente non si trovava in Italia dal 9 marzo 2020 al 31 luglio 2020 sicché avrebbe dovuto essere assolto per le condotte commesse in quel periodo, descritte nelle pagine 11 e 12 del ricorso.
Sempre con i motivi aggiunti si contestò che le condotte descritte nelle pagine 12 e ss. del ricorso non avrebbero potuto essere state commesse dall’imputato perché egli si trovava all’estero e non in Italia: i motivi aggiunti non sarebbero stati valutati dalla Corte di appello sicché si sarebbe concretizzato il vizio della motivazione.
2.3. Infine, si deducono i vizi di violazione di legge e della motivazione per avere la Corte territoriale applicato le circostanze attenuanti generiche solo con
giudizio di equivalenza, e non di prevalenza, con le altre circostanze aggravanti contestate. Sul punto la motivazione sarebbe illogica.
Inoltre, la Corte territoriale non avrebbe risposto al motivo di appello con cui si contestò l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza nei confronti di NOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME, quanto all’an della responsabilità, è inammissibile per il difetto del requisito della specificità estrinseca poiché non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata che ha rilevato che l’imputato, nell’interrogatorio di garanzia, ha ammesso le sue responsabilità, di aver collaborato alle condotte di cessione.
Elementi di prova a carico dell’imputato sono stati indicati anche dal teste di polizia giudiziaria che ha rappresentato che durante i servizi di osservazione il ricorrente era sempre nell’appartamento utilizzato come base per le cessioni.
La sentenza, cfr. pag. 6, ha attribuito al ricorrente il ruolo non di autore materiale delle cessioni, ma di aver fornito un contributo agevolatore e morale a ciascuna cessione.
Ne consegue che la Corte territoriale ha risposto al motivo di appello ritenendo del tutto irrilevante che alcuni testi non abbiano riconosciuto il ricorrente – reo confesso – quale cedente, posto che la condanna è intervenuta per una condotta di agevolazione e di concorso morale.
È inammissibile il motivo nell’interesse di NOME con cui si deduce l’omessa risposta ai motivi nuovi.
2.1. Con l’appello la difesa chiese esclusivamente la qualificazione dei delitti nel reato ex art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990. Non contestò la commissione delle condotte per le quali è intervenuta la condanna.
2.2. I motivi nuovi, presentati nell’imminenza dell’udienza, sono inammissibili perché prospettano questioni non dedotte con l’appello.
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 4683 del 25/02/1998, Rv. 210259, COGNOME ed altri, hanno affermato che i «motivi nuovi» a sostegno dell’impugnazione, previsti tanto nella disposizione di ordine generale contenuta nell’art. 585, quarto comma, cod. proc. pen., quanto nelle norme concernenti il ricorso per cassazione in materia cautelare (art. 311, quarto comma, cod. proc. pen.) ed il procedimento in camera di consiglio nel giudizio di legittimità (art. 611, primo comma, cod. proc. pen.), devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono
stati enunciati nell’originario atto di gravame ai sensi dell’art. 581, lett. a), co proc. pen
Ne consegue che la difesa non può, con i motivi nuovi, procedere alla impugnazione di un capo o punto della sentenza non oggetto dell’originario atto di impugnazione.
2.3. I motivi nuovi sono inammissibili perché non erano inerenti ai punti dedotti con l’appello; con i motivi nuovi si è contestata la sussistenza della responsabilità e non la qualificazione giuridica del fatto: di conseguenza, trattandosi di motivi inammissibili, la Corte territoriale non aveva alcun obbligo di prenderli in esame.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, non sussiste il vizio della motivazione se il motivo di appello non esaminato è inammissibile ab origine (Sez. 2, n. 35949 del 20/06/2019, Liberti, Rv. 276745 – 01, in caso di per manifesta infondatezza), potendo l’inammissibilità dell’impugnazione essere dichiarata, ai sensi dell’art. 591, comma 4, cod. proc. pen., quando non rilevata dal giudice dell’impugnazione, in ogni stato e grado del procedimento.
Il motivo sul trattamento sanzionatorio, quanto alla posizione di NOME, è inammissibile per genericità poiché non indica, come richiesto dall’art. 581 cod. proc. pen., gli elementi di fatto in base ai quali la Corte di appello avrebbe dovuto applicare le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate circostanze aggravanti e sulla recidiva, mentre la Corte territoriale ha fondato il giudizio sul grado di pericolosità sociale, richiamando il precedente penale, anche se non specifico.
È inammissibile il motivo di NOME sull’omessa risposta alla richiesta formulata con l’appello di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle contestate circostanze aggravanti.
L’impugnazione, a pena di inammissibilità, ex art. 581 cod. proc. pen. deve contenere l’enunciazione specifica dei motivi, con l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Nell’appello dell’AVV_NOTAIO, per entrambi gli imputati, la richiesta di applicazione delle circostanze attenuanti generiche è stata formulata solo nella enunciazione dei motivi e nelle conclusioni, sicché l’appello era inammissibile per genericità.
Va ribadito il principio per cui (Sez. 5, n. 44201 del 29/09/2022, Testa, Rv. 283808 – 01), il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, proposti in concorso con altri motivi specifici, non può formare oggetto di ricorso per cassazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità
originaria, quand’anche il giudice dell’impugnazione non abbia pronunciato in concreto tale sanzione.
Pertanto, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. si condannano i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3.000,00, determinata in via equitativa, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende, tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 28/02/2024.