Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12418 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12418 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/12/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato ad Aversa il 28/04/2000 avverso la sentenza del 23/02/2024 della Corte d’appello di Napoli Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito l’Avvocato generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi i difensori, avv. NOME e avv. COGNOME che hanno chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 23/02/2024, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma di quella del Tribunale della stessa città del 20 maggio 2024, ha dichiarato NOME COGNOME responsabile del reato di tentato omicidio aggravato dai futili motivi ai danni di NOME COGNOME (capo a) e dei connessi reati di detenzione e porto della pistola cal. 6,35 utilizzata per commetterlo (capo b) e, unificate le condotte ex art. 81, comma secondo, cod. pen., l’ha condannato alla pena di tredici anni di reclusione, nonchØ alle conseguenti pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e di quella legale per la durata della pena.
I fatti riguardano quanto accaduto il 6 giugno 2020, nelle vicinanze del bar Etoile di Aversa, all’interno del quale vi era stata una lite tra alcuni avventori, uno dei quali aveva brandito un coltello all’indirizzo di NOME COGNOME che si trovava lì, unitamente a NOME COGNOME e NOME COGNOME. La discussione era continuata all’esterno del bar dove si trovava NOME COGNOME, estraneo ai due gruppi, ma che – riconoscendo, tra i soggetti appartenenti a una delle fazioni, alcuni compaesani – aveva invitato COGNOME ad andare via. Questi, a sua volta, lo aveva ammonito dall’intromettersi, altrimenti «gli avrebbe sparato» e, alla risposta di questi («a chi spari»), aveva esploso un colpo di arma da fuoco che aveva attinto NOME COGNOME a una gamba.
Il compendio istruttorio raccolto a carico del ricorrente si fonda essenzialmente sulle dichiarazioni della persona offesa, NOME COGNOME e dei soggetti a vario titolo (addetti alla
sicurezza del bar Etoileteatro dei fatti e avventori) presenti ai fatti, nonchØ sulle immagini riprese dalle videocamere dello stesso bar.
Su tali evidenze la Corte territoriale – procedendo ad un overturningrispetto alla qualificazione giuridica attribuita dal Giudice di primo grado del fatto come minaccia aggravata – ha ritenuto provata la responsabilità di COGNOME per i reati di di cui ai capi a) e b) come originariamente contestatogli e, quanto al tentato omicidio, ha confermato la sussistenza della circostanza aggravante dei motivi futili; quindi, ribadito il diniego delle circostanze attenuanti generiche, ha condannato l’imputato alla pena suindicata, infine applicando le statuizioni accessorie.
Avverso la sentenza della Corte di appello ha proposto ricorso NOME COGNOMEa mezzo del difensore di fiducia, il quale ne ha chiesto l’annullamento sulla scorta di quattro motivi, di seguito esposti nei limiti strettamente attinenti alla motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp.att. cod. proc. pen.
3.1. Con il primo, articolato motivo, ha lamentato, ai sensi dell’art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., la violazione degli artt. 56, 575 cod. pen., nonchØ contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla qualificazione del fatto come tentato omicidio alla luce di quanto emerso dagli atti del processo.
Sostiene il ricorrente che i Giudici di merito non avrebbero applicato il principio di diritto secondo cui la valutazione del reato tentato deve avvenireex ante, attraverso il giudizio sull’idoneità e univocità degli atti e sull’evenienza del dolo.
Con riguardo alla ricostruzione del fatto, si lamenta una valutazione illogica delle prove e si censura la parte della motivazione che ha inferito l’animusnecandidalla parola della persona offesa, dimenticando che quest’ultima ha sempre e solo descritto sue ‘sensazioni’.
Lamenta altresì la minimizzazione della circostanza, ritenuta invece dirimente, dell’avvenuto “doppio scarcellamento a vuoto” da parte di COGNOME.
