Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13773 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13773 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a VELLETRI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/04/2023 della CORTE di APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; lette le conclusioni del difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della pronuncia di condanna di primo grado, ha dichiarato estinto il reato di diffamazione a mezzo stampa, confermando però le statuizioni civili a carico di NOME COGNOME.
Questi era stato chiamato a rispondere, nella qualità di ,autore dell’articolo, del reato di cui all’art. 595, cod. pen. per aver pubblicato in data 1 luglio 2007, sul
quotidiano RAGIONE_SOCIALE, sotto il titolo “La lobby degli impuniti’ e “classe dirigente scandalosa”, un’intervista a NOME COGNOME politico nei ranghi di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEseparatamente processato quale concorrente nel reato e poi prosciolto – nella quale si offendeva la reputazione di COGNOME NOME, Presidente della Provincia dal 2004, riportando tra l’altro che: “RAGIONE_SOCIALE è gestita da infaticabili affaristi che si sono spartiti acqua e rifiuti”.
Avverso l’indicata pronuncia ricorre l’imputato, tramite il difensore, coltivando un unico motivo sul capo relativo alla conferma delle statuizioni civili.
Sostiene in sintesi:
che lo stesso NOME COGNOME, prosciolto dal GUP, aveva riconosciuto la rispondenza di quanto scritto dal giornalista alle proprie dichiarazioni;
che non si comprende quale parte dell’articolo fosse oggetto di addebito esclusivo al giornalista, il quale si era limitato a trascrivere l’intervista rilasciata un rappresentante di RAGIONE_SOCIALE e quindi da un personaggio pubblico su temi di interesse pubblico;
che le uniche parti disconosciute dall’intervistato erano quelle utilizzate nel titolo e nell’occhiello, che però non sono addebitabili al giornalista;
che ricorre l’esimente dell’esercizio del diritto di cronaca;
che il giudice di secondo grado, chiamato a pronunciarsi su queste censure, non ha fornito alcuna risposta.
Il ricorso è stato trattato, senza intervento delle parti, nelle forme di cui all’art. 23, comma 8 legge n. 176 del 2020 e successive modifiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
La motivazione della Corte di appello è inesistente.
2.1. Il giudice di secondo grado – che ha deliberato la sentenza a distanza di otto anni e mezzo dalla decisione di primo grado – rileva l’intervenuto decorso del termine di prescrizione e, dovendosi pronunciare sulle statuizioni civili ex art. 578 cod. proc. pen., si limita laconicamente ad osservare che: «Non può dubitarsi che le espressioni di commento utilizzate dal COGNOME nel pubblicare l’intervista siano gravemente lesive della reputazione della persona offesa, accusata di spartizioni affaristiche su materie che esulavano del tutto dalla sfera di competenza del COGNOME, che all’epoca quale Presidente della Provincia, non aveva alcuna competenza in materia di rifiuti e acqua».
Si tratta di motivazione apodittica, tanto da configurare un caso di radicale mancanza di argomentazione, dando luogo a nullità ai sensi delle disposizioni di cui agli artt. 111, sesto comma, Cost., 125, comma 3, cod. proc. pen.
2.2. Va ricordato che il richiamo ai contenuti della sentenza di primo grado non è idoneo a sanare le lacune motivazionali quando, per valutare le censure d’appello, esso sia svolto in termini che impongono di fare esclusivo riferimento alla motivazione della sentenza di primo grado e che, conseguentemente, non consentono di stabilire, neppure in forma parziale o implicita, il necessario rapporto dialettico fra i motivi d’appello e la sentenza di secondo grado (Sez. 5, n. 52619 del 05/10/2016, COGNOME, Rv. 268859).
2.3. Nella specie, come anticipato, l’impianto argomentativo della sentenza di appello non risponde ai criteri sopra tracciati, perché non fornisce alcuna reale risposta alle specifiche questioni sollevate con i motivi di gravame che attingevano i punti decisivi de: la responsabilità del giornalista sia alla luce della assoluzione dell’intervistato sia in ragione del carattere diffamatorio ricondotto a parti dell’articolo (titolo e occhiello) a lui non attribuibili; la sussistenza dell’esimen del diritto di cronaca.
Se è vero che in presenza di decisioni di primo e secondo grado motivate con criteri omogenei e con un apparato logico uniforme, è possibile procedere all’integrazione delle due sentenze in modo da farle confluire in una struttura argomentativa unitaria da sottoporre al controllo in sede di legittimità (tra le altre Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595) è, tuttavia, necessario che di integrazione si tratti nel senso che la motivazione della sentenza di secondo grado deve recare un esame delle censure proposte dall’appellante, sia pure con criteri conformi a quelli adottati dal giudice di primo grado e con riferimenti ai passaggi logici e giuridici della decisione appellata, in modo da evidenziare un’argomentata concordanza nell’analisi e nella valutazione degli elementi posti a fondamento del giudizio (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, cit.). «Occorre, in altre parole, che la sentenza di secondo grado si confronti effettivamente con í motivi di appello, esprimendo una specifisa valutazione sugli stessi, propria del giudice dell’impugnazione; condizione, questa, che non ricorre all’evidenza laddove la formulazione della predetta sentenza imponga, per soppesare la fondatezza o meno delle argomentazioni difensive, di fare esclusivo riferimento a quanto esposto nella sentenza di primo grado» (così in motivazione Sez. 5, n. 52619 del 05/10/2016, COGNOME, cit.). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente agli effetti civili (agli effetti penali rimane ferma la declaratoria di prescrizione
con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio p nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Così deciso il 24/01/2024