Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 13082 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 13082 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 10/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME, n. in Albania il DATA_NASCITA/03/1997
avverso l’ordinanza del 23/08/2023 del Tribunale di Venezia
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore, AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento delle conclusioni del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 23 agosto 2023, il Tribunale di Venezia ha respinto l’istanza di riesame avanzata da NOME COGNOME avverso l’ordinanza che aveva nei suoi confronti disposto la custodia cautelare in carcere in relazione a diversi reati di detenzione e trasporto illeciti di sostanze stupefacenti di tipo cocaina.
Avverso l’ordinanza, a mezzo del difensore fiduciario, l’indagato ha proposto ricorso per cassazione deducendo, con il primo motivo, l’inosservanza degli artt. artt. 271 e 407 cod. proc. pen. per essere state utilizzate, a sostegno del giudizio sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, intercettazioni d comunicazioni effettuate dopo la scadenza dei termini di durata delle indagini preliminari.
Si allega che, pur non avendo il pubblico ministero depositato certificazione attestante la data di iscrizione dell’indagato nel registro delle notizie di reat poiché risultava un’intercettazione in data 28 aprile 2021, decorsi due anni da tale data doveva ritenersi superato il termine massimo di durata delle indagini preliminari pur eventualmente prorogato con conseguente inutilizzabilità delle intercettazioni effettuate dopo il 28 aprile 2023. L’ordinanza impugnata – si lamenta – aveva errato nel ritenere che spettasse all’indagato di provare la data di sua iscrizione nel registro delle notizie di reato, trattandosi di elemento a l non ostensibile in forza del segreto di indagine, e aveva altresì errato nel ritenere che l’eccezione avrebbe travolto il solo capo 50) della provvisoria imputazione, concernendo invece anche gli altri capi.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 268 cod. proc. pen. per non essere stata accolta la tempestiva istanza difensiva, avanzata ai sensi dell’art. 293, comma 3, cod. proc. pen., di consegna di copia delle registrazioni delle conversazioni poste a fondamento dell’ordinanza cautelare. In data 17 agosto 2023 erano stati bensì messi a disposizione 11 DVD che, secondo il ricorrente – il quale rileva come la circostanza sarebbe pure stata implicitamente confermata nell’ordinanza impugnata -, non contenevano però le conversazioni COGNOME richiamate COGNOME nelle COGNOME annotazioni COGNOME di COGNOME polizia COGNOME giudiziaria COGNOME ed illegittimamente utilizzate per affermare la gravità indiziaria dei reati di cui capi di addebito da 4) a 8), 31), 39) e 49).
Con il terzo motivo di ricorso si deducono la violazione dell’artt. 274 e l’omessa motivazione sulla valutazione degli elementi su cui si fonda il giudizio di sussistenza delle esigenze cautelari pur a fronte dell’argomentata insussistenza
sia del pericolo di fuga, sia del pericolo di recidiva. A quest’ultimo proposito, lamenta l’erronea affermazione circa il fatto che l’indagato trarrebbe l’unica fonte di sostentamento dalla vendita di stupefacenti, avendo gli operanti invece accertato che dall’anno 2017 egli aveva sempre svolto attività lavorativa lecita e che in data 14 ottobre 2020 aveva acquistato un bar in Verona realizzando elevati volumi d’affari.
Con l’ultimo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 275 cod. proc. pen. per omessa esplicitazione delle ragioni circa l’impossibilità di applicare la meno grave misura, richiesta in via subordinata, degli arresti domiciliari anche con l’adozione del braccialetto elettronico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è per molti versi inammissibile per genericità ed è comunque infondato.
