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Motivi d’appello: quando il ricorso è inammissibile

Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso, ribadendo un principio fondamentale: i motivi d’appello devono essere sollevati nel giudizio precedente per poter essere esaminati. La Corte ha respinto la richiesta di riconoscimento della particolare tenuità del fatto e le doglianze sulla dosimetria della pena proprio perché non erano state precedentemente dedotte o perché la motivazione del giudice di merito era stata ritenuta congrua e logica.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Motivi d’Appello: La Cassazione Ribadisce i Limiti del Ricorso

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fornisce un’importante lezione sulla strategia processuale e sui limiti dell’impugnazione. La corretta formulazione dei motivi d’appello è cruciale: una questione non sollevata nel secondo grado di giudizio non può essere magicamente introdotta per la prima volta davanti alla Suprema Corte. Questo principio, noto come effetto devolutivo, è stato il fulcro della decisione che ha portato a dichiarare inammissibile il ricorso di un’imputata.

I Fatti del Caso

Una ricorrente si rivolgeva alla Corte di Cassazione per contestare una sentenza della Corte d’Appello di Lecce. Le sue doglianze si concentravano su due punti principali: il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (prevista dall’art. 131-bis del codice penale) e la presunta erronea determinazione della pena, con specifico riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

I Motivi d’Appello e la Decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato entrambi i motivi d’appello proposti, giungendo a una conclusione netta di inammissibilità per entrambi, sebbene per ragioni parzialmente diverse.

Il Primo Motivo: L’Interruzione della Catena Devolutiva

La richiesta di applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è stata subito bloccata. I giudici hanno rilevato che questa specifica questione non era mai stata sollevata nei motivi presentati alla Corte d’Appello. Di conseguenza, si è verificata un’interruzione della cosiddetta ‘catena devolutiva’. In parole semplici, il giudice del gravame può pronunciarsi solo sui punti della sentenza di primo grado che sono stati oggetto di specifica contestazione. Se un argomento non viene proposto in appello, non può essere introdotto ex novo in Cassazione. La Corte ha richiamato una consolidata giurisprudenza sul punto, sottolineando come la mancata proposizione del motivo nel grado precedente precluda il suo esame in sede di legittimità.

Il Secondo Motivo: La Discrezionalità Motivata del Giudice di Merito

Anche la seconda censura, relativa alla dosimetria della pena e alle attenuanti generiche, è stata giudicata inammissibile. In questo caso, però, il problema non era la mancata proposizione del motivo. La Corte di Cassazione ha evidenziato che la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione specifica e adeguata sulle sue decisioni sanzionatorie. Il giudice di merito, nel determinare la pena, non è obbligato a esaminare analiticamente ogni singolo elemento, ma può limitarsi a indicare quelli che ha ritenuto più rilevanti. La valutazione del giudice di merito è insindacabile in Cassazione, a meno che non sia viziata da palese illogicità o arbitrarietà, difetti che la Suprema Corte non ha riscontrato nel caso di specie.

Le Motivazioni della Corte

La decisione della Cassazione si fonda su due pilastri fondamentali della procedura penale. Il primo è il principio devolutivo dell’appello, che delimita l’ambito del giudizio di secondo grado alle sole questioni sollevate dall’appellante, impedendo che il giudizio di legittimità diventi un terzo grado di merito. Il secondo è il limite del sindacato della Corte di Cassazione sulle valutazioni di fatto, come la determinazione della pena. Il compito della Cassazione è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito. In assenza di vizi logici o violazioni di legge, la decisione impugnata resta valida.

Conclusioni

Questa ordinanza è un monito sull’importanza di una strategia difensiva attenta e completa fin dai primi gradi di giudizio. Omettere un motivo di impugnazione in appello ne preclude irrimediabilmente la discussione in Cassazione. Inoltre, conferma che le decisioni sulla quantificazione della pena, se correttamente motivate e prive di illogicità, godono di un’ampia discrezionalità da parte del giudice di merito, difficilmente scalfibile in sede di legittimità. La conseguenza per la ricorrente è stata non solo la conferma della condanna, ma anche il pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

È possibile presentare per la prima volta in Cassazione un motivo di ricorso non discusso in appello?
No, sulla base di quanto stabilito nell’ordinanza, non è consentito. La Corte afferma che un motivo non proposto come tema di decisione nell’ambito dell’appello non può essere esaminato in sede di legittimità, poiché si interrompe la cosiddetta ‘catena devolutiva’.

Come deve motivare il giudice la determinazione della pena per superare il vaglio della Cassazione?
Il giudice non è tenuto a un’analitica enunciazione di tutti gli elementi considerati, ma può limitarsi a esporre quelli determinanti per la soluzione adottata. La sua decisione è insindacabile in Cassazione se è immune da vizi logici di ragionamento o da arbitrarietà.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
Come si evince dal dispositivo, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro, in questo caso tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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