Il dolo sarebbe stato erroneamente desunto, in spregio alla giurisprudenza di legittimità ampiamente citata nel ricorso, da elementi in realtà del tutto neutri. Segnatamente: i) il mezzo utilizzato (arma da fuoco), non assumerebbe alcuna valenza nella determinazione della volontà dell’imputato di uccidere, poichØ con essa questi avrebbe ben potuto semplicemente voler guadagnarsi una via di fuga nella concitazione del momento, come emerso dalla ricostruzione dibattimentale e come affermato dal giudice di primo grado; ii) del pari in influente la direzione assunta dall’arma, ben potendo la stessa essere puntata al solo fine di spaventare la vittima, circostanza anch’essa emersa in corso di istruttoria dibattimentale e come ritenuto che dal giudice di prima cura; iii) infine l’aver agito minacciando di morte la vittima, neppure sarebbe indicativo della volontà omicidiaria, tanto piø quando la parte del corpo attiva il proiettile Ł stata una zona non sede di organi vitali.
Si censura, inoltre, la totale assenza dell’elemento della non equivocità degli atti necessario per la configurabilità del tentato omicidio, valorizzandosi in proposito che «se COGNOME avesse voluto uccidere non avrebbe “scarrellato” l’arma piø volte, facendo cadere al suolo i proiettili e non avrebbe puntato l’arma verso terra, ma avrebbe invece certamente sparato piø colpi».
3.2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione di legge e vizio di motivazione in punto di affermata responsabilità dei reati in materia di armi.
Il ricorrente censura l’erroneità del ragionamento espresso dalla Corte di appello sul punto, chetrascurerebbe il fatto che egli non ha mai portato con sØ l’arma, essendosi limitato sottrarla a NOME COGNOME nel corso di una semplice lite in sorta del tutto casualmente, situazione ben diversa dalla partecipazione ad una spedizione punitiva per cui, a ragione, valgono gli arresti della giurisprudenza di legittimità in tema di concorso morale di tutti i partecipanti all’azione.
3.3. Il terzo motivo si incentra sulla violazione dell’articolo 61 n. 1) cod. pen. e sul correlato vizio
di motivazione.
La motivazione secondo la quale la Corte di appello ha ritenuto sussistenti i motivi futili, facendo riferimento alla levità alla banalità e alla sproporzione dell’azione di COGNOME, trascurerebbe la ricostruzione dei fatti che vedono COGNOME, accerchiato, nella necessità di sfuggire a una tremenda aggressione.
3.4. Il quarto motivo denuncia la violazione dell’articolo 62-bis e il vizio di motivazione in punto di mancato riconoscimento dellecircostanze generiche.
La motivazione del giudice di appello, fondata sulla circostanza fattuale della gravità della condotta complessivamente valutata, ivi compresa la detenzione il porto dell’arma in orario notturno, in un locale pubblico, non appare in linea con la ratio dell’istituto, e che quello di adeguare la pena al fatto commesso in concreto
L’Avvocato generale, NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł fondatolimitatamente al terzo motivo, concernente la circostanza aggravante dei futili motivi.
Il primo e il secondo motivo – che deducono censure complessivamente infondate – vanno rigettati, mentre quello concernente le circostanze attenuanti generiche dev’essere dichiarato assorbito.
Il primo motivo Ł privo di pregio.
1.1. Ai fini del suo scrutinio, Ł preliminare richiamare le ragioni che avevano portato il Tribunale di Napoli a qualificare il fatto come minaccia aggravata.
Quel Giudice, invero, con sentenza resa il 20 maggio 2021, aveva ritenuto NOME COGNOME responsabile del reato di cui all’art. 612, secondo comma, cod. pen, così diversamente qualificato il fatto di tentato omicidio aggravato dai futili motivi originariamente contestato, nonchØ dei connessi reati di detenzione e porto dell’arma utilizzata per commetterlo.
In particolare, il Tribunale, muovendo dalle dichiarazioni della persona offesa – che aveva affermato di avere avuto la ‘sensazione’ che COGNOME gli stesse sparando – e valorizzando il momento concitato in cui avvenne l’azione, l’ora notturna e scarsa illuminazione, aveva reputato che non fosse possibile configurare, oltre ogni ragionevole dubbio, l’intenzionalità dell’esplosione del colpo d’arma da fuoco .