1.1. In diritto va ribadito che in tema di procedimento di riesame delle misure cautelari personali, deve escludersi che rientrino fra gli atti da trasmettere ai sensi dell’art. 309, comma 5, cod. proc. pen. quelli a contenuto meramente processuale, che non costituiscono elementi sui quali si fonda il provvedimento limitativo della libertà ai sensi dell’art. 291, comma 1, cod. proc. pen. (Sez. F, n. 34858 del 30/07/2015, COGNOME, Rv. 264502, che ha affermato tale principio proprio con riguardo alla mancata trasmissione della nota di iscrizione dell’indagato nell’apposito registro e del decreto di proroga dei termini per le indagini preliminari). Nel confermare che l’obbligo per il pubblico ministero di trasmettere al tribunale tutti gli atti rilevanti non si estende alla certifica della data di iscrizione del procedimento, si è tuttavia in altre occasioni precisat che a diversa conclusione deve giungersi quando sussistono elementi che fanno sorgere dubbi sulla inutilizzabilità degli atti stessi per violazione dei termini durata massima delle indagini ex art. 407, comma 3, cod. proc. pen., ferma restando, in ogni caso, la possibilità per la difesa di richiedere alla ca una specifica attestazione (Sez. 2, n. 32285 del 01/02/2001, COGNOME, Rv. 219673; conformi: Sez. 1, n. 26415 del 18/06/2002, COGNOME e a., Rv. 221730; Sez. 1, n. 21977 del 06/03/2003, COGNOME, Rv. 224415; Sez. 1, n. 41696 del 15/10/2003, COGNOME, Rv. 226881). Sotto altro profilo va ribadito, come affermato in un’analoga vicenda relativa alla richiesta di verifica della data d iscrizione dell’indagato nel registro delle notizie di reato al fine di fa discendere l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza di un determinato termine, che il tribunale del riesame è privo di poteri istruttori i
relazione ai fatti relativi all’imputazione, incompatibili con la speditezza d procedimento incidentale de libertate, dovendo limitarsi, ai fini della decisione, alla valutazione delle risultanze processuali già acquisite o degli elementi eventualmente prodotti dalle parti nel corso dell’udienza (Sez. 1, n. 23869 del 22/04/2016, COGNOME, Rv. 267993).
1.2. Ciò precisato, osserva il Collegio che il ricorrente lamenta del tutto genericamente la propria impossibilità di ottenere la comunicazione della data di sua iscrizione nel registro delle notizie di reato al fine di comprovare la richiest di inutilizzabilità delle intercettazioni eventualmente effettuate dopo il decors del termine massimo di durata delle indagini preliminari e non si confronta allegando le ragioni che nella specie sorreggerebbero detta impossibilità – con la disciplina contenuta nell’art. 335 cod. proc. pen., sicché questa Corte non può valutare se sia o meno corretta, e non illogica, la criticata attestazione contenuta nell’ordinanza impugnata circa l’onere di provare la circostanza fattuale da cui si pretenderebbe di far derivare l’inutilizzabilità di talune intercettazioni.
L’eccezione di inutilizzabilità posta a base del motivo di ricorso è parimenti generica, poiché il ricorrente non indica né quali intercettazioni sarebbero state illegittimamente utilizzate ai fini dell’affermazione della sussistenza del grave quadro indiziario per essere state compiute dopo il 28 aprile 2023, né si confronta con gli altri elementi di prova, specificamente indicati nell’ordinanza, che comunque sorreggono la conclusione in relazione ai plurimi reati provvisoriamente addebitatigli. Deve dunque richiamarsi il principio secondo cui, quando con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la lor espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’ident convincimento (Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, dep. 2015, Calabrese, Rv. 262011; per l’affermazione del medesimo principio in tema di inutilizzabilità di conversazioni intercettate, v Sez. 6, n. 13213 del 15/03/2016, RAGIONE_SOCIALE e aa., Rv. 266774).
1.3. Va inoltre considerato che l’ordinanza impugnata argomenta non illogicamente che l’iscrizione nel registro degli indagati era ragionevolmente avvenuta in epoca successiva al giugno 2021 – come dichiarato dal pubblico ministero nel giudizio di riesame – sicché nessuna intercettazione era databile ad oltre due anni da tale data. Il ricorso non si confronta con questa attestazione e contesta del pari genericamente l’affermazione circa l’irrilevanza dell’eccezione
con riferimento ai reati diversi dal capo 50) della provvisoria imputazione, vale a dire quello più recente.
In quest’ottica, va pertanto osservato che, quand’anche l’inutilizzabilità di qualche più recente conversazione intercettata non consentisse di ravvisare la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per il reato di cui al capo 50) dell provvisoria imputazione, tutti gli altri gravi e plurimi delitti giustifichereb comunque la misura cautelare applicata, come più oltre si dirà analizzando gli ultimi due motivi. La doglianza, dunque, è generica e il ricorrente non ha neppure specificamente allegato uno specifico profilo a sostegno dell’interesse a ricorrere sul punto.
Ed invero, questa Corte ha ripetutamente affermato il difetto di specificità, con violazione dell’art. 581 cod. proc. pen., del ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove siano entrambe autonome ed autosufficienti (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272448; Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011, F., Rv. 250972; Sez. 3, n. 30013 del 14/07/2011, COGNOME e COGNOME, non massimata) e, sotto altro angolo visuale, negli stessi casi, il difetto d concreto interesse ad impugnare, in quanto l’eventuale apprezzamento favorevole della doglianza non condurrebbe comunque all’accoglimento del ricorso (Sez. 6, n. 7200 del 08/02/2013, COGNOME, Rv. 254506).
