Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 26148 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 26148 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a CASTELLAMMARE DI STABIA il 11/12/1968 COGNOME NOME nato a CASTELLAMMARE DI STABIA il 19/07/1963
avverso la sentenza del 03/07/2024 della Corte d’appello di Napoli Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata alla Corte di appello di Napoli.
uditi i difensori, Avv. NOME COGNOME in difesa di COGNOME e NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME che, entrambi, insistono per l ‘ annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Napoli (a) riformava integralmente la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata e condannava NOME e NOME COGNOME per il reato di estorsione aggravata ai danni di NOME COGNOME che era stato costretto a corrispondere loro la somma di quattrocento euro a settimana, oltre a svariate altre somme di denaro, (b) confermava la condanna di NOME COGNOME per il reato di danneggiamento.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME che deduceva:
2.1. violazione di legge (art. 603, comma 3bis cod. proc. pen.) e vizio di motivazione in relazione alla omessa rinnovazione dibattimentale di NOME COGNOME: la rinnovazione sarebbe stata decisiva in quanto, se escusso, avrebbe potuto riferire in ordine alla presenza del ricorrente presso il pontile da diporto gestito dal Valenzano; la testimonianza sarebbe decisiva anche se posta, senza rinnovazione a fondamento del ribaltamento della decisione assolutoria;
2.2. vizio di motivazione (art. 629 cod. pen.) : non sarebbe stato rispettato l’obbligo di motivazione rafforzata; la condanna sarebbe stata fondata sulla base della valutazione frazionata delle dichiarazioni della persona offesa, senza approfondire il contributo probatorio offerto dal COGNOME; non sarebbe stato considerato il rapporto di parentela del ricorrente con l’offeso e la critica posizione dei COGNOME dopo il pentimento del parente NOME COGNOME. Anche le intercettazioni telefoniche sarebbero state valutate senza il necessario approfondimento dato che le stesse non avrebbero dato conto della sussistenza della minaccia e della violenza , elementi costitutivi e non provati dell’estorsione contestata.
2.3. violazione di legge (art. 81 cod. pen.) e vizio di motivazione: non sarebbe stato identificato il termine finale della condotta estorsiva e la continuazione tra l’estorsione ed il danneggiamento sarebbe stata negata sulla base di una motivazione generica che non aveva approfondito il tema della sussistenza del nesso teleologico tra i due reati.
2.4. violazione di legge (artt. 62bis , 133 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla definizione del trattamento sanzionatorio ed al diniego delle circostanze attenuanti generiche: la motivazione sarebbe carente e non terrebbe conto della finalità rieducativa della pena.
3.Ricorreva per Cassazione il difensore di COGNOME Francesco che deduceva
3.1.violazione di legge (art. 629 cod. pen.) e vizio di motivazione con riferimento alla condanna per il reato di estorsione: (a) la valutazione del contenuto dell ‘ intercettazione n. 131 del 19 febbraio 2005 tra il ricorrente ed il Valanzano sarebbe illogica; il contenuto di questa intercettazione non sarebbe una confessione extra giudiziale, ma indicherebbe solo che ricorrente era rammaricato per la condotta dei fratelli, che avevano danneggiato uno dei natanti ormeggiati sul pontile, e si rimproverava di non avere fatto tutto il possibile per impedire tale evento; (b) non sarebbe stato considerato che la persona offesa aveva negato la sussistenza di minacce riconducibili a NOME COGNOME, (c) non sarebbe stato considerato il fatto, invero decisivo, che il ricorrente era stato assolto con sentenza definitiva per la condotta descritta al capo b) ovvero per il danneggiamento del gommone;
3.2.violazione di legge e vizio di motivazione: non sussisterebbe l ‘ aggravante mafiosa dato che ricorrente non apparteneva ad alcun clan camorristico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso proposto nell ‘ interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
1.1. Non supera la soglia di ammissibilità il motivo che contesta il difetto di rinnovazione dibattimentale e segnatamente la mancata rinnovazione della testimonianza di NOME COGNOME.
1.2. In materia di ribaltamento della sentenza assolutoria il collegio ribadisce che incombe sul giudice di appello l’onere di offrire una motivazione ‘rafforzata’ che si confronti con gli argomenti posti a sostegno della sentenza di assoluzione. Tale onere è generale e riguarda anche i casi in cui il compendio probatorio non abbia una struttura dichiarativa, ma si fondi su prove di altra natura (prova scientifica, intercettazioni, perquisizioni, sequestri etc).