All’uopo, era posto l’accento sul contesto nel quale il breve battibecco tra COGNOME e COGNOME si era realizzato: in seguito alla lite tra i due gruppi, COGNOME si era trovato circondato da una decina di giovani ed Ł in questo frangente, di estrema tensione, che si era innestata l’azione oggetto di scrutinio. Era dunque evidente, per il Tribunale, la finalità meramente intimidatoria che aveva indotto COGNOME a estrarre la pistola che, dunque, colpì la vittima solo a causa dell’intromissione di COGNOME che lo aveva strattonato.
Di tanto, ad avviso del Giudice di primo grado, era ulteriore conferma il rinvenimento sul selciato di due proiettili inesplosi di identico calibro, testimonianti un doppio “scarrellamento a vuoto” dell’arma, ritenuti chiaro indice dell’intenzione di COGNOME di spaventare la fazione avversa, presumibilmente per guadagnare una via di fuga.
1.2. A seguito di impugnazione del Pubblico ministero, la Corte di appello di Napoli, quanto al capo a), Ł pervenuta all’affermazione di responsabilità di COGNOME per il reato di tentato omicidio, aggravato dai futili motivi, come originariamente contestato.
Non Ł superfluo precisare che il Giudice di appello ha riformato la decisione relativa al capo a) disponendo un nuovo esame testimoniale della persona offesa, NOME COGNOME pur non essendo tenuta, nel caso di specie, ad assolvere gli obblighi procedurali invece imposti per il caso di overturningin appello del giudizio liberatorio di primo grado, ai sensi dell’articolo 603 comma 3-bis cod. proc. pen., essendo, invece, sufficiente una motivazione rafforzata che, tenendo conto delle valutazioni del primo giudice, sia in grado di superarle persuasivamente (ex multis, Sez. 5, n. 2493 del 21/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285782 – 01; Sez. 5, n. 36824 del 13/07/2023, C., Rv. 284913; Sez. 6, n. 5769 del 27/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278210; Sez. 2, n. 38823 del 25/06/2019, COGNOME, Rv. 277094; Sez. 3, n. 973 del 28/11/2018, dep. 2019, S., Rv. 274571; Sez. 5, n. 54296 del 28/06/2017, COGNOME, Rv. 272088; Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270109).
Dunque, dopo aver sintetizzato il compendio probatorio e riportato gli stralci piø rilevanti della deposizione della persona offesa (resa sia dinanzi al Giudice di primo, sia dinanzi a quello di secondo grado), il Giudice di appello ha ritenuto acclarato che: i) in esito allo scambio verbale tra COGNOME e COGNOME, il primo aveva impugnato la pistola, estraendola dalla propria tasca (ma in precedenza sottratta dalle mani di NOME COGNOME) e dopo averla “scarrellata”, l’aveva puntata all’indirizzo del secondo, ad altezza uomo («l’ha caricata ad altezza petto … l’ha caricata verso di me …ha steso il braccio … stende il braccio e carica»);ii) era contestualmente intervenuto NOME COGNOME che aveva strattonato COGNOME e cercato di costringerlo ad abbassare il braccio verso terra, con l’effetto di deviare il colpo nel frattempo esploso che, infatti, attingeva la vittima alla gamba («io ho visto la pistola caricare, lui impugnarla con un dito sul grilletto e nel momento che carica e stende l’amico cerca di fermarlo e lui spara»).
Così ricostruite le fasi della dinamica del fatto che aveva visto protagonisti l’imputato e la vittima, anche sulla scorta della ribadita, circostanziata descrizione di quest’ultima, il Giudice di appello, a confutazione della immotivata svalutazione della parola di questi operata nella sentenza di primo grado – secondo cui la condotta di volontaria esplosione del colpo era frutto di una mera valutazione soggettiva di COGNOME, basata su un «movimento della mano di COGNOME, percepito in una frazione di secondo, in orario notturno, nei pressi di una zona scarsamente illuminata, in una situazione di estrema confusione e agitazione» (così la sentenza di primo grado) – ha evidenziato che questi aveva, invece, piø volte ribadito di aver visto l’imputato in procinto di sparare al suo indirizzo, avendo percepito la contrazione della mano e l’avvicinamento del dito al grilletto e che solo l’intervento di COGNOME (che aveva afferrato, tirandoli a sØ, i due avambracci di COGNOME), aveva realizzato l’effetto che il colpo, in quell’istante esploso, avesse colpito il selciato e non già COGNOME.
