Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14222 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14222 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nato a Genova il 26/06/1952; nel procedimento a carico del medesimo; avverso la sentenza del 15/07/2024 della Corte di appello di Torino; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Sost. Procuratore Generale dr NOME COGNOME che ha chi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; udite le conclusioni del difensore dell’imputato avv.to COGNOME COGNOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza di cui in epigrafe la Corte di appello di Torino, riforman parzialmente la sentenza del tribunale di Alessandria del 03.03.2022, con cui gli altri COGNOME NOME era stato condannato in ordine al reato di cui agl 40 cpv. c.p., 110 c.p. 10 Dlgs. 74/2000, assolveva gli altri due imp confermando la condanna del COGNOME altresì eliminando le statuizioni confisca per equivalente nei confronti di tutti gli imputati.
Avverso la suindicata sentenza COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione mediante il suo difensore, con cinque motivi di impugnazione.
Con il primo motivo deduce vizi di violazione di legge e di motivazione. Non sarebbe stata precisamente indicata la condotta ascritta all’imputato essendosi indifferentemente parlato di occultamento o distruzione della contabilità. L’accusa non avrebbe mai optato per la definitiva contestazione dell’una o l’altra condotta che presentano anche implicazioni diverse in tema di prescrizione, se non in appello e quindi ormai troppo tardi dovendovi procedere al più tardi all’esito della istruttoria dibattimentale, per cui si imporreb l’annullamento della sentenza.
Con il secondo motivo relativo alla “erronea applicazione dell’art. 99 comma 4 cod. proc. pen. ” si contesta il giudizio di comparazione delle circostanze. Si sarebbe innanzitutto dovuto escludere la recidiva contestata, osservandosi che il giudice non l’avrebbe esclusa per mancata impugnazione sul punto mentre invece avrebbe dovuto motivare sull’esercizio del suo potere discrezionale ai sensi dell’art. 133 c.p.
Con il terzo motivo deduce il mancato esercizio dei poteri d’ufficio del giudice per rivedere il giudizio di comparazione tra circostanze nonostante l’assenza di impugnazione da parte del ricorrente, sebbene per altro imputato vi fosse stato specifico gravame, così da potersi rivedere il giudizio di valenza delle circostanze ex art. 597 comma 5 cod. proc. pen. applicando solo le attenuanti generiche.
Con il quarto motivo deduce il vizio di violazione di legge per eccessività della pena e in ragione della presenza di mere formule di stile al riguardo, nonostante la modesta capacità a delinquere del ricorrente e la scarsa gravità dei fatti.
Con il quinto rappresenta il vizio di violazione di legge a fronte di una decisione assunta senza alcuna valida ragione. E il termine di prescrizione sarebbe prossimo a maturare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è inammissibile, siccome nuovo. Dal riepilogo dei motivi, non contestato, emerge che il ricorrente ha proposto due soli motivi di gravame, in punto di responsabilità in ragione della cessazione dalla carica dal 10.10.2023 con richiesta di assoluzione, e in punto di prevalenza delle attenuanti generiche rispetto alla recidiva.
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Si deve ribadire, al riguardo, che sussiste un onere di specifica contestazione del riepilogo delle contestazioni difensive ovvero dei motivi di appello, contenuto nella sentenza impugnata, allorquando si ritenga che non sia stata menzionata la medesima questione come già proposta in sede di gravame; in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve pertanto ritenersi proposto per la prima volta in cassazione, e quindi tardivo (cfr. in tal senso, con riferimento alla omessa contestazione del riepilogo dei motivi di gravame, Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017 Ud. (dep. 28/06/2017 ) Rv. 270627 – 01 COGNOME.
Quanto al secondo motivo, è inammissibile, posto che lo stesso ricorrente riconosce l’assenza di ogni contestazione circa la riconosciuta recidiva, per cui deve ribadirsi quanto sopra circa le ragioni della novità anche di questa censura, laddove è inconferente il richiamo al comma 5 dell’art. 597 cod. proc. pen. che, nella sua circoscritta operatività, deve comunque coniugarsi, per quanto non di sua diretta pertinenza, con il principio di cui al comma 1 dell’art. 597 cod. proc. pen., circa la attribuzione al giudice di secondo grado della cognizione del processo limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti, senza quindi che emerga alcun vizio nella mancata rivisitazione di circostanze e del relativo bilanciamento in assenza di specifico gravame. In proposito si ribadisce che il giudice di appello non può escludere la recidiva riconosciuta in primo grado in assenza di uno specifico motivo di appello dell’imputato, trattandosi di un’ipotesi non prevista dall’art. 597. comma 5, cod. proc. pen., che individua in modo tassativo il potere di intervenire di ufficio sull pena. (Sez. 3, n. 25806 del 11/05/2022, Vitale, Rv. 283470 – 02)
Analoghe considerazioni devono svolgersi in ordine al terzo motivo, laddove ancor più eccentrica, rispetto ai principi vigenti, è la valorizzazione, a supporto della censura, della circostanza per cui il gravame mancante da parte del ricorrente troverebbe degna sostituzione, per legittimare la presente critica, in altro gravame proposto da un coimputato. E ancor prima rileva, altresì, la assenza di specificità in ordine al rivendicato bilanciamento con applicazione delle sole attenuanti generiche.
Quanto al quarto motivo, si tratta di censura sia nuova, non essendosi mai contestata la misura della pena quanto piuttosto essendosi avanzata la distinta richiesta di prevalenza delle attenuanti generiche, sia generica e rivalutativa.
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5. Il quinto motivo è assertivo e indeterminato quanto alle ragioni del lamentato vizio oltre che nuovo, non collegandosi al gravame sulla responsabilità
che si incentrava solo sul tema della cessazione dalla carica.
6. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per
il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese de procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in
data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
Ammende
Così deciso in Roma, il 13.3.2025