Sul punto la Cassazione ha affermato, con giurisprudenza che si condivide, che ‘nella sentenza di condanna che ribalta la decisione assolutoria di primo grado devono essere confutate in via specifica tutte le ragioni poste a sostegno della decisione assolutoria di primo grado, “dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti ivi contenuti”, questo perché la motivazione, sovrapponendosi a quella della sentenza riformata, deve dare compiuta ragione delle scelte operate e “della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati” (cfr., per tutte, Sez. 5, n. 42033 del 17/10/2008, COGNOME, Rv. 242330, Sez. U. n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231674).
Si tratta di un percorso ermeneutico che trova significative conferme nella giurisprudenza della Corte Edu, che con giurisprudenza consolidata, ha ritenuto non rispettoso delle garanzie convenzionali il processo che si risolva in un ribaltamento dell’assoluzione sulla base di un compendio probatorio cartolare che si presenta ‘deprivato’
rispetto a quello disponibile in primo grado, in quanto carente dell’audizione diretta dei testimoni ‘già’ uditi, dei quali si pretende di rivalutare la attendibilità intrinseca e la credibilità dei contenuti accusatori, senza fare ricorso alla percezione diretta dell’evento dichiarativo ( Dan v. Moldavia, Corte Edu, 5 luglio 2011; COGNOME v. Romania, Corte EDU, III sez., 5 marzo 2013; Flueras v. Romania, Corte Edu, III sez., 9 aprile 2013; Corte Edu, III Sez., sent. 4 giugno 2013; Hanu v. Romania, ric. 10890/04; più recentemente COGNOME v. Romania, Corte Edu, III sez. 15.9.2015, COGNOME v. Romania, Corte Edu, III sez. 22.9.2015; Lorefice v. Italia, Corte Edu, 1 sez., 29 giugno 2017).
Invero il diritto convenzionale valorizza non tanto il diritto dell’imputato ad entrare in contatto con la fonte delle accuse (comunque esercitato nel primo grado di giudizio), quanto il suo il diritto ad una decisione basata su di un percorso valutativo affidabile, che presuppone che il giudice della condanna valuti gli ‘stessi elementi’ a disposizione del giudice dell’assoluzione e, dunque, con specifico riguardo alle prove dichiar ative, anche gli elementi di valutazione provenienti dalla comunicazione extraverbale.
1.2. Tale panorama giurisprudenziale è stato arricchito da alcuni decisivi arresti delle Sezioni Unite, ma soprattutto dall’intervento legislativo di modifica dell’art. 603 cod. proc. pen., che ha introdotto l”obbligo’ della rinnovazione dibattimentale n el caso in cui il giudizio di appello sia promosso dal pubblico ministero ed il proscioglimento deciso in primo grado sia fondato su «motivi attinenti la valutazione della prova dichiarativa».