Del pari non aderente alle evidenze probatorie Ł stata ritenuta l’affermazione secondo cui il doppio “scarrellamento a vuoto” fosse sicuro sintomo dell’intenzione dell’imputato di spaventare la fazione avversa, non già di colpire COGNOME e che l’esplosione era stata determinata dall’intromissione di COGNOME.
1.3. Il Giudice della sentenza impugnata, nella motivazione che la correda, ha dato conto – in maniera dettagliata e con argomentazioni che si sottraggono a rilievi di illogicità evidente – di come le prove dichiarative e documentali in atti fossero tali da dimostrare che la condotta di COGNOME era idonea e univocamente finalizzata a uccidere, che il colpo fosse affatto intenzionale (e non già esploso involontariamente a causa dell’intervento di COGNOME), valorizzando in tal senso il mezzo offensivo usato (arma da fuoco), l’avere l’imputato mirato in direzione della persona offesa ed esploso il colpo a distanza di un metro e ad altezza uomo, infine l’avere fatto precedere di pochi istanti tale condotta con la minaccia verbale di «sparare» la vittima.
Sul punto ha altresì osservato – con motivazione esente da fratture razionali – che, a fronte
delle credibili dichiarazioni della persona offesa (che aveva riferito di avere notato un solo “scarrellamento”), non era possibile collocare temporalmente il secondo “scarrellamento” rispetto al colpo esploso, risultando per tale via privata di qualsiasi rilievo l’ipotesi difensiva che dal dato del doppio “scarellamento” inferiva una finalità meramente intimidatoria dell’azione.
Congetturale Ł stata, poi, reputata l’affermazione secondo la quale l’arma contenesse solo tre colpi, poichØ la stessa non era mai stata trovata, sicchØ nessun controllo in tale senso era stato possibile effettuare.
1.4. Si tratta – osserva il Collegio – di una motivazione che fa risaltare adeguatamente l’idoneità causale e l’univocità degli atti compiuti da COGNOME al conseguimento dell’obiettivo delittuoso, nonchØ l’intenzione dello stesso.
Il Giudici di appello, invero, muovendo dalla ricostruzione dei fatti sin qui descritta, hanno ritenuto d’immediata percezione l’oggettiva idoneità dell’azione lesiva, avuto riguardo alla capacità micidiale dell’arma utilizzata e alla direzione impressa nella fase di puntamento, a determinare l’evento letifero, oggettivamente scongiurato dalla presenza di fattori casuali del tutto estranei alla condotta realizzata (l’intervento di COGNOME), ragionevolmente ascritti a una deviazione della traiettoria del proiettile.
Parimenti, si Ł reputata indubitabile la destinazione univoca degli atti compiuti rispetto all’esito infausto, pur non verificatosi, tenuto conto dei dati di fatto emergenti dal quadro probatorio e apprezzabili in concreto ai fini della determinazione del grado di messa in pericolo del bene interesse della vita, con prognosi formulata ex post, con riferimento alla situazione che si presentava all’imputato al momento del compimento degli atti, in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso, tenuto conto della potenzialità offensiva dell’arma e dalla posizione autore dello sparo e vittima, in presenza di colpi mirati. Si Ł, infatti, sottolineatoche, anche avuto riguardo allo scenario posto quale sfondo della vicenda, era in concreto ravvisabile con grado di probabilità certamente elevato e, comunque, non trascurabile, il pericolo di attentare all’altrui vita.
Analoghe considerazioni, quanto alla natura a-specifica e reiterativa, vanno svolte in relazione al secondo motivo di ricorso che la difesa – che dubita della sussistenza del reato di porto dell’arma – fonda sull’estemporaneità della condotta con cui il ricorrente se ne impossessò, sottraendola a Palma.
E, invero, in conformità con la motivazione del Giudice di primo grado, la Corte di appello ha correttamente affermato la responsabilità di COGNOME per entrambii reati, di detenzione e porto dell’arma, valorizzando: i) quanto alla detenzione, che, secondo quanto dichiarato da NOME COGNOME il ricorrente aveva custodito l’arma per un paio di giorni precedentemente ai fatti, prima che la stessa fosse utilizzata all’indirizzo di COGNOME; ii) quanto al porto,che lo stesso ricorrente l’aveva sottratto l’arma a NOME (che l’aveva portata con sØ nel bar) comunque qualche minuto prima di farne uso.
