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Motivazione sentenza stupefacenti: quando è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per detenzione di stupefacenti. La Corte ha ribadito che non può riesaminare i fatti o la congruità della pena se la motivazione della sentenza di appello è logica e adeguata. In questo caso, la quantità della sostanza (189 dosi) è stata ritenuta un elemento sufficiente a giustificare sia l’intento di spaccio sia la pena inflitta, rendendo il ricorso una mera richiesta di rivalutazione del merito, non consentita in sede di legittimità.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Motivazione Sentenza Stupefacenti: Quando la Cassazione Dichiara l’Inammissibilità

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sui limiti del ricorso in sede di legittimità, in particolare per quanto riguarda la motivazione della sentenza in materia di stupefacenti. La decisione sottolinea una distinzione fondamentale: il giudizio della Cassazione non è un terzo grado di merito, ma un controllo sulla corretta applicazione della legge. Analizziamo come la Corte ha valutato un caso di detenzione di hashish, respingendo le censure dell’imputato sulla ricostruzione dei fatti e sulla congruità della pena.

I Fatti del Caso: Detenzione e Condanna

Il caso ha origine dalla condanna di un soggetto per il reato previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/90, ovvero la detenzione illecita di sostanze stupefacenti di lieve entità. Nello specifico, l’imputato era stato trovato in possesso di 30,337 grammi di hashish, da cui era possibile ricavare ben 189 dosi medie singole. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano confermato la sua responsabilità penale, infliggendo una pena ritenuta congrua alla gravità del fatto.

I Motivi del Ricorso e la Motivazione della Sentenza Stupefacenti

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due principali motivi:

1. Mancanza e manifesta illogicità della motivazione: Secondo la difesa, le sentenze precedenti non avevano adeguatamente motivato la ricostruzione dei fatti, in particolare per quanto riguarda la destinazione della sostanza allo spaccio.
2. Erronea applicazione della legge penale: Si contestava la valutazione della gravità del reato (ai sensi dell’art. 133 c.p.) e, di conseguenza, la determinazione della pena, ritenuta eccessiva.

In sostanza, il ricorrente chiedeva alla Suprema Corte una nuova valutazione degli elementi di prova e del trattamento sanzionatorio, criticando il ragionamento seguito dai giudici di merito.

La Decisione della Suprema Corte: i Limiti del Giudizio di Legittimità

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una spiegazione chiara del proprio ruolo e dei confini del suo giudizio. La decisione si fonda sul principio che la Corte non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito quando la motivazione della sentenza impugnata è logica, coerente e priva di vizi giuridici.

Le motivazioni

La Corte ha smontato punto per punto le doglianze del ricorrente. Per quanto riguarda la ricostruzione dei fatti, i giudici hanno affermato che la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione “congrua e adeguata”, basata su criteri corretti e massime di esperienza condivisibili. In particolare, due elementi sono stati considerati decisivi per escludere l’uso personale e confermare la destinazione allo spaccio: l’ingente quantitativo di stupefacente, sufficiente per 189 dosi, e l’assenza di risorse economiche da parte dell’imputato che potessero giustificare un acquisto così cospicuo per solo consumo personale.

Anche le censure relative al trattamento sanzionatorio sono state respinte come generiche. La Cassazione ha ricordato che la determinazione della pena è un’attività discrezionale del giudice di merito. In questo caso, la pena di 6 mesi di reclusione e 800 euro di multa, leggermente superiore al minimo edittale, era stata giustificata in modo non arbitrario né illogico, proprio in ragione della gravità del fatto, desumibile dal numero di dosi ricavabili. Citando un proprio precedente (sent. n. 5582/2014), la Corte ha ribadito che non è possibile in sede di legittimità una nuova valutazione della congruità della pena quando questa è stata motivata in modo razionale.

Le conclusioni

L’ordinanza riafferma un principio cardine del nostro sistema processuale: il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti. L’imputato che intende contestare una condanna deve concentrarsi su vizi di legittimità, ovvero errori nell’applicazione della legge o difetti manifesti e illogici nella motivazione. Tentare di ottenere dalla Cassazione una diversa lettura delle prove o una pena più mite, quando la decisione impugnata è ben argomentata, si traduce in un ricorso inammissibile, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Perché il ricorso sulla ricostruzione dei fatti è stato dichiarato inammissibile?
La Corte di Cassazione ha stabilito che la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove sono di competenza esclusiva dei giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché la motivazione della sentenza d’appello era logica, coerente e non presentava vizi, quindi non poteva essere riesaminata.

È possibile contestare in Cassazione l’entità della pena inflitta?
È possibile farlo solo se la determinazione della pena è frutto di un’evidente arbitrarietà o di un ragionamento manifestamente illogico. Nel caso specifico, la pena era stata adeguatamente giustificata dalla gravità del reato, evidenziata dal notevole numero di dosi ricavabili, pertanto la censura è stata giudicata inammissibile.

Quali elementi sono stati considerati sufficienti per provare l’intento di spaccio?
La Corte d’Appello ha basato la sua decisione su due elementi principali: il quantitativo della sostanza sequestrata, da cui si potevano ricavare 189 dosi, e la mancanza di risorse economiche dell’imputato, che rendeva inverosimile l’acquisto di una tale quantità per uso esclusivamente personale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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