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Motivazione sentenza appello: quando è nulla?

Un giornalista, condannato per diffamazione a mezzo stampa, vedeva confermate in appello le sole statuizioni civili a causa della prescrizione del reato. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, ritenendo la motivazione della sentenza d’appello totalmente assente e apodittica, in quanto non aveva fornito alcuna risposta ai specifici motivi di gravame presentati dalla difesa, violando l’obbligo di un effettivo confronto argomentativo.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Motivazione Sentenza Appello: Il Dovere di Risposta del Giudice

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il giudice di secondo grado ha l’obbligo di fornire una risposta concreta e argomentata ai motivi di ricorso. Quando ciò non avviene, la motivazione della sentenza d’appello è da considerarsi nulla, anche se la decisione riguarda solo gli effetti civili di un reato ormai prescritto. Analizziamo insieme il caso per capire la portata di questa affermazione.

I Fatti del Processo

Un giornalista veniva accusato di diffamazione a mezzo stampa per aver pubblicato, su un quotidiano locale, un articolo contenente un’intervista a un esponente politico. L’articolo, intitolato “La lobby degli impuniti” e “classe dirigente scandalosa”, riportava frasi offensive nei confronti di un amministratore pubblico, all’epoca Presidente della Provincia, accusandolo di essere coinvolto in “spartizioni affaristiche” su materie come acqua e rifiuti.

In primo grado, il giornalista veniva condannato. Successivamente, la Corte di Appello, pur dichiarando il reato estinto per intervenuta prescrizione, confermava le statuizioni civili, ovvero l’obbligo di risarcire il danno alla persona offesa.

L’Appello e la Difesa dell’Imputato

L’imputato, tramite il suo difensore, ricorreva in Cassazione lamentando che la Corte di Appello non avesse minimamente considerato i suoi motivi di gravame. In particolare, la difesa sosteneva che:

* L’intervistato (peraltro prosciolto in fase preliminare) aveva confermato la veridicità delle dichiarazioni riportate.
* Il giornalista si era limitato a trascrivere l’intervista, rilasciata da un personaggio pubblico su temi di interesse pubblico.
* Le parti più offensive (titolo e occhiello) non erano attribuibili al giornalista.
* Sussisteva l’esimente del diritto di cronaca.

Secondo il ricorrente, il giudice di secondo grado non aveva fornito alcuna risposta a queste specifiche censure.

La Carenza nella Motivazione della Sentenza d’Appello

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, definendo la motivazione della sentenza d’appello “inesistente” e “apodittica”. I giudici di legittimità hanno osservato come la Corte territoriale si fosse limitata a una frase laconica, affermando che le espressioni utilizzate nell’articolo erano “gravemente lesive della reputazione”, senza però confrontarsi con i punti sollevati dalla difesa.

La Cassazione ha chiarito che il richiamo alla sentenza di primo grado non è sufficiente a sanare le lacune motivazionali, specialmente quando non viene stabilito un “necessario rapporto dialettico” tra i motivi d’appello e la decisione. In altre parole, la sentenza di secondo grado deve dare conto di aver esaminato e valutato le argomentazioni difensive, esprimendo una propria e specifica valutazione su di esse.

L’Obbligo di Risposta anche ai Fini Civili

Un punto cruciale della decisione è che questo obbligo di motivazione persiste anche quando il giudice d’appello, a seguito della prescrizione del reato, è chiamato a decidere solo sulle questioni civili (ex art. 578 c.p.p.). Non basta confermare la condanna al risarcimento; è necessario spiegare perché le ragioni dell’appellante non sono state ritenute valide, affrontando i punti decisivi come la responsabilità del giornalista, la sussistenza dell’esimente e l’attribuibilità delle frasi diffamatorie.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha rilevato una radicale mancanza di argomentazione nella sentenza impugnata, tale da integrare una nullità ai sensi degli artt. 111 della Costituzione e 125 del codice di procedura penale. La decisione d’appello, per essere valida, deve confrontarsi effettivamente con i motivi di impugnazione, esprimendo una valutazione specifica sugli stessi. Non può limitarsi a un generico riferimento alla sentenza di primo grado o a affermazioni apodittiche. Mancando questo confronto, la sentenza è viziata perché non permette di comprendere l’iter logico-giuridico seguito dal giudice per arrivare alla sua decisione e, di conseguenza, impedisce un efficace controllo di legittimità.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili. La causa è stata rinviata a un giudice civile competente in grado di appello, che dovrà procedere a un nuovo giudizio. Questo nuovo giudice dovrà esaminare nel merito i motivi di ricorso originariamente proposti dalla difesa, fornendo quella risposta argomentata che era mancata nella precedente decisione. La sentenza riafferma con forza il principio che il diritto a una decisione motivata è un pilastro del giusto processo e non può essere eluso, neanche quando la prescrizione ha estinto gli aspetti penali della vicenda.

Quando la motivazione di una sentenza d’appello può essere considerata nulla?
La motivazione è nulla quando è radicalmente mancante o meramente apparente (apodittica), ovvero quando non si confronta effettivamente con i motivi di ricorso proposti, omettendo di fornire una specifica valutazione sulle questioni decisive sollevate dall’appellante.

Se il reato è prescritto, il giudice d’appello deve comunque esaminare i motivi del ricorso per decidere sulle statuizioni civili?
Sì. Anche se il reato è prescritto, il giudice che deve pronunciarsi sulle statuizioni civili (come il risarcimento del danno) deve esaminare nel merito i motivi di appello e fornire una motivazione completa che dia conto delle ragioni per cui li ritiene infondati.

È sufficiente che la sentenza d’appello richiami quella di primo grado per essere considerata motivata?
No, non è sufficiente un mero richiamo. La sentenza d’appello, pur potendosi integrare con quella di primo grado se i criteri sono omogenei, deve comunque recare un esame delle censure proposte dall’appellante e stabilire un “rapporto dialettico” con esse, mostrando di averle valutate autonomamente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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