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Motivi di appello: la specificità è obbligatoria

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso con cui si contestava l’eccessività della pena per il reato di rapina. La decisione si basa sul fatto che tale doglianza, qualificata come uno specifico motivo di appello, non era stata sollevata nel precedente grado di giudizio. In appello, infatti, era stata richiesta solo la sospensione condizionale della pena, ma non la sua riduzione. La Suprema Corte ha ribadito che i motivi di ricorso devono essere stati precedentemente dedotti in appello, a pena di inammissibilità, come previsto dal codice di procedura penale. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Motivi di Appello: La Specificità è un Requisito Inderogabile

Quando si impugna una sentenza, è fondamentale presentare motivi di appello chiari, specifici e completi. Omettere una censura nel giudizio di secondo grado preclude la possibilità di sollevarla successivamente in Cassazione. Una recente ordinanza della Suprema Corte lo ribadisce con forza, dichiarando inammissibile un ricorso che contestava l’entità della pena per la prima volta in sede di legittimità.

Il Caso in Esame: Dalla Richiesta di Sospensione all’Inammissibilità

Il caso trae origine da una condanna per il reato di rapina, confermata dalla Corte d’Appello. L’imputato, non soddisfatto della decisione, proponeva ricorso per Cassazione lamentando un unico vizio: l’eccessività della pena irrogata. Secondo la difesa, la sanzione era sproporzionata rispetto alla gravità del fatto commesso.

Tuttavia, l’analisi degli atti processuali ha rivelato un dettaglio cruciale. Nell’atto di appello, la difesa non aveva contestato la quantificazione della pena, ma si era limitata a richiedere la concessione del beneficio della sospensione condizionale. Questa omissione si è rivelata fatale per le sorti del ricorso.

I Motivi di Appello e il Principio di Devoluzione

Il processo di impugnazione è governato dal principio devolutivo, secondo cui il giudice superiore può esaminare solo i punti della sentenza che sono stati specificamente contestati con i motivi di appello. Se una questione, come l’entità della pena, non viene sollevata in appello, si intende che l’imputato l’abbia accettata, e la questione non può essere riproposta per la prima volta davanti alla Corte di Cassazione.

L’articolo 606, comma 3, del codice di procedura penale è esplicito al riguardo: stabilisce l’inammissibilità del ricorso per Cassazione quando i motivi proposti non sono stati precedentemente dedotti in appello. La norma mira a garantire l’ordine e la progressione del processo, evitando che le parti possano “scegliere” il grado di giudizio in cui sollevare determinate censure.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha dichiarato il ricorso inammissibile proprio in applicazione di tale principio. I giudici hanno sottolineato che la contestazione sull’eccessività della pena costituisce un motivo di gravame specifico che avrebbe dovuto essere sollevato davanti alla Corte territoriale. Dal riepilogo dei motivi di appello, riportato nella sentenza impugnata, emergeva chiaramente che l’unica richiesta avanzata era quella relativa alla sospensione condizionale della pena, e non una sua riduzione.

Questa mancanza ha reso la doglianza inammissibile in sede di legittimità. La Suprema Corte non può esaminare nel merito una censura che non è stata sottoposta al vaglio del giudice d’appello. Di conseguenza, il ricorso è stato respinto e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, una sanzione pecuniaria prevista proprio per i casi di inammissibilità.

Conclusioni

Questa decisione rafforza un principio cardine del sistema processuale penale: la necessità di formulare motivi di appello completi e specifici. Chi intende contestare una sentenza di primo grado deve articolare tutte le proprie doglianze nell’atto di appello, inclusa quella relativa all’entità della pena. L’omissione di una censura in questa fase preclude irrimediabilmente la possibilità di farla valere davanti alla Corte di Cassazione. Per gli avvocati, ciò significa prestare la massima attenzione nella redazione degli atti di impugnazione, per non compromettere le possibilità di difesa del proprio assistito nei successivi gradi di giudizio.

È possibile contestare l’eccessività della pena per la prima volta in Cassazione?
No, non è possibile. La contestazione relativa all’entità della pena deve essere specificamente dedotta come motivo di appello nel secondo grado di giudizio. Se non viene sollevata in quella sede, il motivo diventa inammissibile in Cassazione, come previsto dall’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale.

Cosa succede se un motivo di ricorso in Cassazione non era stato proposto in appello?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile per la parte relativa a quel motivo. Ciò significa che la Corte di Cassazione non esaminerà la questione nel merito. L’inammissibilità comporta inoltre la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

La richiesta di sospensione condizionale della pena equivale a una contestazione sulla sua entità?
No. La Corte ha chiarito che la richiesta di sospensione condizionale della pena è una doglianza distinta e non implica una contestazione sulla congruità o eccessività della sanzione. Per chiedere una riduzione della pena, è necessario formulare uno specifico motivo di appello in tal senso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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