Pertinente sul punto si ritiene l’arresto secondo cui «In tema di reati concernenti le armi, il delitto di porto illegale assorbe per continenza quello di detenzione, escludendone il concorso materiale, solo quando la detenzione dell’arma inizi contestualmente al porto della medesima in luogo pubblico e sussista altresì la prova che l’arma non sia stata in precedenza detenuta (Sez. 1, n. 27343 del 04/03/2021, COGNOME, Rv. 281668 – 01; Sez. 6, n. 46778 del 09/07/2015, Coscione, Rv. 265489 – 01; Sez. 1, n. 18410 del 09/04/2013, COGNOME, Rv. 255687 – 01; Sez. 1, n. 32967 del 03/06/2010, COGNOME, Rv. 248272 – 01) In motivazione, che, in mancanza di alcuna specificazione da parte dell’imputato circa la contemporaneità delle due condotte, il giudice di merito non Ł tenuto ad effettuare verifiche, potendo attenersi al criterio logico della normale anteriorità della detenzione rispetto al porto».
Inoltre, questa Corte (sebbene con specifico riferimento a uno strumento atto ad offendere, ma con argomentazioni estensibili al caso che ci occupa)ha già chiarito che, in tema di reati concernenti le armi, non sussiste il porto abusivo nel caso in cui l’agente abbia reperito e utilizzato l’arma, senza soluzione di continuità, per l’offesa alla persona (Sez. 5, n. 47773 del 24/10/2022, COGNOME, Rv. 283955 – 01).
¨, invece, fondato il terzo motivo, riguardante l’aggravante dei motivi futili.
3.1. Non Ł superfluo premettere le coordinate ermeneutiche che governano lo scrutinio della censura.
I motivi a delinquere, che costituiscono uno degli elementi che viene valorizzato dal nostro ordinamento tra gli indici rilevanti ai fini del giudizio sulla capacità a delinquere dell’imputato, ricevono talvolta autonoma considerazione da parte del legislatore, che li eleva al rango di veri e propri elementi circostanziali. E trattandosi, come nel caso che occupa, di circostanze pacificamente soggettive (cfr. art. 70, comma 1, n. 2 cod. pen. secondo cui sono qualificate come soggettive le circostanze “inerenti alla persona del colpevole”), deve ritenersi che la ratio dell’autonoma configurazione sia connesso proprio al piø severo giudizio di rimproverabilità personale dell’agente, ovvero alla piø spiccata attitudine criminale palesata dallo stesso.
Nel caso qui in rilievo, questo elemento peculiare, valorizzato dalla fattispecie circostanziale di cui all’art. 61, primo comma n. 1, cod. pen., viene descritto attraverso il ricorso all’aggettivo ‘abietto’ o “futile”.Com’Ł noto, la locuzione non costituisce un’endiadi, ma indica due concetti distinti, sicchØ l e due circostanze aggravanti possono tra loro coesistere allorchØ il delitto sia, contemporaneamente, espressione di un impulso sproporzionato alla causa scatenante e tale da costituire un mero pretesto di uno sfogo violento e di una ragione spregevole, idonea a cagionare sentimenti di ripugnanza (Sez. 5, n. 40090 del 07/06/2018, G., Rv. 273874 – 01).
Quanto al motivo ‘futile’, secondo l’opinione consolidata, che attinge al significato comune del termine, anche nel suo valore etimologico, la futilità rinvia a una assoluta sproporzione tra il reato commesso e, appunto, il “motivo”, ovvero la “molla” interiore che determina la condotta e che, a sua volta, costituisce il filtro soggettivo, sul piano psicologico ed emotivo, delle sollecitazioni esterne e degli scopi perseguiti.Peraltro la nozione di sproporzione coglie solo l’aspetto strutturale del concetto di “futilità”, rappresentando quest’ultimo, a sua volta, un concetto relativo, che assume significato e sostanza soltanto se riferito a un determinato parametro di valutazione, che spetta ovviamente all’interprete individuare.
