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Motivazione recidiva: l’obbligo del giudice di spiegare

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30044 del 2024, ha annullato parzialmente una condanna per spaccio di cocaina. Il caso riguarda un imputato la cui pena era stata aggravata per recidiva. La Suprema Corte ha stabilito che la motivazione recidiva non può basarsi solo su un precedente reato, ma il giudice deve spiegare in concreto perché il nuovo fatto dimostri una maggiore pericolosità sociale del soggetto, annullando la decisione per vizio di motivazione e per non aver risposto a uno specifico motivo d’appello.

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Pubblicato il 6 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Motivazione recidiva: non basta un precedente per aumentare la pena

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 30044/2024, ha ribadito un principio fondamentale del diritto penale: l’applicazione dell’aggravante della recidiva richiede una motivazione recidiva specifica e non può essere un automatismo basato sulla semplice esistenza di precedenti penali. Questa decisione sottolinea l’importanza del ruolo del giudice nel valutare la concreta pericolosità sociale dell’imputato, annullando una sentenza della Corte d’Appello che si era limitata a un vago riferimento a un reato passato.

I Fatti del Processo

Il caso ha origine da una condanna per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. L’imputato era stato trovato in possesso di 7 grammi di cocaina, suddivisi in 11 dosi. La Corte d’Appello di Bari, pur rideterminando la pena, aveva confermato la sua responsabilità, applicando anche l’aggravante della recidiva sulla base di un precedente specifico commesso undici anni prima. Inoltre, i giudici di secondo grado avevano omesso di pronunciarsi sulla richiesta di concessione di una circostanza attenuante.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha presentato ricorso alla Suprema Corte lamentando diversi vizi della sentenza d’appello. I punti salienti del ricorso erano:

1. Mancanza assoluta di motivazione: La Corte d’Appello non aveva fornito alcuna risposta in merito alla richiesta di applicazione di un’attenuante.
2. Vizio di motivazione sulla recidiva: L’aggravante era stata applicata solo in virtù di un vecchio precedente penale, senza una valutazione attuale.
3. Pena eccessiva: Conseguenza diretta della carente motivazione sulla recidiva.
4. Sanzione accessoria: Contestazione del ritiro della patente di guida.

La Decisione della Suprema Corte sulla motivazione recidiva

La Corte di Cassazione ha accolto i primi due motivi di ricorso, ritenendo assorbito il terzo e rigettando il quarto. La decisione si è concentrata sull’obbligo del giudice di fornire una motivazione completa e logica, soprattutto quando si tratta di elementi che incidono pesantemente sulla pena, come la recidiva.

le motivazioni

Il cuore della sentenza risiede nella critica alla motivazione recidiva fornita dalla Corte d’Appello. I giudici supremi hanno chiarito che la recidiva non è una mera “etichetta” da apporre a chi ha precedenti. È, invece, un sintomo di una “accentuata pericolosità sociale”. Per poterla applicare, il giudice deve esaminare il rapporto concreto tra il nuovo reato e le condanne passate.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello si era limitata a menzionare un reato simile commesso undici anni prima. Questo, secondo la Cassazione, non è sufficiente. Il giudice avrebbe dovuto spiegare perché quella “ricaduta”, a distanza di tanto tempo, fosse espressione di una perdurante inclinazione al delitto e di una maggiore pericolosità. La valutazione non può basarsi solo sulla gravità dei fatti o sull’arco temporale, ma deve analizzare, secondo i criteri dell’art. 133 c.p., se la condotta passata abbia effettivamente influito come fattore criminogeno sulla commissione del nuovo reato. Mancando questa analisi, la motivazione è solo apparente e la sentenza viziata.

Allo stesso modo, la totale omissione di risposta su un motivo d’appello (la richiesta di un’attenuante) costituisce un grave vizio procedurale che impone l’annullamento.

Infine, la Corte ha ritenuto corretto il ritiro della patente, poiché l’auto era stata utilizzata come strumento per l’attività di spaccio, rendendo la sanzione accessoria una misura giustificata per disincentivare la reiterazione del reato.

le conclusioni

La sentenza n. 30044/2024 è un importante monito per i giudici di merito. L’applicazione della recidiva non può essere una scorciatoia per inasprire la pena. Richiede un’indagine approfondita e una motivazione concreta che dimostri come il passato criminale dell’imputato lo renda più pericoloso oggi. La Corte ha quindi annullato la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello di Bari per un nuovo giudizio che tenga conto di questi principi.

Perché la sentenza della Corte d’Appello è stata parzialmente annullata?
La sentenza è stata annullata limitatamente alla determinazione della pena perché i giudici non hanno motivato né la decisione di applicare l’aggravante della recidiva, né il diniego di una circostanza attenuante richiesta dalla difesa, commettendo un vizio di motivazione.

È sufficiente avere un precedente penale per vedersi applicata l’aggravante della recidiva?
No. Secondo la Cassazione, non basta la semplice esistenza di un precedente. Il giudice ha l’obbligo di fornire una motivazione specifica che spieghi perché la nuova condotta criminale sia sintomo di una maggiore e perdurante pericolosità sociale dell’imputato.

Quando è legittimo il ritiro della patente di guida in caso di spaccio di droga?
Il ritiro della patente è legittimo quando il veicolo di proprietà dell’imputato è stato utilizzato come mezzo per commettere il reato, ad esempio per trasportare o spacciare la sostanza stupefacente. In tal caso, la sanzione ha lo scopo di disincentivare la ripetizione del crimine.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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