Per analoghe ragioni è inammissibile per genericità anche il secondo motivo di ricorso, che si riferisce al dedotto illegittimo utilizzo di conversazi richiamate nelle annotazioni di polizia giudiziaria per affermare la gravità indiziaria dei reati di cui ai capi di addebito da 4) a 8), 31), 39) e 49).
2.1. Ed invero, con riguardo ai capi da 3) a 8) – vale a dire i reati commessi sino all’arresto del ricorrente del 14 maggio 2021 – l’ordinanza impugnata, sul punto non censurata, attesta che non vi era contestazione sulla ritenuta gravità indiziaria e che la stessa era comunque dimostrata dalle immagini estrapolate dalle riprese effettuate a bordo del veicolo Peugeot 308 utilizzato per commettere i reati e dalle annotazioni di polizia giudiziaria. La doglianza, dunque, è al proposito del tutto irrilevante.
2.2. Quanto agli ulteriori tre capi di reato sopra menzionati – successivi alla data dell’arresto e rispetto ai quali si dà atto della contestazione circa sussistenza di gravi indizi di colpevolezza – l’ordinanza (pagg. 7 e 8) enuncia dettagliatamente i diversi elementi di prova che sorreggono la gravità indiziaria. Tra questi figurano: la captazione di immagini; servizi di o.c.p. con riprese fotografiche; intercettazioni telefoniche; sequestri. Diversamente da quanto allega il ricorrente, poi, l’ordinanza (pag. 4) attesta che dall’elenco prodotto dall
stessa difesa dell’appellante risulta che sia stato messo a disposizione il RIT 113 ed in particolare – per quanto riguarda i capi 31) e 39) – i progressivi 976 e 978, appunto richiamati alle pagg. 7 e 8 tra gli elementi che supportano la gravità indiziaria.
Ancora una volta, dunque, il generico ricorso non si confronta con questa ricostruzione e non indica specificamente le ragioni che escluderebbero il superamento della c.d. prova di resistenza una volta esclusa l’utilizzabilità delle intercettazioni di cui si lamenta la mancata ostensione: nessuno dei progressivi non messi a disposizione quali indicati a pag. 10 del ricorso (nn. 972, 977, 980, 2140, 2141, 2142 e 2143) viene infatti richiamato dall’ordinanza impugnata per ricostruire la gravità indiziaria dei reati provvisoriamente ascritti.
Gli ultimi due motivi di ricorso – che possono essere congiuntamente trattati – sono inammissibili per manifesta infondatezza e genericità.
3.1. Le diffuse doglianze contenute in ricorso sull’omessa motivazione circa il pericolo di fuga sono del tutto scoordinate rispetto al chiaro tenore dell’ordinanza impugnata, che, con riguardo al ricorrente e diversamente dai correi, attesta (pag. 9) di non condividere la ritenuta sussistenza, invece affermata dal g.i.p., di tale esigenza cautelare.
3.2. L’ordinanza reputa invece sussistente l’esigenza cautelare di un attuale, concreto e particolarmente intenso pericolo di reiterazione del reato, non tutelabile con misure meno afflittive come quella degli arresti domiciliari e ne argomenta diffusamente le ragioni (pagg. 9 e 10) con motivazione tutt’altro che illogica e con la quale il generico ricorso in alcun modo si confronta. La logicità e completezza della motivazione non è certo scalfita dal fatto che l’ordinanza non prenda posizione sulla critica rivolta all’ordinanza genetica per aver affermato che il ricorrente fosse privo di redditi di natura lecita, trattandosi di circosta irrilevante rispetto alle solide e non illogiche ragioni addotte a sostegno di ritenuto periculum libertatis.
3.3. Incomprensibile, poi, è la doglianza circa l’asserita mancanza di motivazione sull’inidoneità della misura degli arresti domiciliari richiesta in v subordinata: l’ordinanza (pag. 9) attesta come quella misura, inizialmente applicata dal g.i.p. del Tribunale di Verona in sostituzione della custodia in carcere (con provvedimento del 21 ottobre 2022, come si ricorda in ricorso, e autorizzazione a svolgere attività lavorativa), si sia nei fatti rivelata del t inidonea, avendo il ricorrente successivamente commesso, in concorso e per il tramite dei correi, gli ulteriori reati posti a fondamento della misura propri mentre si trovava ristretto in custodia domestica.
COGNOME
Il ricorso, complessivamente infondato, va pertanto rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 10 gennaio 2024.