Sul versante giurisprudenziale le Sezioni unite hanno anticipato la riforma affermando che l’onere di fornire una motivazione rafforzata implica la necessità di effettuare il riesame della decisione assolutoria attraverso la obbligatoria rinnovazione delle testimonianze decisive (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267486), estendendo tale obbligo, prima della riforma c.d. ‘Cartabia’ (che, in relazione all’abbreviato c.d. ‘secco’, lo ha abolito) anche ai casi in cui si proceda con il rito abbreviato non condizionato (Sez. U. n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269786) ed ai casi relativi all’esame del perito; si è infatti affermato che e dichiarazioni rese dal perito o dal consulente tecnico nel corso del dibattimento, in quanto veicolate nel processo a mezzo del linguaggio verbale, costituiscono prove dichiarative, sicché sussiste, per il giudice di appello che, sul diverso apprezzamento di esse, fondi, sempreché decisive, la riforma della sentenza di assoluzione, l’obbligo di procedere alla loro rinnovazione dibattimentale attraverso l’esame del perito o del consulente, mentre analogo obbligo non sussiste ove la relazione scritta del perito o del consulente tecnico sia stata acquisita mediante lettura, ivi difettando la natura dichiarativa della prova. (Sez. U, n. 14426 del 28/01/2019, Pavan, Rv. 275112 – 01)
Il Collegio rileva, inoltre, che le Sezioni unite hanno offerto una interpretazione ‘restrittiva’ del comma 3 -bis dell’art. 603 cod. proc. pen. attraverso l’individuazione di precisi limiti all’obbligo di rinnovazione. E’ stato infatti affermato che « l’espressione utilizzata dal legislatore nella nuova disposizione di cui al comma 3-bis, secondo cui il
giudice deve procedere, nell’ipotesi considerata, alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, non equivale infatti alla introduzione d i un obbligo di rinnovazione integrale dell’attività istruttoria – che risulterebbe palesemente in contrasto con l’esigenza di evitare un’automatica ed irragionevole dilatazione dei tempi processuali -, ma semplicemente alla previsione di una nuova, mirata, assunzione di prove dichiarative ritenute dal giudice d’appello “decisive” ai fini dell’accertamento della responsabilità, secondo i presupposti già indicati da questa Corte nella sentenza Dasgupta. Coordinando la locuzione impiegata dal legislatore nel comma 3-bis («il Giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale») con quelle -del tutto identiche sul piano lessicale – già utilizzate nei primi tre commi della medesima disposizione normativa, deve pertanto ritenersi che il Giudice d’appello sia obbligato ad assumere nuovamente non tutte le prove dichiarative, ma solo quelle che – secondo le ragioni puntualmente e specificamente prospettate nell’atto di impugnazione del pubblico ministero – siano state oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado e vengano considerate decisive ai fini dello scioglimento dell’alternativa “proscioglimento-condanna” » ( Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272431, § 7.2).
A tale rilevante limitazione si associa quella individuata dalla condivisa giurisprudenza che limita l’obbligo di rinnovazione ai casi in cui si invochi la rivalutazione della attendibilità intrinseca delle testimonianze ‘decisive’, senza estenderlo alle p rove dichiarative i cui contenuti siano incontestati, sebbene l’appellante invochi una diversa valutazione dei dati di contesto. Si è infatti affermato che non sussiste l’obbligo di procedere alla rinnovazione della prova testimoniale decisiva per la riforma in appello dell’assoluzione, quando l’attendibilità della deposizione sia valutata in maniera del tutto identica dal giudice di appello, che si limita ad effettuare un diverso apprezzamento del complessivo compendio probatorio ovvero ad offrire una diversa interpretazione della fattispecie incriminatrice (Sez. 5, n. 33272 del 28/03/2017, COGNOME, Rv. 270471; Sez. 5, n. 47833 del 21/06/2017, Terry, Rv. 273553; Sez. 6, n. 49067 del 21/09/2017, COGNOME, Rv. 271503)
1.3. Nel caso in esame il Collegio rileva che la mancata rinnovazione del teste NOME COGNOME è legittimata dalla sua non decisività.
Le dichiarazioni di tale testimone, infatti, non risultano essere state utilizzate dal Tribunale e sono state richiamate dalla sentenza di appello sono nella parte in cui venivano riassunti gli argomenti del ricorso del pubblico ministero (a pag. 4 della sentenza impugnata), oltre che per confermare il già ricco quadro probatorio che indicava univocamente che la presenza dei Fontana presso il pontile da diporto gestito dal Valanzano fosse ‘ discontinua ‘ (pag. 6 della sentenza impugnata).
L ‘ elemento probatorio ricavato dalle dichiarazioni non rinnovate è infatti emerso con chiarezza dalle dichiarazioni di NOME COGNOME e di NOME COGNOME (pagg. 6 e 7 della sentenza impugnata).
1.4. Il secondo motivo di ricorso non supera la soglia di ammissibilità in quanto si risolve in una generica allegazione del difetto di ‘ motivazione rafforzata ‘ e nella non consentita richiesta di rivalutazione della capacità dimostrativa delle prove raccolte.
1.4.1. Il Collegio riafferma che i l vizio di motivazione nella dimensione della ‘illogicità manifesta’ consiste nella rilevazione di una frattura logica del percorso argomentativo che sia non solo percepibile immediatamente per la palese anomalia del sillogismo, ma anche decisiva, ovvero in grado, una volta riconosciuta, di destrutturare la tenuta logica della decisione giudiziale, che deve rispondere a stringenti canoni sia di razionalità che di completezza.