Lungo questo tragitto interpretativo sono state escluse dal perimetro della fattispecie due opposte soluzioni ricostruttive.La prima Ł quella che utilizza, per stabilire il carattere “futile” o meno del motivo, la prospettiva individuale dell’agente ovvero il suo personale atteggiamento rispetto alla causa psichica che lo ha determinato. ¨, infatti, evidente che, così procedendo, dovrebbe sempre concludersi per la non futilità del motivo, atteso che, dal punto di vista dell’autore del reato, il motivo finisce con l’essere tendenzialmente sempre plausibile, giustificato, mai pretestuoso.La seconda prospettiva, anch’essa non condivisibile, Ł quella che identificasse come “futile” il cd. motivo criminoso in quanto tale, sia esso costituito dal conseguimento di un vantaggio anch’esso illecito, sia esso riconducibile a un codice comportamentale di tipo criminale. In disparte la circostanza per la quale, in realtà, in ipotesi siffatte viene prevalentemente in rilievo non il movente, quanto piuttosto lo scopo, Ł abbastanza evidente che in tali casi si finirebbe sempre per configurare una futilità del motivo, attesa l’impossibilità di configurare un qualunque “valore ponderale” ad una causa psichica comunque disapprovata dall’ordinamento, tale da potere essere messo sulla bilancia per compararlo con un reato, specie se efferato. E allora Ł necessario che, eventualmente, il “motivo criminale”, per poter essere qualificato come “futile”, presenti degli ulteriori connotati, i quali, come si vedrà, devono
essere comuni anche ai motivi non delittuosi.
Così delimitato, in negativo, il perimetro della nozione di motivo futile, va osservato come, secondo un primo indirizzo, la sproporzione andrebbe rapportata al parametro costituito dal “comune sentire” ovvero a una condivisa percezione della distanza, sul piano assiologico, tra reato realizzato e motivo che lo ha determinato, nel senso che il motivo deve essere ritenuto “futile” quando esso possa essere ricondotto a qualsiasi causale così lieve, banale e sproporzionata rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione criminosa (in questa prospettiva Sez. 1, n. 35369 del 4/07/2007, Z.H.H., Rv. 237686 e Sez. 1, n. 4453 del 11/02/2000, Dolce, Rv. 215806, in cui si fa riferimento alla «coscienza collettiva»; Sez. 1, n. 17309 del 19/03/2008, COGNOME, Rv. 240001; Sez. 1, n. 24683 del 22/05/2008, lana, Rv. 240905, che fanno riferimento alla “generalità delle persone”; Sez. 5, n. 25940 del 30/06/2020, M., Rv. 280103 – 02; Sez. 5, n. 38377 del 1/02/2017, COGNOME, Rv. 271115; Sez. 5, n. 41052 del 19/06/2014, COGNOME, Rv. 260360; Sez. 1, n. 59 del 1/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258598; Sez. 1, n. 39261 del 13/10/2010, COGNOME, Rv. 248832; Sez. 1, n. 29377 del 8/05/2009, COGNOME, Rv. 244645, nelle quali il riferimento Ł al «comune modo di sentire»).
¨ stato, tuttavia, piø di recente (Sez. 1, n. 16889 del 21/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 273119 – 01) precisato che tale approccio ricostruttivo fa riferimento a una nozione che investe il giudice della non agevole opera di farsi interprete del «comune modo di sentire», di un’opinione verosimilmente prevalente in una determinata collettività e in un certo momento storico; e, in questo modo, finisce per ancorare la nozione dell’aggravante a un incerto parametro di comparazione e che, per tale ragione, appare preferibile ancorare il giudizio sulla proporzionalità della condotta criminosa rispetto al motivo che l’ha determinata a un parametro di tipo oggettivo, che non può che essere costituito dalle norme costituzionali e dalla gerarchia che esse, sul piano assiologico, ovvero del valore attribuito agli interessi in gioco, definiscono.
Un siffatto percorso interpretativo – si Ł osservato nella menzionata sentenza – presenta, a sua volta, un evidente limite, giacchØ, ragionando in termini di comparazione tra l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice e la ragione soggettiva che ha indotto l’agente alla condotta offensiva, si finirebbe per affermare la futilità del motivo ogni volta che, ad esempio, fosse stato commesso un grave reato contro la persona. ¨, infatti, evidente che in caso di condotta omicidiaria una siffatta sproporzione sarebbe, in linea di principio, sempre ravvisabile.