Il vizio di motivazione si presenta inoltre anche nella dimensione della ‘motivazione omessa’ su punti decisivi del percorso logico ed in quella del ‘travisamento della prova’, ogni volta che alla base della giustificazione della decisione siano posti elementi di prova non corrispondenti alle emergenze processuali.
Quando, come nel caso in esame, la progressione processuale non si presenta conforme, ma si registra un ribaltamento del giudizio (affermativo o negativo) della responsabilità la sentenza di appello deve confrontarsi in modo dettagliato e specifico con gli argomenti spesi dalla sentenza di primo grado offrendo una motivazione c.d. ‘rafforzata’ che giustifichi la diversa decisione.
Si ribadisce cioè che nel caso in cui, per diversità di apprezzamenti, per l’apporto critico delle parti e o per le nuove eventuali acquisizioni probatorie, il giudice di appello ritenga di pervenire a conclusioni diverse da quelle accolte dal giudice di primo grado, non può risolvere il problema della motivazione della sua decisione inserendo nella struttura argomentativa di quella di primo grado – genericamente richiamata – delle notazioni critiche di dissenso, in una sorta di ideale montaggio di valutazioni ed argomentazioni fra loro dissonanti, essendo invece necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal giudice di primo grado, consideri quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (Sez . U. 6682 del 4.2.1992, COGNOME, Rv. 191229).
1.4.2. Nel caso in esame la Corte di appello, nel rispetto di tali indicazioni ermeneutiche ha riformato integralmente la sentenza impugnata attraverso un ‘ accurata e persuasiva analisi di tutti gli elementi di prova e, segnatamente, delle dichiarazioni della persona offesa, che sono state oggetto di un attento e rinnovato vaglio di attendibilità.
All ‘ esito del percorso di riesame la Corte ha confermato la responsabilità dei ricorrenti con motivazione ineccepibile, caratterizzata anche dal confronto con gli argomenti che il Tribunale ha posto a fondamento dell ‘ assoluzione – che i ricorrenti fossero responsabili dell ‘ estorsione contestata.
Era emerso infatti che le dazioni di denaro (periodiche, ma anche straordinarie) del Valanzano prevedeva l’eventuale, e non obbligatoria, prestazione lavorativa dei ricorrenti e, di fatto, prescindevano dalla stessa essendo rimesse alla benevola, spontanea ma sporadica e discontinua iniziativa dei Fontana.
Da alcuni passaggi delle dichiarazioni della persona offesa emergeva anzi che fosse proprio il Valanzano a prodigarsi perché i ricorrenti, che tendevano a manifestare la loro presenza sul molo, ne rimanessero lontani.
Tale affermazione dell ‘ offeso è stata confermata anche da NOME COGNOME: dunque non esisteva alcun sinallagma lavorativo e le dazioni di denaro non si atteggiavano come regalie sporadiche, ma come una sorta di vitalizio mensile.
Peraltro la persona offesa si faceva carico delle spese quotidiane dei Fontana, si accollava le rate dei finanziamenti che costoro accendevano, spendendo cifre del tutto sproporzionate rispetto ad una ipotetica -e non dimostrata -attività lavorativa, dipendente e continuativa.
Il compendio dichiarativo risultava confermato da quello intercettivo che, secondo la persuasiva valutazione offerta dalla Corte d’appello, non era affatto ambiguo e non si prestava ad interpretazioni alternative.
In sintesi, il Collegio ritiene che la Corte d’appello, contrariamente a quanto dedotto, abbia adempiuto l’onere motivazionale gravante sul giudice d ‘ appello che intenda riformare integralmente la sentenza impugnata.
1.5. Il terzo motivo di ricorso che contesta la motivazione della sentenza impugnata in ordine al diniego della continuazione è manifestamente infondato.
Il Collegio rileva che la motivazione offerta sul punto dalla Corte di appello non si presta ad alcuna censura in quanto la invocata continuazione veniva negata sulla base del fatto che, secondo la logica valutazione della Corte di merito, non risultavano elementi che consentissero di collegare con sufficiente certezza, dunque con valutazione che rispettasse il canone valutativo de ‘ l ‘ aldi là di ogni ragionevole dubbio ‘ il danneggiamento del gommone alla perdurante azione estorsiva contestata.
Veniva evidenziato, sul punto, che NOME COGNOME, nel corso delle intercettazioni, si rammaricava per non essere stato vigile e non avere impedito l’azione di danneggiamento, ragionevolmente frutto di una intemperanza (pag. 16 della sentenza impugnata).
Di fronte alla riconosciuta mancanza di prove del nesso tra il danneggiamento e l’azione estorsiva perde rilevanza la mancata indicazione nel capo di imputazione del termine finale dell’estorsione sicché, anche su tale punto, il ricorso si presenta manifestamente infondato.
1.6. Infine, non superano la soglia di ammissibilità alle doglianze proposte con l’ultimo ricorso in ordine alla definizione del trattamento sanzionatorio.
Si ribadisce che l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse (tra le altre: Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986)
La motivazione sul punto contestato non si presta ad alcuna censura: la Corte, con argomenti logici e coerenti con le emergenze processuali, ha infatti ritenuto che i reiterati e gravi trascorsi criminali, la gravità dei fatti, agiti in un contesto delinquenziale allarmante e caratterizzati da una significativa persistenza temporale, unitamente all’assenza di ogni elemento di positività ricavabile dal comportamento processuale ostassero alla concessione delle attenuanti atipiche (pag. 16 della sentenza impugnata).
Il ricorso presentato nell ‘ interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
3.1. Il primo motivo di ricorso non supera la soglia di ammissibilità in quanto propone argomenti con i quali si invoca la rivalutazione della capacità dimostrativa delle prove, e , segnatamente, delle intercettazioni, attività esclusa dal perimetro che circoscrive la competenza del giudice di legittimità.
In materia di estensione dei poteri della Cassazione in ordine alla valutazione della legittimità della motivazione si riafferma che la Corte di legittimità non può effettuare alcuna valutazione di ‘merito’ in ordine alla capacità dimostrativa delle prove, o degli indizi raccolti, dato che il suo compito è limitato alla valutazione della tenuta logica del percorso argomentativo e della sua aderenza alle fonti di prova che, ove si ritenessero travisate devono essere allegate -o indicate – in ossequio al principio di autosufficienza (tra le altre: Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015,O., Rv. 262965).
Deve essere altresì affermato che le intercettazioni non possono essere rivalutate in sede di legittimità se non nei limiti del travisamento, che deve essere supportato da idonea allegazione: si riafferma cioè che in sede di legittimità è possibile prospettare un’interpretazione del significato di un’intercettazione ‘diversa’ da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017 – dep. 12/02/2018, COGNOME, Rv. 272558; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013 – dep. 17/02/2014, COGNOME e altri, Rv. 259516). La valutazione della credibilità dei contenuti delle conversazioni captate è infatti un apprezzamento di merito che investe il significato e, dunque la capacità dimostrativa della prova, sicché la sua critica è ammessa in sede di legittimità solo ove si rileva una illogicità manifesta e decisiva della motivazione o una decisiva discordanza tra la prova raccolta e quella valutata.
3.2. Nel caso in esame, come già rilevato in occasione dell’analisi del secondo motivo di ricorso avanzato da NOME COGNOME, la Corte di appello ha offerto una persuasiva, accurata e logica motivazione in ordine alla responsabilità di entrambi i ricorrenti – e dunque anche di NOME COGNOME – relativamente alla consumazione del reato di estorsione loro contestato.
Il percorso logico argomentativo che supporta il ribaltamento della decisione di primo grado è stato individualizzato nei confronti di COGNOME Francesco dato che risulta ampiamente rilevato come l ‘ estraneità del ricorrente alla consumazione del danneggiamento, confermata anche dai contenuti delle intercettazioni, non incidesse in alcun modo sul riconoscimento della responsabilità per la reiterata e continuata azione estorsiva (si richiama, sul punto, oltre a quanto osservato sub. § 1.4.2., quanto affermato conclusivamente a pag. 16 della sentenza impugnata).
3.3. Il secondo motivo è manifestamente infondato in quanto l ‘ aggravante mafiosa non risulta essere stata contestata al ricorrente.
4.Alla dichiarata inammissibilità dei ricorsi consegue, per il disposto dell’ art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, il giorno 13 maggio 2025