Per tale motivo, si Ł affermato – con orientamento che qui si condivide e ribadisce – che l’accertamento della futilità del motivo si deve realizzare secondo una scansione bifasica: una volta riscontrata la sproporzione tra il reato e la ragione soggettiva che l’ha determinato, deve successivamente esplicarsi un ulteriore giudizio, volto a stabilire se essa abbia o meno connotato, in maniera particolarmente significativa e pregnante l’atteggiamento dell’agente rispetto al reato, giustificando un giudizio di maggiore riprovevolezza e di piø accentuata pericolosità nei suoi confronti (Sez. 1, n. 45290 del 01/10/2024, S. Rv. 287333 – 01; Sez. 5, n. 45138 del 27/06/2019, COGNOME, Rv. 277641 – 01; Sez. 1, COGNOME, Rv. 273119, citata).Dunque, accanto al dato, oggettivo, della sproporzione tra la ragione soggettiva che ha determinato la condotta criminosa e il reato concretamente realizzato, occorre valorizzare un dato soggettivo, costituito dalla possibilità di connotare la sproporzione quale espressione di un moto interiore del tutto ingiustificato, che si connota come il mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale, del tutto avulso da uno scopo che non sia la mera commissione del reato.
3.2. Tanto premesso in diritto, venendo al caso che ci occupa, osserva il Collegio che il Giudice di appello, dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte riguardante il primo degli indirizzi in rassegna – nell’affermare che l’assoluta banalità dello stimolo esterno, rappresentato dall’invito svolto da COGNOME nei suoi riguardi ad allontanarsi da un luogo pubblico per porre termine a una
discussione che fino a quel momento non aveva avuto conseguenze negative per nessuno dei partecipanti, rappresentasse un evento assolutamente sproporzionato e costituisse il mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento di Moccia – ha reso una motivazione che non soddisfa, sotto il profilo della sussistenza dell’aggravante, l’onere della motivazione “rafforzata”.
Segnatamente, posta la situazione fattuale che aveva fatto da cornice alla condotta contestata a COGNOME, ossia quella di una lite tra ignoti avventori del bar RAGIONE_SOCIALE (uno dei quali aveva brandito un coltello all’indirizzo di NOME COGNOME, che si trovava lì unitamente a NOME COGNOME e NOME COGNOME), che era proseguita all’esterno dell’esercizio commerciale, cui era seguita la divisione dei contendenti in due fazioni, nella quale si Ł poi collocato l’intervento di NOME COGNOME, estraneo ai due gruppi e, dunque, in una situazione che il Giudice di primo grado ha descritto di assembramento – a fronte della specifica deduzione difensiva secondo la quale, a un certo momento, l’imputato si era ritrovato «accerchiato dagli antagonisti» – la Corte di appello avrebbe dovuto procedere a una puntuale ricostruzione dell’intera fase con cui si snodarono gli eventi, al fine di dare adeguato conto della configurabilità di entrambi gli aspetti che si sono indicati come necessari per la configurabilità dell’aggravante de qua, chiarendo la ragione per la quale ha ritenuto la condotta di COGNOME quale unico stimolo dell’azione di COGNOME, stimolo così lieve da presentarsi piø come “scusa” o “occasione” che come causa determinante della condotta criminosa stessa.
Le ragioni sin qui esposte impongono l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alla sussistenza dell’indicata aggravante, con rinvio alla Corte di appello di Napoli affinchØ proceda, su detto punto, a un nuovo esame che, senza pregiudizio per il motivo dichiarato assorbito, libero negli esiti, siaossequiante dei richiamati principi di diritto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante dei futili motivi con rinvio per nuovo giudizio sul punto e sul conseguente trattamento sanzionatorio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli. Rigetta il ricorso nel resto. Visto l’art. 624 c.p.p. dichiara la irrevocabilita’ della sentenza in ordine all’affermazione della penale responsabilita’ dell’imputato.
Così Ł deciso, 17/12/2024
Il Consigliere estensore
EVA TOSCANI
Il Consigliere estensore
Il Presidente
EVA TOSCANI
NOME COGNOME